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Recensione

Destiny Quest 1: The Legion of Shadow
Edizione Gollancz Publisher 2012
autore/i Michael J. Ward
Recensore kingfede

Prendete un romanzo fantasy epico. Mescolatelo con una copiosa dose di passione per i videogiochi di ruolo, di studio della cultura letteraria occidentale e di originalità, e cuocete il tutto a fuoco basso in una teglia di trent’anni di tradizione “librogamistica”. Il risultato, straordinario nella sua capacità di innovazione e persino stravolgimento del concetto stesso di narrativa interattiva, è Destiny Quest. Bastano un veloce approccio con The Legion of Shadow, primo volume della serie, per rendersi conto dell’enorme salto in avanti che essa ci propone rispetto al canovaccio in stile Fighting Fantasy, tipico della matrice anglosassone.
L’avvio è semplice ma coinvolgente. Ci risvegliamo al termine di una feroce battaglia, senza più un briciolo di memoria; a pochi passi di distanza giace un apprendista morente, che ci affida un’informazione, cercare  Avian Dale. Potrà il celebre mago aiutarci nella ricerca delle nostre radici, e comprendere chi siamo e cosa rappresenti quel marchio nero sul nostro braccio?
E qui già iniziano le novità. Tanto per cominciare non ci troviamo di fronte un’esplorazione lineare, ma un percorso a mappa che si delinea su tre Act, ciascuno dei quali rappresentato da una efficace mappa a colori. Il primo si svolge nei pressi della cittadina di Tithebury, il secondo nella zona tra Mistwood e Blackmarsh, il terzo nei Bone Fields, a diretto confronto con la temibile Legione dell’Ombra. Per passare da uno all’altro dovremo affrontare una serie di Quest, piccole missioni indipendenti le une dalle altre, ma intrecciate da elementi di congiunzione nella storia. Le Quest sono rappresentate da simboli divisi in quattro colori, in base alla loro difficoltà: verde (semplici), arancioni (intermedie), blu (difficili) e rosse (molto difficili): viene da sé che in teoria è più conveniente affrontarle in quest’ordine, ma nulla ci vieta di cambiare la sequenza. A queste si aggiungono anche una serie di potenziali scontri con mostri leggendari, anch’essi dislocati sulle tre mappe, che potranno aiutarci a integrare il nostro bottino e ad aggiungere un po’ di pepe e di sana competizione, da cui non viene proprio la voglia di sottrarsi.
Anche in caso di scelta troppo avventata, infatti, la punizione è ben lontana da quanto ci potremmo aspettare. Siete abituati a regole ferree sulla Resistenza o Vitalità del personaggio, all’azzeramento della quale l’avventura arriva al capolinea? Niente di tutto ciò. In Destiny Quest non si può morire. Avete capito bene: il personaggio è immortale. Se la Resistenza (Health) scende a zero, la Quest termina e torniamo semplicemente alla mappa dell’Act in questione, perdendo unicamente gli oggetti utilizzati nel tentativo infruttuoso. Inutile sottolineare che questa novità ha scatenato discussioni e dibattiti nei forum dei lettori di DQ, ma la prosecuzione della storia ci mostrerà come quello che può sembrare una trovata kitsch, o un éscamotage anti-barata poco trasparente, si rivelerà invece un elemento essenziale nella narrazione stessa, facendo ben comprendere il perché della scelta dell’autore.
Il duello è l’anima centrale di questo volume e, per quel che si può intuire, dell’intera serie; nel dipanarsi dell’avventura diviene perciò sempre più decisivo il progressivo miglioramento del nostro equipaggiamento. Un po’ come in numerosi videogiochi (mi viene in mente ad esempio Diablo), abbiamo la possibilità di raccogliere armi per braccio sinistro e destro, elmi, mantelli, guanti, stivali, talismani, collane e anelli per aumentare i punteggi delle nostre caratteristiche, che sono quattro: Speed (Velocità), che determina la nostra rapidità sia in combattimento che in altre situazioni, Brawn (Forza), Magic (Magia) e Armour (Armatura), che ci descrive la nostra capacità di assorbire i colpi degli avversari. In realtà solo tre delle quattro vanno coltivate, perché a partire dalla fine del primo Act dovremo scegliere tra tre percorsi (Warrior, Rogue e Mage), i primi due legati a Brawn e il terzo a Magic, per cui sin da prima è poco conveniente scegliere oggetti che livellino le due caratteristiche in questione. Molto da discutere dà anche la Armour, perché la logica di gestione dei combattimenti rende poco conveniente sacrificare troppi punti di Brawn o Magic, e soprattutto di Speed, in chiave difensiva.
Tutto qui? Ancora no. Agli oggetti che troveremo nella nostra esplorazione sono legate una miriade di abilità speciali in grado di aiutarci nello svolgimento dei combattimenti. I loro effetti sono i più vari, dall’aumento temporaneo di una delle caratteristiche alla facoltà di infliggere un attacco speciale o evadere quelli degli avversari. Inoltre, a seconda dell’evoluzione della storia potremo anche avere la possibilità di imparare una speciale carriera (ce ne sono cinque per ogni percorso, nascoste tra gli Act 2 e 3), ciascuna delle quali ci darà altre due caratteristiche interessanti.
Qualcuno storcerà il naso di fronte a un approccio del genere al mondo del librogame, che si spinge ancora più in là sul sentiero dei videogame rispetto a quanto un lettore di Fighting Fantasy o Lupo Solitario è abituato. Tuttavia, il libro non si limita a una serie di singolar tenzoni ripetuta: la trama delle storie è spesso ben articolata e consente una buona immedesimazione, anche se lo stile a volte non è dei migliori da questo punto di vista. Ad esempio, per quanto l’uso di they come pronome personale di terza persona singolare “asessuato”, che qui è sistematico, sia ormai nell’uso della produzione scientifica anglosassone (specialmente americana), qua stona non poco in certi contesti. Le storie passano dal canovaccio delle fiabe europee a indagini in salsa horror, dall’avventura al fantasy più moderno, senza mai lesinare un pizzico di ironia e qualche strizzata d’occhio alla letteratura più impegnata; peccano a volte di eccessiva linearità, specie quando si guarda alle Quest impegnative, ma per fortuna non è sempre così. La difficoltà è particolarmente alta nell’Act 2, ma non tanto squilibrata da non permettere di completare onestamente la sezione se si adotta una buona tattica.
In conclusione, Destiny Quest ha molto da offrire a lettori dai gusti e dalle provenienze culturali più disparate, e merita di essere seguita da ogni appassionato di librogame. La riedizione del primo volume in primavera ha rilanciato prepotentemente il progetto, che continuerà in autunno con il secondo titolo, The Heart of Fire, e con un terzo titolo già confermato per l’anno successivo. Se ancora non avete provato a tuffarvi in questo universo, cosa aspettate? Correte a ordinare il primo volume!

Longevità 7.5: 

Le potenzialità di rigioco del volume risiedono più che altro nel cambio di personaggio, e dunque di strategia nell’acquisizione dell’equipaggiamento, però anche alcune Quest si prestano anche a varie svolte, elemento da non sottovalutare.

Difficoltà 8: 

Non difficilissimo ma in alcuni punti spinoso. Cambia molto a seconda della classe scelta: per il Mago la strada è in netta discesa dalla seconda metà dell’Act 2 in poi, per il Guerriero è molto dura affrontare l’inizio dell’Act 3. Il Rogue ha invece vita più facile degli altri.

Giocabilità 9: 

Il fattore di non-morte rende quasi impossibile che il gioco si stalli, in qualche modo si va sempre e comunque avanti, salvo scelte ignobili nel forgiare il proprio arsenale di armi e armature.

Chicca: 

Una piccola sequenza di collegamento tra alcune quest, dovuta al ritrovamento di una chiave in una delle primissime avventure, e che giunge a un esito forse non geniale ma tutt’altro che scontato.

Totale 8.5: 

Un volume immancabile per gli esperti del settore, il trampolino di lancio per una serie innovativa e dalle prospettive straordinarie.