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Recensione

Collana Trivio 1: Echo 931 - Primo Contatto
Edizione Il Barone Games 2022
autore/i Alberto Tronchi
Recensore gpet74

Echo931 è un Libro Game di fantascienza nato dalla penna di Alberto Tronchi e venuto alla luce (cartacea) grazie ad un riuscito Kickstarter volto alla creazione di una nuova collana di Libro Game, comprendente tre generi: Fantascienza, Horror e Fantasy.
Al momento due dei primi tre libri annunciati hanno visto la luce e questo Echo931 è il primo della serie fantascientifica.

Facendo un giro sulla pagina Kickstarter dedicata al progetto si scopre che, a seconda del livello di supporto che si vuole dare al progetto (leggasi: quanti soldi si vuole sborsare) si possono ottenere i PDF dei romanzi, un misto di PDF e ed edizioni cartacee, e poi, a salire con il “supporto” una pletora crescente di stretch goals dalla dubbia utilità, quali segnalibri, matite personalizzate, buste, copertine soft touch (qualunque cosa siano) compendi vari, ma anche racconti spin-off tra i vari libri, che quindi, deduco, pur afferendo a generi diversi facciano parte dello stesso universo narrativo. E ancora: medaglie, tazze, poster, taccuini delle schede, e Dio solo sa cos’altro.
Se tutta l’energia profusa per la creazione di questi stretch goals fosse stata dedicata alla scrittura, oggi avremmo almeno dodici volumi pronti alla lettura, anziché solo due più uno in arrivo.

Ma non sono qui per parlare della campagna marketing della Collana Trivio, bensì per analizzare il libro Echo931.
La storia ha un che di già visto. Quello che lascia in bocca non è un sapore cattivo, ma solo un po’ stantio.
Le vicende sono narrate al presente della terza persona singolare, cosa che fa un po’ specie, visto che per il Libro Game siamo abituati alla prima persona, mentre per i libri di narrativa classici il tempo utilizzato più di frequente è il passato. Questa scelta probabilmente è stata dettata dal fatto di avere tre protagonisti principali le cui vicende vengono raccontate in capitoli che si alternano.

L’incipit è il seguente: da qualche parte nello spazio e in un futuro lontano esiste un bellissimo pianeta in cui i nativi vivono in perfetta armonia con la natura, Il pianeta stesso è una creatura semi-senziente tanto che la sua energia è incarnata in un enorme albero dal nome impronunciabile…
Come? Qualcuno ha detto “Ma è come il pianeta Pandora di Avatar”?
Sì, esatto! Cominciate a sentire il retrogusto stantio?
Ma tornando alla storia, bisogna sapere che vent’anni prima una nave colonica terrestre è sbarcata su Echo 931; purtroppo le interazioni con i nativi non sono andate proprio benissimo. Non entro più nel dettaglio perché queste informazioni, che pure dovrebbero essere di dominio pubblico, o quantomeno conosciute dai protagonisti della storia, non vengono che appena accennate e occorre attendere la metà abbondante del romanzo prima di poterle approfondire.

Adesso la Van der Mer Corporation ha approntato una nuova nave colonica, la Dante X399 perché raggiunga Echo 931 e tenti una nuova colonizzazione.
I protagonisti sono il capitano della nave, Anneke Van der Mer, nonché figlia del magnate che ha finanziato l’impresa, Blue, un’intelligenza artificiale evoluta e infine Samuel, un tecnico.
Le cose vanno storte fin da subito. Un membro dell’equipaggio della Dante sabota la nave e la porta a schiantarsi sul pianeta. Sul perché lo faccia non avremo modo di capirlo che verso la fine del libro, ma anche allora ci troveremo di fronte ad una spiegazione un po’ raffazzonata in cui le effettive motivazioni restano confuse. Probabilmente lo ha fatto per mandare avanti la trama e basta.
Solo due persone dell’equipaggio si svegliano dal crio-sonno, Anneke e Samuel, mentre l’IA, Blue, deve trasferire la propria coscienza dentro un droide. Tutti e tre abbandoneranno la Dante e cominceranno a vagare per il pianeta come trottole, senza re-incontrarsi che alla fine del libro.

La situazione su Echo 931 intanto è mutata, rispetto all’arrivo della prima nave colonica. I nativi ora sono ostili e l’energia del pianeta si è incarnata dentro al più ostile di loro che ha quindi poteri enormi e un astio verso gli umani ancora più grosso. Se a questo aggiungiamo un complesso intrigo ordito da Bernard Van der Mer, proprietario della mega corporazione e padre di Anneke, abbiamo garantito in intreccio elaborato con numerosi colpi di scena.
Sulla storia in sé non voglio aggiungere altro per non rovinare la lettura a chi volesse cimentarsi con questo libro. Devo però fare alcune considerazioni sulla scrittura e sullo sviluppo narrativo.

Echo 931 non è scritto male, anzi. Pur non facendomi impazzire la scrittura di Tronchi è pulita e concisa, fa il suo dovere nel descrivere le scene con la giusta dovizia di particolari, anche se forse l’ho trovata un pelino fredda e didascalica. Come fredda, anzi freddissima è la struttura del libro.
Infatti ognuno dei diciotto capitoli dura esattamente venticinque paragrafi, anche se verso la fine del libro questa ferrea struttura si ammorbidisce un po’ e alcuni capitoli arriveranno a contare addirittura ventisei paragrafi.
La struttura all’interno di ogni capitolo si ripete pressoché identica. Dopo una breve introduzione e magari un paragrafo che ci propone una scelta, solitamente finta, ci troveremo in una situazione in cui il tempo scarseggia, vuoi per questo o per quel motivo. La cosa è simulata dall’unica o quasi meccanica di gioco presente nel libro. Ci si ritrova in un paragrafo con tre possibili diramazioni dove potremo sceglierne solo due, visto che, appunto, il tempo è tiranno. Non si tratta mai, però, di vere decisioni, ma per lo più di approfondimenti della trama. Quindi, per fare un esempio, possiamo decidere di approfondire con un PNG appena incontrato due dei seguenti tre argomenti: Chi è, cosa ci fa qui o dove vuole andare. Dopodiché, qualunque siano state le nostre decisioni, dovremo proseguire verso un paragrafo predeterminato, Come accennato prima queste decisioni il più delle volte non hanno alcun’influenza sullo svolgimento della trama e servono solamente ad arricchire di dettagli la vicenda. Peccato che arrivati verso la fine del libro, quando ormai l’intreccio è chiaro, il ripetersi ossessivo, capitolo dopo capitolo, di questa meccanica, comincia a stufare.

Le scarse decisioni che ci viene richiesto di prendere spesso comportano il dover marcare delle parole chiave in fondo al libro. Queste parole chiave sono davvero tante, ben ottantacinque!
All’inizio devo dire che questo sistema piaceva, avevo la sensazione che prendere una decisione, anziché un’altra comportasse ripercussioni i anche molto in là nel proseguo della storia… Ma già dopo pochi capitoli mi sono dovuto ricredere.

L’impressione fortissima che ho di questo libro è che sia stato pensato come un romanzo lineare e solo in un secondo tempo l’autore abbia deciso di farne invece un romanzo a bivi, appiccicando qualche minuscola e ininfluente deviazione. E quando dico minuscola intendo proprio questo. L’aver preso una decisione, con relativa spunta di una parola chiave, comporterà di poter leggere un paragrafo differente rispetto a quello che leggeremmo se non avessimo quella parola chiave, ma alla fine entrambi i paragrafi condurranno al medesimo risultato. Ad esempio nel primo capitolo seguiremo le vicende del sabotatore di cui ho accennato prima, potremo decidere di manomettere la tuta da combattimento del capitano o meno. Nel secondo capitolo andremo a seguire il capitano Anneke, che si troverà ad avere a che fare con dei nativi particolarmente ostili. Ebbene, se avremo la tuta sabotata, Anneke dovrà liberarsene, e combattere a pugni e calci. Se invece la tuta sarà operativa i nativi la danneggeranno… quindi Anneke dovrà liberarsene e continuare a combattere a pugni e a calci.
Questo esempio è esplicativo del concetto incredibilmente limitante che ha l’autore di cosa sia un Libro Game, perché questa meccanica si ripete inesorabilmente per tutto il libro, portandoci alla conclusione che le nostre scelte non andranno a influenzare minimamente la storia, né nel suo epilogo, né nel suo svolgimento.

Non resta altro da fare che concentrarsi sulla storia, dunque, accettando il fatto che le nostre decisioni porteranno solo a cambiamenti meramente estetici. La domanda a questo punto è: riesce la storia ad essere abbastanza coinvolgente da far chiudere un occhio sul fatto che come Libro Game quest’opera è tremendamente Libro e pochissimo Game?
La risposta purtroppo è: no!
Come accennato in apertura della recensione, l’ambientazione è una scopiazzatura con ben poca originalità; i personaggi in partenza sembrano interessati e ben caratterizzati. Teoricamente l’intera opera avrebbe potuto reggersi sulla personalità dei protagonisti. Anneke Van der Mer e il suo conflitto con il padre, l’IA Blue, costretta in un unico corpo robotico che sperimenta la paura della propria mortalità e sviluppa una coscienza emotiva e non solo logica ed infine il tecnico Samuel che, teoricamente, dovrebbe scoprire di essere solo un clone con ricordi impiantati… non sto facendo spoiler, questo plot twist pazzesco viene rivelato dallo stesso autore nella scheda personale di Samuel, che possiamo leggere prima ancora di iniziare il romanzo... una decisione incomprensibile!

Peccato che poi il tutto venga annacquato dall’autore che all’improvviso sembra aver deciso di abbassare il target della propria opera per un pubblico di adolescenti o pre-adolescenti.
Il mondo di per sé non è plausibile. Questi alieni nativi sono a tutti gli effetti degli umani, connessi alla matrice energetica del pianeta ma comunque umani in tutto e per tutto, tanto è vero che molti coloni sopravvissuti della precedente nave si sono accoppiati con gli alieni producendo prole fertile…
Tutta la vicenda, che da come viene raccontata ha risvolti planetari, si svolge in pochi chilometri quadrati. Sembra di vedere una vecchia puntata di Star Trek, di quelle in cui la nave arrivava davanti ad un pianeta…ma poi il pianeta si riduceva a quattro case di cartapesta davanti ad uno sfondo dipinto e una dozzina di alieni umanissimi… Ragazzi, ma avete idea di quanto sia grande un PIANETA??? Di quante e quali varietà di culture intelligenti possa ospitare? E invece tutto viene ridotto a quella che sembra, per estensione e popolazione, una bega di condomino.

E poi ancora, Anneke incontra una nativa aliena e il suo cuore comincia a palpitare, ogni volta che ha a che fare con questa aliena o che le loro mani si sfiorano, è tutto uno sfarfallio nello stomaco. Ovviamente corrisposto, neh? Ok, ci può stare che il capitano della nave sia lesbica, nessun problema, ma che si comporti come una tredicenne alla prima cotta l’ho trovato intollerabile.
Ah, e poi ci sono le coincidenze improbabili. Ovviamente l’aliena è lesbica anche lei… molto probabile, no? Poi Samuel incontra e si infatua anche lui di un’altra aliena, che invece predilige la salsiccia alla patata, ma guarda tu le coincidenze della vita! E poi si scopre che le due aliene sono anche sorelle! Ma Blue, che essendo una IA in un corpo robotico per fortuna non ha pulsioni sessuali adolescenziali. E quindi? Quindi incontra un tenero bambino sordomuto con cui comunica con il linguaggio universale dei segni, che è davvero universale, visto che viene usato anche dagli alieni che hanno avuto pochi o nessun contatto con i terrestri (E in ogni caso nella loro storia avranno pur sviluppato un loro metodo di comunicazione gestuale, no? Perché adottare quello eventualmente importato dai coloni arrivati appena vent’anni prima?).
E quindi ecco che la storia è tutto un tripudio di cuoricini e buoni sentimenti. Nonostante la superiorità tecnologica degli umani non vengono mai usate armi da fuoco e tutti i combattimenti si risolvono in scazzottate e onde di energia che sbatacchiano di qua e di là la gente ma mica fanno male davvero. I personaggi, poi, non fanno altro che andare avanti e indietro in questi pochi chilometri quadrati, apparentemente senza costrutto e, soprattutto, senza che noi ci si possa fare nulla.

E finalmente il romanzo arriva al termine. C’è un epilogo per ogni protagonista, ma la sensazione è comunque quella di una storia monca. Certo una delle questioni sollevate nel corso della lettura viene risolta, ma ne rimane assolutamente aperta un’altra che, addirittura, è molto più importante della prima. Probabilmente la cosa è voluta in vista di un seguito, ma la sensazione è quella di un’opera incompiuta.

Longevità 5: 

Purtroppo la storia prosegue su un binario unico e prefissato. Rileggere questo libro nella speranza di trovare nuovi percorsi è inutile.

Difficoltà 5: 

Non esistono Istant Death e nemmeno enigmi che possano bloccare la lettura. Nel momento in cui si apre questo Echo 931 si ha la certezza matematica di arrivare a leggere l’ultima pagina dell’ultimo epilogo senza alcun ostacolo nel mezzo

Giocabilità 6: 

Il sistema di gioco delle parole chiave è rodato e funzionale. Non sarebbe nemmeno implementato male, se non fosse che avere o non avere una parola chiave comporta ben poche differenze nella storia, per non dire nessuna.

Chicca: 

/

Totale 6: 

Nonostante i difetti che ho elencato nel corso della recensione non i sento di dare l’insufficienza a questo Echo 931. Tanto per cominciare è scritto bene e poi la storia, al netto di qualche caduta di stile e ingenuità di troppo, è anche interessante.