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Recensione

Calibro 70 1: Milano Morente: La Polizia è Abbandonata
Edizione Librogame's Land 2016
autore/i Federico Bianchini
Recensore Dragan

Un’adolescente viene ritrovata uccisa, nuda e martirizzata alla stazione di Milano negli anni di piombo. A occuparsi delle indagini è incaricato il commissario Francesco Sparanero, cupo, spregiudicato e incorruttibile, ignaro di stare per infilarsi nell’avventura più complicata e spaventosa della sua carriera e della sua vita, che porterà a pesanti conseguenze sull’una e sull’altra.

Semplice, graffiante, efficace il presupposto di partenza di quest’avventura iniziale della serie Calibro 70, congegnata e scritta da Federico Bianchini, che annuncia subito, anche nell’introduzione, di avere una vera e propria passione per il genere poliziesco e il sottogenere poliziottesco, e lo dimostra, nel corso dei ben 610 paragrafi, centrando l’ambientazione, il protagonista e la storia.

L’avventura prende le mosse dall’efferato delitto e si fa sempre più grande mentre il protagonista sempre più fragile, e solo, per sopportare un fardello del genere, sfidando il potere costituito e quello occulto che non vogliono che la sua indagine giunga al termine. Lo sbirro è circondato da pochi amici veri, alcuni dei quali vengono meno in corso d’opera, e inseguito da tanti nemici, per lo più sconosciuti e in numero crescente. Non ha nessuno di cui fidarsi, incontra donne cangianti che potrebbero tradirlo, ha il pensiero di una famiglia vulnerabile da proteggere.

La cappa sul commissario diventa, insomma, via via più opprimente fino al climax, con almeno 6 finali possibili, ma le combinazioni sono anche di più, dopo aver incontrato o meno in un cameo straordinario uno dei protagonisti più controversi dell’eversione nera degli anni Settanta. Un finale aperto, in realtà, che porterà Sparanero da Milano a Genova, dove scoccherà, come da titolo dell’annunciato e minaccioso sequel, “l’ora della violenza”.

È un librogame con i controfiocchi, quello di Bianchini: molto strutturato, con tantissime strade da esplorare, tantissime varianti alla storia, felici o tragiche. Il tono è sempre plumbeo, com’è giusto che sia, e si respira appieno l’atmosfera dei film di genere che l’autore ha studiato a menadito: uno spirito di cattiveria, spietatezza, malinconia che trasuda appieno tra le righe.

Quello che più piace, di questo “Milano Morente: la Polizia è abbandonata”, è il giusto equilibrio raggiunto tra l’azione e la narrazione. Sparanero ha alcune abilità di base, quelle che ci si può attendere da un commissario di polizia esperto: la capacità di sparare, di guidare, la freddezza, l’intelligenza sociale, l’astuzia, la cultura. I lanci di dadi si susseguono, ma non stancano perché come in un buon poliziottesco la sorte esige il suo giusto riconoscimento.

Nei suoi elementi funzionali il sistema di gioco richiama in parte i Dimensione Avventura e in parte la serie Sherlock Holmes; fa da motore alla vicenda e non ne diventa il protagonista, lasciando il proscenio alle pallottole, ai bulli e pupe, alle figure misteriose e alle sette sataniche.

Quest’ultimo elemento, l’esoterismo in generale, pure dev’essere un campo di studio dell’autore, vista la qualità e quantità delle citazioni e delle nozioni citate nel testo. È una presenza fissa, talvolta latente, talora impattante, ma non toglie credibilità alla trama investigativa, giocando sul filo della sospensione dell’incredulità del lettore.

Andando alla valutazione finale, non può che essere oltremodo positiva. L’eccellenza non viene raggiunta solo per qualche refuso di troppo che ‘sporca’ la lettura, indice di un editing un po’ frettoloso in una gestazione che è stata comunque molto lunga, e per alcuni bug di funzionamento del gioco in cui si può incappare a livello di sviluppo della trama: sapere cose che non si erano apprese in precedenza o aver incontrato persone e compiuto azioni che non si sono compiute.

Sono elementi minoritari, ma onestamente ci sono e, per quanto si debba riconoscere la complessità dell’apparato e delle variabili messe su dall’autore, questi stessi elementi da soli non bastano come giustificazione sufficiente.

Un peccato, visto il pregio complessivo dell’opera. Che una volta conclusa e metabolizzata, fa venire da chiedersi come mai le case editrici debbano incaponirsi a ristampare i classici del passato, contando su sempre più complicate “operazioni nostalgia”, invece di dare fiducia, trasformandole in progetti professionali, a operazioni del genere che hanno una dignità più che ottima e affondano nella storia e nella cultura di questo Paese.

Alle corte: se dal 2003 non ci fosse Lgl a occuparsene, chicche come queste probabilmente non avrebbero quasi nessuna diffusione.

Longevità 9: 

Le strade da esplorare sono davvero, ma davvero tante. Agli stessi traguardi si può arrivare in modi diversi e ci sono interi pezzi di storia, gloriosi o dolorosi, che potrebbero essere ignorati limitandosi a una sola lettura. Vale davvero la pena rigiocarlo cercando di migliorare la propria prestazione investigativa, limitando maggiormente i danni e aumentando i pezzi del puzzle a propria disposizione.

Difficoltà 8: 

Ci vuole una certa intuizione per trovare le strade giuste, e c’è sempre la componente della sorte avversa che può metterci lo zampino. Numerosi i check e spesso servono risultati buoni o buonissimi ai dadi per portare a casa la pellaccia senza danni.

Giocabilità 8: 

Gameplay semplice ma sufficientemente potente per garantire imprevedibilità e interattività all’azione. Eppure, alla fine è la storia che prevale: insomma l’obiettivo è centrato.

Chicca: 

Le citazioni di genere sono a dir poco infinite. Il capo di Francesco Sparanero, che peraltro è il nome all’anagrafe di Franco Nero, altro celebre attore del poliziottesco, si chiama Maurizio Merli, come l’interprete del commissario Betti nella cosiddetta “Trilogia del commissario”. Un antagonista è Remo Capitani, il Mezcal di Trinità e caratterista storico di Cinecittà. E poi c’è il collega Gilardi, poliziotto pur senza essere Tomas Milian, e così via...

Totale 8.5: 

Depurato dalle imperfezioni, come tanti prodotti di Lgl tutt'altro che amatoriali andrebbe preso, tradotto e "sparato" sul mercato internazionale al grido di: in Italia i librogame li facciamo così.