Il pregio principale (probabilmente l’unico) di questo Corto è l’originalità, anche se per i motivi che dirò in seguito è un’originalità relativa. Di certo il protagonista si discosta molto da quello che ci si aspetterebbe in un librogame, e anche nella categoria “cattivo” risulta originale come già evidenziato da Farren.
Superato lo “shock value” della scelta del protagonista e dell’ambientazione originale, rimane un Corto abbastanza (abbastanza) ben congegnato a cui fa evidentemente difetto la durata standard imposta dal bando di concorso: dopo una magniloquente prima parte e una godibile seconda parte, non rimane che il lumicino di storia con cui si spegne la terza parte. È molto rischioso partire “alti”, perché è facile non mantenere costante la qualità (o le aspettative che si sono generate) ma soprattutto si rischia come in questo caso di afflosciarsi sul finale deludendo il lettore che si era conquistato all’inizio. Il tema dell’Apocalisse può sembrare “buttato lì” se a una prima lettura il leggiocatore non fa le scelte giuste (e perché dovrebbe farle, se una vale l’altra?), giudicandolo inserito a forza nella trama come è successo a me durante la prima partita. In realtà, giocando varie volte e prendendo altre strade (cfr. il mio post in seconda pagina, a cui rimando anche i Savonarola del tasto MODIFICA) si vede come si tratta di un tema costante di tutto il Corto, che però può passare del tutto inosservato fino alla fine!
Per questo ho scritto che il Corto è “abbastanza” ben congegnato: l’autore avrebbe potuto/dovuto predisporre qualche sistema per far incontrare la parte “giusta”, cioè inerente all’Apocalisse, nella seconda parte se la si era persa nella prima (penso ad esempio a un sistema di codici: se all’inizio non sei andato in chiesa segnati “X”, e se arrivi nella seconda parte con la “X” allora devi accedere a un paragrafo in cui si citi l’apocalisse). L’invito velato che ci dà l’autore al paragrafo 48 (che come finale è più illuminante di quello al 46) potrebbe servire proprio a farci ricostruire la “vera” storia, ma è un mezzuccio un po’ stucchevole.
È anche vero che abbiamo il paragrafo nascosto citato nella locandina, in cui viene svelato il sottotesto del Corto, ma credo che la maggior parte degli utenti di LGL si siano divisi in due categorie al riguardo: quelli che avranno preso l’illustrazione come semplicemente decorativa (come inizialmente me, vedi sotto) e quelli che avranno colto l’indizio ma avranno pensato: “Ma dai, lo stesso sistema usato da
Steve Jackson con la pergamena del Serpente del Tempo!
L’autore non può essere stato così scontato!” senza dare quindi seguito all’indizio.
Prima ho accennato a una originalità “relativa”: il fatto è che attingendo a piene mani dal ricco serbatoio della Commedia all’Italiana (e anche da altro che però c’entra come i cavoli a merenda, per quanto possa risultare divertente: puro fan service, insomma) l’autore ha ripreso tic, battute e intere sequenze di film. Per cui, si può davvero parlare di “originalità” quando invece è più preponderante l’aspetto citazionista? Concedo all’autore il beneficio del dubbio.
Ben più lodevole l’originalità (questa sì che lo è) del punto di vista con cui si è scelto di interpretare l’Apocalisse, cioè quella filtrata dalle filosofie New Age. Peccato che per cogliere questo aspetto bisogna leggere più volte il Corto o avere la fortuna di capitare sin dalla prima lettura nei paragrafi “giusti”, oppure leggere prima il paragrafo nascosto.
L’uso del dialetto in generale non mi piace molto, così come trovo artefatto l’uso di un italiano arcaico o del latino maccheronico (il celebrato
Gioco di Lionardo lo avrei stroncato solo per quello) ma in questo caso non è troppo invasivo e si lascia leggere. Ho notato però che l’autore tende a ripetersi, e ha usato sin troppe volte la parola “poracci” e un’altra che curiosamente ho usato anch’io in uno dei primi commenti – improbabile che si scopra qual è vista l’abitudine a non leggere mai i post delle pagine precedenti (altrimenti i Savonarola del tasto MODIFICA non lancerebbero le loro infamanti accuse
).
Oltretutto non sempre i termini in corsivo sono prettamente dialettali, ma semplicemente forme sbagliate di usare l’italiano. Se fossi romano avrei anche potuto offendermi.
Una cosa che invece ho veramente apprezzato del Corto è il lavoro di documentazione che si è accollato l’autore: ho controllato alcune cose e in effetti non ci ha raccontato balle (la TETI è esistita veramente insieme ad altre società di telefonia e copriva proprio l’area in cui dovrebbe svolgersi il Corto, Cinecittà nel 1953 era già operativa nonostante io credessi che l’avessero fondata dopo, ecc.). Ovviamente non mi sono messo a controllare tutti i dettagli, ma l’impressione che ho avuto mi basta ad apprezzare questo aspetto del Corto, ben più delle semplici citazioni fatte dall’autore.
Il Corto mi ha lasciato però un po’ di amaro in bocca: non tanto (o non solo) per il finale affrettato e raffazzonato quanto perché racchiudere quarant’anni di storia italiana in un Corto non è ovviamente possibile (e forse non era nemmeno l’intenzione dell’autore) e alla fine si scade inevitabilmente nel qualunquismo – anche se a leggere il giudizio di Anima di Lupo forse questa è stata solo una mia impressione.
Altra fonte di dispiacere: la formattazione (si dice così?) disastrosa. Probabilmente avrete notato anche voi uno spazio doppio tra un paragrafo e l’altro verso la fine, che con ogni probabilità “bilancia” il 34 attaccato al paragrafo precedente. Ho voluto sperare che la ragione di questa situazione infelice sia il passaggio dal formato Word al Pdf cui ci hanno ignominiosamente costretti gli organizzatori, ed Aloona ha confermato questo sospetto (per quanto questa spiegazione ricordi l’immarcescibile scusa dei tecnici informatici quando in ufficio non funziona qualcosa: “Sì, ne siamo informati, è un virus e ci stiamo già lavorando”, oppure l’ossessivo riferimento a un fantomatico “stress” da parte dei medici che non riescono a stilare una diagnosi corretta).
Cionondimeno, l’autore avrebbe dovuto progettare meglio le intestazioni degli “atti”, magari scrivendole dopo i numeri dei paragrafi.
Sono commosso e rincuorato nel vedere che c’è qualcuno ancora più impedito di me in queste faccende tecniche, ma alla fine questo elemento dona al Corto un’aria sciatta e ancor più raffazzonata che non gli fa certo onore.
Una nota finale sulla “copertina”: inizialmente mi ha piuttosto infastidito, perché alla proposta di un mio elaborato con alcuni disegnetti gli organizzatori sono stati molto solerti nel rispondere che non erano ammesse illustrazioni “sciolte” e solo poi ho notato l’imbeccata sul paragrafo nascosto. Ciò detto, all’ultima Lucca (Goblins & Caves) ho visto una bellissima mostra sulle locandine cinematografiche e posso ben dire che l’autore deve farne ancora molta di strada!
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