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Inizia il 2024: come sarà questo nuovo anno a livello di diffusione editoriale dei LG?

Recensione

Fire*Wolf 4: Le Radici del Male
Edizione EL 1993
autore/i James Herbert Brennan
Recensore Anima di Lupo

La saga di Lord Fire*Wolf Xandine si conclude con questo quarto libro dal titolo bellissimo e dalla copertina accattivante. Ecco, i complimenti finiscono qui. Anche se l’autore ha cercato di ammaliarci con il suo stile forbito, la sua creazione non è altro che una mattonata di bivi orribili (privi di interesse, del tipo vai a ovest o a est, scegliendo completamente a caso) inseriti in una giocabilità costruita talmente male che anche la spada del destino ne avrebbe paura.

Tanto per cominciare, il Regolamento è assurdo. Non è possibile applicarlo in maniera corretta e procedere con il gioco in condizioni tali da divertirsi. Anche riuscendo a farsi piacere calcoli talmente alti da dover usare una calcolatrice (!), la componente aleatoria dovuta alla fortuna con i dadi è così elevata da far passare la voglia di riiniziare daccapo per l’ennesima volta.

Si inizia con la creazione del personaggio: per calcolare il valore numerico di 7 delle 8 caratteristiche del protagonista (Forza, Velocità, Resistenza, Coraggio, Fortuna, Carisma e Fascino) bisogna tirare 2d6 e moltiplicare il risultato ottenuto per 8. L’autore “giustifica” i valori alti dicendo che rappresentano la percentuale a disposizione di Fire*Wolf. L’ottava caratteristica è l’Abilità e, senza contare le avventure precedenti, ha un valore di partenza pari a 10. Sommando le sette caratteristiche sopracitate si ottiene il totale dei Punti Vita, che rappresentano la nostra energia e se arrivano a zero, siamo morti.

Tutti i combattimenti iniziano tirando (sia per noi sia per l’avversario) 2d6 e aggiungendo le caratteristiche che, secondo la logica, permettono di stabilire chi è più svelto: Velocità, Coraggio e Fortuna. Chi ottiene il risultato più alto agisce per primo e può tentare il colpo. Stabilito ciò, si passa a vedere se il colpo va a segno: si tirano 2d6 e solo facendo da 7 in su si colpisce. Per ogni 10 punti della caratteristica Abilità possiamo abbassare il massimale (pari a 7, come abbiamo appena detto) di 1 punto. Nel caso questa sia la nostra prima avventura, ci basta un 6 per colpire l’avversario. Altra modifica in questa fase è dovuta alla Fortuna: possiamo abbassare di 1 punto il massimale (7) se abbiamo un punteggio di Fortuna superiore a 72. Per avere un così alto valore nella Fortuna bisogna aver estratto un 9 per quella caratteristica (9x8=72), tiro abbastanza difficile da ottenere con un 2d6. Se si colpisce l’avversario, bisogna calcolare il danno provocato (corrispondente ai Punti Vita da sottrarre al nemico o a se stessi se è il nemico a colpire) che è equivalente alla differenza tra il minimo necessario per colpire e il valore ottenuto ai dadi, il tutto moltiplicato per 10.

Se con i dadi ottengo, per esempio, 8 e per colpire mi serve un 6, provoco un danno di 20 Punti Vita (8-6=2 2×10=20). La caratteristica della Forza interviene per aumentare il danno inferto. Secondo la logica “più si è forti= più si fa male”, possiamo aumentare il danno di 1 punto ogni 8 punti di Forza in nostro possesso. I combattimenti prevedono un pericolosissimo riposo forzato di due turni ogni tot scontri. Per sapere ogni quanti scontri ci si deve fermare si deve dividere il punteggio di Resistenza (nostro ma anche del nemico) per dieci e arrotondare per difetto. Ad esempio, con una Resistenza media di 56 (ottenuta da 2d6=7. 7×8=56) si possono fare solo 5 turni di combattimento prima della “pausa”: 56÷10=5,6 (5). Se vinciamo il combattimento, acquistiamo 1 punto di Abilita mentre in caso di sconfitta possiamo tentare il tutto per tutto tirando un 2d6 e sperando che esca un valore inferiore alla nostra Fortuna. Questo salvataggio (il combattimento si riprende daccapo con i valori iniziali per entrambi i giocatori) si può effettuare una sola volta. Fire*Wolf (anche se si sta giocando il quarto libro come prima avventura) è in possesso della spada del destino, un’arma magica che trasferisce i punti (il testo non chiarisce quali punti recupero dall’avversario. Presumo quelli tolti dal danno inflitto ma non è sicuro) persi dal nemico a ogni scontro su Fire*Wolf (non si può mai superare il punteggio iniziale di Punti Vita).

Per quanto riguarda la magia il discorso è il seguente: abbiamo una riserva di 50 punti di Potere Magico e una lista di 10 incantesimi. Ogni incantesimo ha un “costo”: ad esempio per usufruire dell’incantesimo Invisibilità dobbiamo “spendere” 30 punti di Potere, per la Distorsione Temporale 15 e così via... Già così la questione Magia sarebbe andata bene ma l’autore complica ancora le cose e inserisce altri tre paletti. Il primo di essi è quasi impossibile da superare: prima di utilizzare un qualsiasi tipo di magia, bisogna vedere se Fire*Wolf ne ha voglia, tirando 2d6 e cercando di fare da 3 (compreso) in giù. Da 4 in su, Fire*Wolf non ne vorrà sapere e non potremmo usare alcun incantesimo. Questo significa, purtroppo, che l’uso della magia in questa storia è precluso. Il secondo paletto ci può stare: esso specifica che Fire*Wolf non potrà ripetere lo stesso incantesimo nel solito paragrafo. Il terzo paletto è invece proibitivo (ma non come il primo): l’incantesimo non riesce se tiriamo 2d6 e facciamo da 5 (compreso) in giù. Perdiamo, in ogni caso, i punti di Potere impiegati e possiamo recuperarli convertendo i nostri Punti Vita con rapporto 1:1. Durante la storia troveremo diversi passaggi impossibili come, ad esempio, al 23 dove il tiro di verifica sul Coraggio è difficilissimo per passare il baratro di fuoco. Capiamo fin da subito, quindi, come i dadi dettino legge. Nel regolamento manca inoltre tutta la sezione equipaggiamento: nel testo non esiste l’uso di oggetti o di cibo, non servono monete e soprattutto non si sa che armi e armature abbiamo a inizio storia. Nel Registro d’avventura, infatti, c’è spazio solo per le caratteristiche del personaggio e per i combattimenti. Infine, i bivi prevedono scelte per lo più noiose, del tipo vuoi andare a destra o a sinistra, a nord o a sud ecc…

Fin qui la parte game, ora veniamo al lato narrativo. La storia, soprattutto nella parte finale e nell’Epilogo, è pregna di quel fascino malinconico tipico delle saghe tragiche, dove il lieto fine, quando presente, lascia aperte alcune domande (nel nostro caso, ad esempio, come muore Fire*Wolf e dove viene sepolto). La felicità per aver sconfitto i tre maghi vegliardi (coloro che crearono i Demoni e per questo definiti le radici del male, cui si riferisce il titolo) bilancia la sofferenza patita durante l’avventura, soprattutto per la perdita dell’amata sposa (poi recuperata in extremis) da noi stessi uccisa in un combattimento inevitabile.

Come il precedente volume, la trama è divisa in capitoli (Nozze infauste; la foresta magica; Belgardium ricostruita; ritorno alla valle; i vincoli del destino), non ermeticamente chiusi tra loro ma abbastanza valorizzati (sicuramente più di quelli del volume 3). Ad esempio, durante l’esplorazione del terzo capitolo, possiamo usufruire della mappa di Belgardium disegnata in fondo al libro (mappa assolutamente senza pretese artistiche, semplice e quasi stilizzata). Il testo non ci “parla”, come accade di solito nei librigame, ma è in terza persona: scelta sbagliata, per me. Fire*Wolf fa quello, Fire*Wolf fa quell’altro… Sono io il protagonista, sono io che faccio le scelte, non Fire*Wolf. A me non interessa leggere un librogame che parla di qualcun altro, voglio leggere un librogame che parla di me. Voglio leggere e vivere la mia storia.  Se voglio leggere le gesta epiche di qualche eroe fantasy mi prendo un romanzo.

Un discorso simile vale per lo stile dell’autore. Brennan scrive bene, ha una terminologia varia e le sue frasi sono strutturate per essere addirittura proclamate, più che lette ma questo stile può risultare inadatto a un librogame, che richiede sempre una certa dose di dinamicità (per non parlare dei bambini o degli adolescenti che un volume scritto così te lo tirano dietro).   Certo, la lettura dev’essere impegnata e non superficiale altrimenti non si gode appieno della bellezza dello stile ma, forse, l’errore fatale è stato perdere di vista l’equilibrio tra i vari parametri. Se scrivi in maniera così raffinata metti almeno un regolamento snello per controbilanciare la “pesantezza” che può derivare da paragrafi corposi e termini ricercati (cogitabondo, ponderosa, a mal partito, pasciuto, tanghero, aborriva, periplo ecco...).

Da segnalare i bivi scritti in corsivo, caratteristica peculiare che però a mio avviso incrementa ancor più il distacco dal testo. Sembra che qualcuno ti stia facendo delle domande in un’intervista: “Fire*Wolf dovrebbe varcare la soglia del ponte? Oppure tornerà indietro per fare una scelta diversa?” E che ne so io, chiedi a lui! …mi viene da dire. Concludo questa mia recensione (simile a quella che ho scritto sul terzo volume, Nel Regno dei Demoni, ma d’altronde i due LG sono davvero fratelli dal punto di vista della giocabilità) sottolineando come una bella trama possa essere gettata al vento costruendo un LG ingiocabile. L’equilibrio tra i vari parametri rende il librogame un prodotto unico nel panorama della letteratura universale e, come mi ha detto una volta lo stimato autore di avventure a bivi Mauro Longo, a parità di pagine è più difficile scrivere un librogame che un romanzo. Parole che condivido perché nei LG bisogna costruire percorsi, interagire con il lettore, equilibrare la difficoltà del gioco e dare una longevità alla storia per favorire le riletture oltre, naturalmente, a scrivere decentemente.

Longevità 4.5: 

Certi passaggi nella trama (specialmente nel finale o quando l’autore cita momenti del passato raccontati negli altri volumi della serie) sono piacevoli da leggere ma, al di là dell’aumentare il rammarico per aver sprecato una storia carina, non resta altro che un pessimo librogame. Per addolcire (si fa per dire…) il giudizio, riporto un estratto del paragrafo 82 che mi ha colpito particolarmente: il minuscolo uomo che Fire*Wolf incontra sul suo cammino si presenta dicendo di chiamarsi Olric in onore del re Olric, appunto, quando questi era ancora il Cavaliere reggente e Fire*Wolf era un lampo negli occhi di sua madre. Mi è piaciuta tantissimo quest’ultima espressione che lascia intendere cose diverse senza chiarire completamente. Ci si può vedere una madre adorante che osserva il figlio, la sua creatura, con la luce (il “lampo”) negli occhi. Oppure ci si può vedere una giovane ragazza innamorata, nella sua piena freschezza, che vorrebbe unirsi al suo amore per creare la vita. O ancora, una ragazza incinta per la prima volta con la gioia negli occhi (si dice solitamente che una donna in dolce attesa è più bella e ha uno sguardo diverso). Questo lampo è qualcosa di cristallino, una luce nuova, intensa, un’espressione del sesso e dell’amore che illumina il desiderio di una giovane e nasconde il mistero immenso e tuttora insondato della vita. Tutti ci chiediamo sempre cosa c’è dopo la vita ma io vi chiedo: cosa c’è prima? Dove siamo prima di nascere? In qualche dimensione parallela o soltanto nel desiderio della ragazza che un domani diventerà donna e chiameremo madre? Questo desiderio, secondo me, è espresso magnificamente dalle parole dell’autore.

Difficoltà 3: 

Anche se alcuni combattimenti sono fattibili, la complessità del regolamento è tale che la lettura annoia, barare è d’obbligo e l’emozione evapora.

Giocabilità 2: 

Inguardabile.

Chicca: 

La frase del paragrafo 82 che ho spiegato nel parametro longevità.

Totale 3.5: 

Come si può valutare positivamente un librogame ingiocabile a così alti livelli? Per me non si può. Ogni volta che saltavo un combattimento impossibile (o ripetitivo oltremisura e dunque noiosissimo), ero insoddisfatto. Io volevo incidere sulla storia, volevo farla mia. La tecnica in tutte le sue parti va calibrata bene, va valorizzata, altrimenti cosa li scriviamo a fare i LG? Purtroppo, il regolamento è solo una parte di ciò che non va: la storia è lineare, con bivi anonimi e poco coinvolgenti e l’interattività è ai minimi termini, per non dire assente. Assegno una grave insufficienza anche per rispetto nei confronti degli autori che hanno speso ore e ore del loro tempo per calibrare bene i loro scritti. In definitiva, ammetto che a tratti è stato abbastanza piacevole leggere questo volume ma è un niente rispetto all’insoddisfazione generale che quest’opera mi ha suscitato.