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Recensione

Fighting Fantasy 14: Temple of Terror
Edizione Penguin Books Puffin Imprints 1985
autore/i Ian Livingstone
Recensore Yaztromo

Temple of Terror e' il quattordicesimo volume della collana Fighting Fantasy classica (quella targata Puffin, con la mitica costina verde) e in Italiano ha avuto una sola traduzione, dal titolo Il Tempio del Terrore, ad opera di LGL e nello specifico di Enrico "Dirk" Zappia (16esimo capitolo di Dimensione Avventura, quarto tra quelli editi da Librogame's Land).

In questa avventura Ian Livingstone, dopo la parentesi in un futuro distopico con Freeway Warrior, ritorna alla classica ambientazione del continente fantasy di Allansia, ma per la prima volta in questo contesto introduce delle varianti alla meccanica di gioco significative.

Il regolamento di base all'apparenza e' il solito di sempre, con i suoi molti pregi, ma anche con i suoi soliti difetti: quasi subito il protagonista avra' la possibilita' di imparare alcuni incantesimi, che potranno essere lanciati quando il testo lo richiede. Il lancio di tali incantesimi puo' richiedere il sacrificio di alcuni punti di STAMINA, ma alcuni meno potenti sono gratis. L'altra innovazione, che verra' introdotta un po' piu' avanti, e' quella del Messaggero della Morte: una specie di maledizione per la quale il Messaggero in questione "nasconde" in cinque luoghi le lettere che compongono la parola "morte" e se il protagonista le trovera', morira'.

Quest'ultimo e' forse un artificio per confondere un po' e nascondere uno dei "difetti" stilistici ricorrenti di Ian Livingstone, ovvero il fatto che, esplorando gli ambienti proposti nelle sue avventure, ammesso e non concesso che si riesca a "mantenersi" nel true path, conviene al giocatore esaminare ogni possibile diramazione che trova sulla strada, senza tralasciare nemmeno una possibilita', perche' gli oggetti necessari ai suoi ricorrenti check point si possono trovare negli anfratti piu' impensabili.

In questo modo, col timore di trovare un'altra delle terribili lettere della "morte", il lettore non puo' mettere il naso sistematicamente dappertutto, ma deve fare le sue scelte. In effetti, forse anche a causa di questa variante nella meccanica, Ian Livingstone piu' del solito nell'ambito dell'avventura chiede: "vuoi fermarti ad esplorare questo o preferisci andare avanti?" e le scelte in questo caso possono rapidamente diventare questioni di vita o di morte.

Questa avventura e' la terza del cosiddetto "ciclo di Stonebridge", ovvero una trilogia ufficiosa di avventure che comincia con Caverns of the Snow Witch, continua con Forest of Doom e si conclude, appunto, con Temple of Terror. Nel caso specifico tutto comincia a Stonebridge, dove il buon mago Yaztromo e' alla ricerca di un eroe (ovviamente il protagonista) che vada a Vatos a evitare che il malvagio mago Malbordus, che e' stato addestrato alle arti della magia nera dagli Elfi Oscuri, riesca a recuperare cinque statue statuette magiche rappresentanti draghi nascoste proprio a Vatos, citta' perduta nel deserto. Con queste statuette Malbordus potrebbefacilmente evocare i draghi affinché servano le forze del del male.

Il viaggio a Vatos ben presto si trasforma in una sessione intensa di dungeon crawl tra le rovine di Vatos, che non sono disabitate come molti pensano: in esse si e' ritirata Leesha, la Sacerdotessa di una ben crudele religione, con i suoi seguaci. A Vatos ci sono anche parecchie trappole e sgherri di Malbordus, pronti a far fuori il protagonista, che dovrà farsi strada fino a recuperare le statuette dei draghi e alla fine affrontare faccia a faccia il crudele Malbordus.

Tutto sommato le premesse erano delle migliori e Ian Livingstone ha inserito nella storia i suoi soliti personaggi e ambientazioni indimenticabili, ma e' proprio la meccanica del gioco a presentare troppi difetti per essere piacevole da gustare.

Piu' che in altri casi, il true path e' estremamente stringente e non segnalato dal testo in alcun modo (al punto che diventa fondamentale scegliere la strada "giusta" per recarsi a Vatos all'inizio dell'avventura), facendo cosi' diventare la soluzione del libro piu' dipendente da un colpo di fortuna che frutto di logica e ragionamento, tanto piu' che questa volta l'immancabile "check point" di Ian Livingstone prevede ben cinque statuette di draghi, con il contraltare che per trovarle bisogna evitare le cinque lettere della "morte".

Ci sono anche alcuni vistosi difetti di logica: alcune delle trappole e degli sgherri che si trovano a Vatos sono opera di Malbordus, ma se Malbordus era passato per Vatos prima di noi per preparare tutte le trappole, perche' non ha raccolto in quell'occasione le statuette, lasciandoci cosi' una possibilita' di sottrargliele? Tanto piu' che, come scopriremo, gli basta anche una sola statuetta di drago per farla franca.

Anche il rapporto tra Leesha e Malbordus non e' mai chiarissimo, creando ulteriori dubbi su relativi aspetti logici del gioco, simili al precedente.
Insomma, alcuni risvolti sono memorabili (ambietazione e diverse meccaniche di gioco), ma in generale l'aspetto ludico in sé non e' dei migliori: troppi incontri e azioni sembrano puramente fortuite e vincere o perdere dipende piu' dal caso che dalle capacita' del giocatore. Tutto cio' rende questa avventura tra le peggiori di Ian Livingstone, nonostante le interessanti parti di world building e le novita' per quanto riguarda la meccanica di gioco.

Questo librogame e', in un certo senso, l'ultimo di una serie che ha dato vita nel giro di solo due o tre anni alla parte settentrionale del continente di Allansia, che fa parte del mondo di Titan e che ha visto in Ian Livingstone l'autore piu' impegnato. Alcune delle avventure che compongono questo corpus (per riepilogo le citiamo tutte: The Warlock of Firetop Mountain, Citadel of Chaos, Forest of Doom, City of Thieves, Deathtrap Dungeon, Island of the Lizard King, Caverns of the Snow Witch, Temple of Terror) sono dei veri capolavori, pietre miliari della storia della letteratura interattiva, altre sono degli onesti intermezzi con delle ambientazioni molto ben fatte, altre ancora lasciano per certi versi un po' a desiderare, specialmente se le si guarda col senno del poi e con gli occhi del lettore moderno.

Eppure questo corpus ha creato un bel pezzo di "mondo" che e' rimasto per sempre nel cuore dei lettori e dei giocatori, che lo hanno esplorato in lungo e in largo, a volte in cerca di denaro, altre volte in cerca di fama, altre volte ancora per sconfiggere il male.

Dopo questo gruppo di libri-gioco, gli autori originali della serie Fighting Fantasy compariranno sempre meno frequentemente, lasciando piu' spazio ad altri scrittori e a piu' frequenti sperimentazioni.
Con questo volume si puo' dunque dire che si e' conclusa la fase iniziale della collana Fighting Fantasy, per entrare in quella della maturita'.

Longevità 5.5: 

Le strade alternative che si possono esplorare sono molte, ma ci vuole un appassionato storico di Fighting Fantasy per percorrerle tutte, visto l'alto tasso di frustrazione garantito dall'avventura.

Difficoltà 5: 

Il vero problema di questa avventura e' che la maniera migliore per superare le difficolta' (e trovare le fantomatiche cinque statuette senza incappare nelle cinque malefiche lettere della "morte") e' ricorrere al caso, piu' che all'abilita' del giocatore nel cogliere gli indizi.

Giocabilità 6: 

Non c'e' niente di drammaticamente sbagliato in questo librogame, solo che in pratica si e' costretti a giocarlo un po' a caso, sperando di beccare (tra le tante, troppe variabili a disposizione) gli oggetti giusti. Non e' esattamente il concetto di giocabilita' ideale della maggior parte dei lettori, credo.

Chicca: 

Nella digressione a Port Blacksand ci sara' la possibilita' di tornare nella mitica locanda dell'Aragosta Nera e di imbarcarsi nella nave pirata Belladonna, gia' visitata durante la precedente avventura City of Thieves.

Totale 5.5: 

Non e' certo il miglior librogame scritto da Ian Livingstone. Anzi, nonostante diverse buone idee e una ambientazione molto interessante, è certamente tra i suoi peggiori.