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Recensione

Compact 1: Il Mostro di Loch Ness
Edizione EL 1994
autore/i Stephen Thraves
Recensore Anima di Lupo

Quando, un fatto o una storia, diventano così popolari da entrare nell’immaginario collettivo e nella cultura di massa? Tra le tante risposte giuste che si possono elencare, punto il dito oggi su una in particolare: il mistero. L’essere umano da sempre è affascinato dal mistero, da ciò che non può (o non riesce a) capire. Questo limite, perché di limite si tratta, può essere abilmente sfruttato da chiunque abbia le capacità e le intuizioni giuste, al fine di emozionare e destare interesse. Facendo leva su di esso, infatti, possiamo accendere o ravvivare quell’ancestrale sentimento (forte) che sta alla base dell’ignoto. “È la domanda, il nostro chiodo fisso” come dice Morpheus a Neo in Matrix.

Leggenda, finzione e scienza s’intrecciano alla perfezione nel secolare mistero del mostro di Loch Ness (scritto staccato, non tutto attaccato come potremmo pensare. Loch è un sinonimo del, più comune, lake: lago). Correva l’anno 566 quando un monaco irlandese scrisse di una “selvaggia bestia marina” (fonte Wikipedia). Storicamente (se così si può dire) questo è l’inizio di un mito, quello del mostro di Loch Ness, che ancora oggi rimane sospeso, come la nebbia che cala sul lago scozzese, tra prove traballanti e presunti avvistamenti.

Paradossalmente, se il mostro di Loch Ness esistesse davvero, se lo potessimo vedere ogni giorno, perderebbe la sua aurea di mistero e di fascino. Se avessimo anche solo delle prove certe sulla sua esistenza, verrebbe meno la “domanda”, l’interrogativo che è appunto fonte, esso stesso, di emozione. Questo primo, eccezionale, volume della serie Compact è basato essenzialmente sull’avvistamento dell’animale e, come vedremo, un ottimo sistema di gioco supporta questa emozionante “caccia” al mostro. Ma andiamo con ordine. Siamo nel nord della Scozia, nelle stupende Highlands, un paesaggio che, già di per sé, ispira miti e leggende. Non lontano dalla cittadina di Inverness, esiste un lago dalla profondità marcata (230 metri, l’autore sottolinea questa caratteristica nel libro per enfatizzare l’aspetto scenografico della “casa” di Nessie, come viene amichevolmente soprannominato il mostro di Loch Ness) dove diversi abitanti hanno affermato di aver visto il famoso mostro: addirittura otto volte in un solo giorno! Noi indosseremo i panni di un fotoreporter alle prime armi e saremo inviati sul posto per immortalare la bestia e certificare una volta per tutte la sua esistenza. Il giornale per il quale lavoriamo non se la passa molto bene e, a sentire il direttore, la sopravvivenza stessa del quotidiano dipende dallo scoop sul mostro di Loch Ness. Se non riusciremo a battere sul tempo i giornali rivali, si chiuderà bottega e noi perderemo il lavoro.

Le premesse sono ottime per due motivi: alla già citata aurea di mistero che aleggia attorno al mostro di Loch Ness si aggiunge la possibilità di interpretare un fotoreporter in missione. Anche se non siamo in una situazione potenzialmente rischiosa per la vita (basti pensare ai giornalisti inviati in zone di guerra, a quelli che lavorano in paesi dove c’è una vasta censura da parte di governi dittatoriali o in stati dove la criminalità organizzata detta legge come ad esempio i paesi del narcotraffico sudamericano ecc...), interpretare un fotoreporter a caccia del mostro di Loch Ness è un’idea geniale, almeno in teoria. Infatti, essendo questa storia imbrigliata in un librogame, c’era il rischio di annacquare il tutto con uscite stravaganti o con una giocabilità insufficiente. Invece, come spiegherò più avanti, l’autore è stato bravissimo a bilanciare i vari parametri del volume, tra cui il mantenimento costante dell’immedesimazione e dell’atmosfera (aspetti, questi due, fondamentali). Se, ad esempio, Stephen Thraves avesse scelto come protagonista il mostro stesso o un abitante del posto ecc…, sarebbe mancato l’effetto “scoop”, magari avrebbe scritto comunque una buona storia ma sarebbe venuta meno la ricerca basata sullo scatto fotografico, vero colpo di genio che ha creato una suspense credibile e longeva.

Dopo il prologo, dove il direttore ci affida l’incarico (tocca a noi dato che tutti i nostri colleghi più esperti non sono disponibili perché fuori sede per altri servizi), prenderemo l’aereo alla volta di Inverness dove ci aspetta un taxi per portarci in riva al lago. Abbiamo soltanto tredici ore disponibili, perché dobbiamo tornare in sede in tempo per la prossima edizione. E quando si ha a che fare con un mito “evanescente” come il mostro di Loch Ness, non certo famoso per come si metta in posa davanti a una macchina fotografica, i tempi stretti sono l’ultima cosa che ci serve... Come se non bastasse, all’arrivo scopriamo che due temerari “colleghi” senza scrupoli, di nome Dave Conn e Kate Dupe, faranno di tutto (ma proprio di tutto… persino travestirsi da gente del posto!) per ostacolare la nostra missione, la quale consiste nel riuscire a scattare 6 foto, chiare e inequivocabili, del mostro di Loch Ness.

Saranno sufficienti “solo” sei foto perché in realtà sono tutte quelle che abbiamo a disposizione. I due giornalisti d’assalto Conn e Dupe, infatti, ci porteranno via tutta l’attrezzatura (macchine fotografiche, rullini di scorta…) subito dopo l’arrivo all’aeroporto di Inverness. Iniziamo così il racconto con la sola Polaroid che portiamo a tracolla: l’unico oggetto rimasto in nostro possesso. Essa può fare soltanto sei scatti. Sei scatti: sei foto. Stop. Tornare in redazione con meno di sei foto verrà considerata come una sconfitta in termini di gioco (come storia potrebbe anche andar bene tornare con meno di sei foto ma riprenderò l’argomento dopo, quando parlerò del finale).

La missione è dunque ostica perché, con così poche chance, dovremo scegliere bene il momento più opportuno. Il mostro appare per un attimo e poi scompare, il lago è enorme, costeggiato da sentieri che s’inerpicano nel bosco a ridosso delle sponde, talvolta cala la nebbia oppure improvvisi scrosci d’acqua impediscono la visuale. Insomma, l’autore inserisce tutto il repertorio (e fa bene!) per farci immedesimare nel protagonista ma soprattutto per trasportarci lì, in Scozia, sulle sponde del lago. Oltre a tutto ciò, i due manigoldi reporter avversari ce  la metteranno tutta per farci scattare le foto nei momenti sbagliati. Però, ovviamente, la bellezza del giocare a questo librogame sta proprio nell’evitare i vari ostacoli e nel trovare il giusto true path, assai serrato. Per esempio, l’autore è bravissimo a mimetizzare il mostro. Quelle due sporgenze scure in mezzo all’acqua sono le gobbe di Nessie o due barche a remi? Quella forma scura e tondeggiante sotto la pioggia è la testa del mostro o una boa? E ancora: quell’onda a forma di V è la scia di una barca o l’acqua mossa dal mostro? Queste sono solo alcune delle brillanti trovate dell’autore che rendono il racconto godibile, interessante e anche in un certo senso veritiero. Infatti, se (e sottolineo se) il mostro di Loch Ness esistesse davvero, potrebbe veramente mimetizzarsi in quei modi. Inoltre gli elementi utilizzati nel lago (barche, boe, pescatori, rami, le lontre, il cane ecc…) sono tipici dell’ambiente. Con questo voglio dire che l’autore ha avuto il gran merito di scrivere una storia reale (priva di qualsiasi artifizio magico e/o fantastico) con al centro un personaggio non reale (si presume…).

Tecnicamente, siamo di fronte a un librogame asciutto (lo stile dell’autore, ermetico e senza fronzoli, ricorda l’indimenticabile Joe Dever dei primi volumi del suo Lupo Solitario: I Signori delle Tenebre, Traversata Infernale, Ombre sulla Sabbia ecc...) e diretto (i paragrafi, anche se corti, appaiono esaurienti. Thraves, con poche parole, ci dice tutto ciò che serve per decidere ed è esattamente quello che mi aspetto da un volume di una serie che si autodefinisce “compatta”).

Il regolamento prevede anche l’uso di tre oggetti da scovare nel testo: la mappa del lago, la guida naturalistica e la gazzetta di Inverness. A parte la mappa, presente in quasi tutti i librogame, gli altri due oggetti, a differenza del solito, sono attivi. A fine libro abbiamo infatti l’immagine (semplice ma molto carina) della guida naturalistica, chiamata I Sentieri di Loch Ness, e della pagina della gazzetta di Inverness con le “foto” dei personaggi locali che hanno affermato di aver visto il mostro. La mappa è suddivisa in riquadri (A,B,C,D ed E in verticale e 1,2,3 e 4 in orizzontale) perché durante la storia ci verrà chiesto di localizzare un determinato posto (un albergo, un castello diroccato, una cascata ecc…) fra tre proposti. Ad esempio: “la chiesa si trova in B3, C1 o D4?”. Se possediamo la mappa sarà sufficiente dare una sbirciatina per trovarla mentre se non l’abbiamo dovremo tirare a caso. In caso di errore ci sarà una penalità che solitamente consiste nello sprecare uno scatto (il che significa che sarà impossibile concludere la storia con sei foto su sei. Già questo dà l’idea di come sia serrato il true path).

La guida ci servirà per trovare il sentiero richiesto dal testo (per esempio, potrebbe essere richiesto un sentiero ampio e panoramico che abbia una bella vista sul lago oppure un sentiero breve da percorrere velocemente: ricordiamoci che il tempo a disposizione è poco e quando sarà buio ci sarà la possibilità che le foto vengano scure!). Nel testo i sentieri sono indicati da simboli come lo scoiattolo, le foglie e gli uccelli. Senza la guida naturalistica saremo di nuovo costretti a tirare a indovinare con il rischio di sciupare uno scatto in caso di errore. Stesso principio per la gazzetta di Inverness: il testo ci chiederà se fidarci o meno di un determinato personaggio con cui verremo in contatto. Senza la gazzetta non potremo identificare con chiarezza i volti dei vari avvistatori. A volte potremo fidarci e trovare l’amara sorpresa: Conn travestito da uno del posto che tenta di farci sbagliare strada o di farci scattare una foto a vuoto. Trovare questi tre oggetti non sarà per niente facile (l’autore è bravissimo a nascondere in posti impensati, in cui la logica non ci suggerirebbe di andare, la guida e soprattutto la gazzetta) ma finire il libro senza di essi è possibile, anche se richiederà un’esplorazione a tappeto del volume.

I quesiti ai bivi, punto nevralgico di qualsiasi librogame propriamente detto, sono essenzialmente di tre tipi:
1) puoi decidere di scattare la foto oppure no
2) puoi usare uno dei tre oggetti da trovare durante il gioco (mappa, guida naturalistica e gazzetta di Inverness)
3) puoi decidere dove andare, cosa fare e come muoverti

Il primo tipo è il più emozionante perché richiede una certa dose di coraggio. Non si avrà mai l’assoluta certezza di beccare il mostro di Loch Ness al primo tentativo. Il testo mette in chiaro indizi accattivanti (vedi sopra) ma il lettore sbaglierà spesso e dovrà ricominciare daccapo ricordando a memoria (o più probabilmente segnando su un foglio) quando scattare oppure no. Per quanto riguarda il secondo tipo di bivio, ho trovato divertente cercare i tre oggetti (nascosti bene) e a inizio storia, molto probabilmente, si dovrà tirare a caso diverse volte. Dei tre oggetti, il meno utile è la gazzetta di Inverness, che ci serve per decidere se fidarci o no delle persone. Nel dubbio, meglio seguire il caro vecchio proverbio: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio... L’ultima tipologia di quesito è la più classica: la domanda aperta su come muoversi o su come comportarsi. Spesso questi bivi appaiono semplici e con poco mordente ma con un’analisi un pochino più approfondita emerge una certa logica che migliora la qualità dei rimandi e del libro in generale. Per esempio, al paragrafo 58 ci viene proposta una tripla possibilità per reperire informazioni utili su dove andare a scattare le foto. Possiamo scegliere tra un ciclista, un uomo a piedi e uno sul trattore. Sembra, in effetti, una scelta troppo casuale ma se pensiamo un attimo a ciò che ci serve (una mappa, un quotidiano e una guida naturalistica) è giusto dire che l’uomo sul trattore difficilmente si porterà dietro una mappa (e ancor meno una guida naturalistica) mentre va al lavoro nei campi. Il ciclista, invece, potrebbe in effetti aver bisogno di una mappa per muoversi ma non di una guida naturalistica  (che si usa quando si fa trekking, a piedi). L’uomo a piedi invece potrebbe aver appena acquistato un giornale o essere in possesso della guida naturalistica ma, molto probabilmente, non della mappa.

Altro significativo esempio in questo senso è quello del paragrafo 11, verso il finale. Siamo sull’autobus e dobbiamo scegliere in che area di sosta vogliamo scendere per scattare le ultime (o l’ultimissima) foto al mostro. La giornata sta volgendo al termine e la luce si sta affievolendo, basta pensare a ciò per decidere di scendere alla prima sosta per non rischiare che la foto venga scura. Non tutti i bivi sono così ben fatti, ovviamente, ma nel complesso la prova è più che superata.

Venendo al finale, ammetto che mi sono cascate le braccia leggendo il paragrafo 65. Non riuscivo a credere che l’autore concludesse la propria opera in quel modo! Si arriva in tempo al giornale ma non c’è nessun dialogo, nessuna storia e nessun finale degno di quel nome. Il librogame si conclude in maniera così triste: “Ricorda che una sola foto del mostro di Loch Ness susciterà un grande interesse ma due foto, o tre, ne susciteranno ancora di più. Per dimostrare con assoluta certezza l’esistenza del mostro, tuttavia, sarebbero necessarie tutte e sei le fotografie che avevi a disposizione. Di conseguenza, se non sei riuscito a raggiungere il totale di sei, prova a giocare di nuovo per migliorare il tuo punteggio”.

Prova a giocare ancora per migliorare il tuo punteggio?! Cos’è uno scherzo? Caro Thraves, mi concludi il librogame sul mostro di Loch Ness rivolgendoti al lettore?! Ma siamo matti? E il pathos della storia dove lo mettiamo? Non si conclude mai una storia (degna di tal nome, almeno) rivolgendosi al lettore perché il lettore non esiste in quel momento. Hai davanti il fotoreporter alle prime armi appena tornato in redazione. È a lui che ti rivolgi, non al lettore. Errore madornale amplificato, oltretutto, dall’ottima immedesimazione nella storia e nei luoghi. E poi nelle regole aveva già spiegato tutto ciò. Perché ribadirlo nel paragrafo finale? Insomma, uno scivolone clamoroso che mi ha fatto davvero riflettere. Perché una scelta così sciatta? Capisco che l’autore abbia puntato molto sulla giocabilità ma finire il volume come fosse un problema matematico non ha senso, sia che ti rivolga ai bambini che agli adulti. Scrivere un finale impone sempre un po' di attenzione. Ogni lettore si immaginerà le cose a modo suo e capisco che non sia facile accontentare tutti. A volte gli autori, se la trama glielo permette, scelgono di stupire con effetti inimmaginabili. Cito ad esempio i finali-shock de Le Segrete di Torgar  (Lupo Solitario 10) e Una Nuova Guerra  (L’Eretico 4). Il più delle volte, però, l’autore sceglie un finale classico. Qua abbiamo il mostro di Loch Ness e l’autore poteva sbizzarrirsi, in un senso o nell’altro. Abbiamo a che fare con un mito che ha vinto la sfida del tempo, almeno per ora. Il mistero del mostro celato sotto le acque del lago stimola la fantasia spingendoci a pensare cosa sappiamo di questo mondo e cosa no. È il gusto dell’avventura e della ricerca della realtà dietro al mistero (o, forse, del mistero stesso in sé per sé) che ci trascina verso orizzonti nuovi, in cerca di emozioni forti.

Longevità 8: 

Il Mostro di Loch Ness è un libro abbastanza longevo in quanto va analizzato bene a fondo prima di concluderlo positivamente. Ha una buona tenuta negli anni (difficile ricordare tutto il true path a memoria per molto tempo) ed è divertente. Una volta completato seguendo le regole, ho gradito andare a spulciare tutti gli anfratti per vedere cosa mi ero perso.
Le illustrazioni mi sono piaciute, sono semplici ma molto evocative (la capanna di avvistamento in riva al lago, i due fotoreporter rivali che bisbigliano tra loro guardandoci storto, il castello diroccato tra la nebbia e la pioggia sul lago sono tutti esempi ben riusciti). In particolare ho apprezzato le illustrazioni delle fotografie scattate: è stata una bella idea quella di disegnare le "nostre" mani che tengono la foto. Anche ciò aiuta l’immedesimazione del lettore, che è come se fosse realmente lì a guardare il risultato del suo scatto.

Difficoltà 8.5: 

Trovo sempre ostico valutare oggettivamente la difficoltà di un LG perché i fattori che la modificano sono assai personali. Secondo la mia valutazione e impressione, la difficoltà è calibrata benissimo. Il Mostro di Loch Ness è uno di quei LG dove bisogna segnarsi tutto, per non ripercorrere troppe volte la via sbagliata ma non è impossibile da finire correttamente. E la correttezza del volume è per me sempre un fattore da tenere in considerazione.

Giocabilità 9: 

Punto forte della storia, naturalmente insieme alle atmosfere e alla “caccia” al mostro. Il regolamento è basato su concetti semplicissimi ma non per questo noiosi. Come già detto, l’autore ha mescolato bene le carte perché le meccaniche sono ottimamente ponderate, le scelte varie e bilanciate bene tra loro. Il true path vincente (che ci permette di scattare al mostro tutte e sei le foto) è uno solo e va cercato con intelligenza e pazienza.

Chicca: 

Secondo me le vere cicche del libro sono i dialoghi, scritti e pensati davvero bene. Spesso anche divertenti. Riporto alcuni esempi: al 34 me lo immagino il conducente del trattore, bello tranquillo, che spegne il motore e si avvicina a noi (che facciamo la figura dell’ennesimo credulone con la macchina fotografica al collo…), con l’aria di chi la sa lunga, dicendoci: “Mi lasci indovinare, sta per caso cercando quello stupido mostro?”. Oppure all’82 è fantastica la risposta dell’uomo cui chiediamo i migliori punti d’osservazione: “Hmm… i migliori punti d’osservazione lungo il lago…” riflette toccandosi la barba. “Beh, dipende da cosa le interessa esattamente. Desidera vedere i monti, i monumenti storici o il lago stesso?” Gli confidi che ti piacerebbe vedere il mostro, aspettandoti che lui condivida la tua curiosità. Invece di colpo il suo tono diventa brusco. “Ah non ho tempo per queste sciocchezze!” risponde irritato. “Credevo che lei fosse un amante della natura, come lo sono io, non uno stupido turista!” e si congeda con un saluto sgarbato. Il librogame è pieno zeppo di queste gag esilaranti. Non mi sembra il caso di trascriverne altre ma consiglio assolutamente un’attenta lettura a tutti gli amanti dei racconti a bivi.

Totale 8.5: 

Il libro nel suo complesso è davvero ottimo e divertente. L’idea di affrontare questo tema interessante va premiata già di per sé ma l’autore ha saputo anche modellare un ottimo equilibrio tra le varie componenti del librogame. Senza troppe pretese di gloria abbiamo una storia che diverte, ben fatta, tascabile e compatta, in perfetto stile della serie. Il vero protagonista, più che il fotoreporter che interpretiamo, è forse il mostro di Loch Ness, che c’è e non c’è, incute timore ma anche tenerezza, compare un attimo e poi scompare e a noi rimane solo quel breve momento da immortalare nella memoria e nella pellicola.