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Recensione

Kata Kumbas GG Studio 2: Il Torneo della Regina Bella
Edizione GG Studio 2017
autore/i Francesca Baerald,Umberto Pignatelli
Recensore Zakimos

“Il secondo album è sempre il più difficile” cantava Caparezza prima di diventare un guru. È una massima che si può applicare anche alle saghe di librigioco: il secondo volume di una serie è spesso un episodio di raccordo, soprattutto quando si parla di trilogie. L’autore si trova davanti a una scelta tra riproporre quanto già fatto con il libro 1, magari ampliandolo e correggendo qualcosa, oppure al contrario rivoluzionare il precedente lavoro cambiando totalmente direzione.

In questo caso stiamo parlando del secondo volume della serie edita da GG Studio e ambientata nell’universo di Kata Kumbas, in un’Italia trasfigurata e medioevaleggiante ispirata al fantasy classico unito alla commedia dell’arte nostrana.

Parlando del primo volume (“Il Cavaliere della Porta”), ho elogiato la sua storia e l’ambientazione rilevando però un basso livello di interattività e una scarsa varietà di gioco di partita in partita.

Per quanto riguarda il secondo problema questo volume presenta 500 paragrafi esattamente come il predecessore, tuttavia è spesso il DOPPIO, con paragrafi tra i più lunghi mai letti in un librogioco. L’enorme quantità di parole contenuta nel libro è comunque nulla rispetto alla variabilità di situazioni che l’autore è riuscito a rinchiudere tra le sue pagine utilizzando una tecnica (personalmente) mai vista prima in un’opera interattiva.

Nel corso della storia dei librigioco abbiamo visto gestire i bivi in modi differenti: c’è chi li ha usati per dare alla storia un esito radicalmente diverso (gli Scegli la tua Avventura), chi ha trasformato la storia in un puzzle da risolvere, chi ha usato i bivi per dare accesso a missioni secondarie che confluiscono poi in un percorso unico, e infine c’è chi - pur mantenendo un unico epilogo - li ha sfruttati per dare varietà alla storia con piccoli eventi secondari, che poi ne produrranno altri attraverso un sistema di “interruttori” (le parole in codice) e così via.

“Il Torneo” sceglie una strada simile all’ultima ma lo fa in modo estremo. Quasi ogni bivio apre la strada a minuscole vie secondarie alternative, che nascono e si esauriscono nel giro di uno-due paragrafi, al termine dei quali viene dato al giocatore un nuovo “interruttore” (nota di gioco, oggetto numerato da usare senza indicazione del testo o indizio) che potrà essere sfruttato in un paragrafo successivo per avere accesso a un’altra via, la quale anch’essa ne produrrà un’altra e così via.

Questo accade praticamente A OGNI SINGOLO BIVIO del volume, compresi l’inizio e la fine della storia. Ora immaginate di applicare quanto sopra a un libro di 500 paragrafi e capirete che “Il Torneo” ha davvero poco in comune con il predecessore dal punto di vista della variabilità di gioco.

Tornando al discorso iniziale, si avverte leggendo questo libro il desiderio dell’autore di superare la semplice struttura a “punti di controllo”  de “Il Cavaliere della Porta”, riuscendo a innovare un genere – quello del librogioco narrativo – che sembrava impossibile da svecchiare, e di farlo mantenendo un numero di pagine e di paragrafi accettabile per un’opera commerciale. Non è un’operazione indolore: il numero di “interruttori” di cui dover prender nota è altissimo, e difficilmente il poco spazio sulla scheda basterà a tener traccia di tutte le note di gioco che il libro ordinerà di segnare, per non parlare della gestione dell’inventario. Inoltre tutte queste micro-storie potrebbero sembrare in alcuni casi scollegate, visto che raramente è possibile sapere quando e come potremo usare gli “interruttori” ottenuti, col risultato che spesso si procederà a tentoni vivendo ogni volta una sequenza di eventi differenti, ma senza avere un vero controllo sul loro dipanarsi.

Si tratta a ben vedere di un costo necessario per far funzionare una struttura che mi sento di definire coraggiosa e innovativa, come raramente ne ho viste in un’opera moderna, per di più priva dei “loop” presenti in più punti nel volume precedente.

Ma non è finita qui: oltre a risolvere il problema della variabilità di gioco e dei “loop”, l’autore ha deciso anche di aumentare il peso delle scelte del giocatore (fermo il limite sopra evidenziato), il quale potrà compiere azioni radicalmente diverse e che avranno a loro volta conseguenze differenti sia in questo che nel successivo volume della saga. Il protagonista, Ugger, sarà sempre scolpito nella pietra e si muoverà ancora in modo indipendente - non dimentichiamoci che ogni “scena” si esaurisce nel giro di un paio di paragrafi, impedendo un reale coinvolgimento del lettore nel singolo evento - ma la somma finale di tutti questi incontri sarà ogni volta diversa a seconda delle varie strade che il giocatore avrà preso.

Sembrerà davvero di trovarsi di fronte a un Scegli la tua Avventura ultrapotenziato in cui ogni bivio, anche il più impercettibile, si sommerà ai successivi per creare una storia sempre differente, come in un enorme “effetto farfalla”.

Ho giocato a “Il Torneo” per otto volte prima di uscire vincitore dall’impresa e credo di aver trovato giusto la metà dei potenziali interruttori, anche nelle zone in cui sono passato più volte battendole a tappeto. Il sistema avrebbe potuto essere gestito meglio (ci sono note di gioco che potevano essere tranquillamente evitate rendendo più snello il tutto), ma sarà impossibile restare indifferenti di fronte a così tanta carne al fuoco, per di più immaginando cosa riserverà il futuro nel volume conclusivo della trilogia; e che dire della storia? Magari non epica come quella del volume 1, ma di certo più vicina a noi e affascinante nel voler mettere su carta una vera leggenda delle terre emiliane, protagoniste assolute anche grazie al cast di comprimari e al contributo della coautrice Francesca Baerald.

Adesso i più curiosi di voi che hanno già sbirciato il voto finale si chiederanno come mai dopo una sbrodolata del genere il mio voto complessivo a “Il Torneo della Regina Bella” sia uguale a quello de “Il Cavaliere della Porta”. Il motivo è che insieme agli oggettivi pregi sopra riportati il libro presenta degli altrettanto evidenti limiti che ne pregiudicano la godibilità complessiva.

Kata Kumbas sfrutta il Venture System, un sistema senza dadi che prevede alcune caratteristiche (Forza, Astuzia e Saggezza) a ciascuna delle quali devono essere associati dei punti (18 in totale nel nostro caso), potendo così creare un personaggio forzuto ma poco sveglio e così via. La somma dei punti nelle tre caratteristiche corrisponderà all’Energia iniziale, ossia i punti vita, a cui si assocerà il Fato, risorsa preziosa e difficile da recuperare. Nel corso del gioco il testo presenterà delle prove che potranno essere superate solo avendo un certo punteggio in una determinata caratteristica, ma con la possibilità di potenziarla solo per la prova in corso spendendo punti Energia (1 punto in più per Energia spesa) e punti Fato (4 punti in più per Fato speso).

Nel volume 1 l’applicazione del sistema non era riuscita per l’abbondanza di occasioni per recuperare Energia e Fato, e per la generica irrilevanza dell’assegnare i punti a una caratteristica piuttosto che a un’altra. Nel volume 2 questi difetti rimangono sostanzialmente inalterati: è quasi impossibile morire per esaurimento dell’Energia se si parte con 18 punti complessivi e avere 1 o 10 punti in una caratteristica non è mai una buona scelta, visto che TUTTE verranno messe alla prova con la stessa frequenza nel corso degli eventi (con l’unica eccezione del Torneo del titolo). Ne consegue che la soluzione migliore sarà sempre avere punteggi mediani in ogni caratteristica, eventualmente privilegiando quella meno potenziabile con dei bonus.

Inoltre le rare occasioni presenti nel libro 1 in cui era possibile scegliere tra test diversi per lo stesso evento sono qui ancora più rari se non del tutto assenti: un caso emblematico si ha all’arrivo al Torneo, quando verremo obbligatoriamente sottoposti a un test di Saggezza a 8 punti (potenziabile con un bonus, ma tant’è). Impossibile reagire all’evento in un modo diverso, ad esempio con la Forza approfittando dei 10 punti del proprio Ugger: non è previsto e in caso di fallimento si perderà inevitabilmente 1 punto Fato. Alla faccia del “fallimento interessante” che dovrebbe essere alla base del Venture System!

Nel volume 1 era possibile giocare con personaggi sbilanciati e 15 o 12 punti Energia complessivi, non potendo così avere accesso ad alcune sezioni. “Il Torneo” prevede questa possibilità, ma la conseguenza è un consumo di Energia continuo se non si riduce al minimo le prove, con conseguente morte sul lungo periodo. Il gioco diventa quindi una caccia alla “giusta via” a tentativi, come quando si cerca il percorso previsto per le proprie Abilità nella serie Realtà Virtuale. Magari per qualcuno sarà divertente, ma personalmente dopo un paio di sconfitte ho deciso di abbandonare il mio Ugger con 2 punti Saggezza creato nel libro 1 e ricominciare da capo con un personaggio mediano.

Questi difetti sarebbero meno marcati se non si accompagnassero alla mole di informazioni di cui bisogna tener traccia a ogni lettura. Visto che il libro presenta già un elemento complesso da gestire, ossia gli oggetti numerati e le note di gioco, mi ha infastidito il dovervi aggiungere i punti Caratteristica e gli oggetti per recuperare Energia (che occupano prezioso spazio nell’inventario a discapito degli interruttori), nonché soprattutto il non vederli  applicati in modo da rendere l’esperienza di gioco migliore ma soltanto più complessa. La sensazione ancora una volta è che il libro avrebbe funzionato ugualmente rimuovendo il Venture System del tutto e lasciando solo la gestione delle parole chiave su cui – è evidente – si è concentrato il bilanciamento della parte gioco.

Il secondo problema de “Il Torneo” è costituito dal suo rapporto tra difficoltà e lunghezza del testo. Ho detto che è quasi impossibile morire per esaurimento di Energia ed è vero, ma non ho detto che il libro è disseminato di morti istantanee, soprattutto dalla metà in poi, inserite forse a seguito di alcune lamentele in ordine alla difficoltà molto bassa de “Il Cavaliere della Porta”. Nella recensione al primo volume avevo riscontrato anche io uno sbilanciamento verso il basso della difficoltà, immaginando però che un livello maggiore non avrebbe fatto bene al libro vista la lunghezza dei suoi paragrafi. Con questo secondo volume ho avuto la conferma di averci visto giusto.

Non hai quell’oggetto? Sei morto. Fallisci quella prova? Sei morto. Fai una scelta sbagliata? Perdi tutti i tuoi oggetti, il che significa che morirai tra poco. Non ho nulla contro alle morti istantanee, anzi, so che molti lettori di librigioco le adorano: autori come Steve Jackson hanno costruito la loro popolarità intorno alle “istant death”; ma è evidente che nel momento in cui si costringe il lettore a ripartire dall’inizio dopo ogni sconfitta –  magari avvenuta perché si aveva buttato via quel pugnale indispensabile, per far posto all’ennesimo oggetto numerato o curativo – si deve tener conto del senso di ripetitività che si rischia di ingenerare, cercando di evitarlo in qualche modo. Si può ridurre i testi al minimo, oppure rendere la sconfitta poco probabile, inserire una morte non permanente (ACDRA7, Terre Leggendarie) o ancora invogliare il lettore a prendere una strada diversa a ogni tentativo. 

“Il Torneo” non fa nulla di tutto ciò. Non è possibile saltare i lunghissimi spezzoni di testo: i paragrafi nascondo spesso informazioni importanti che saranno evidenti solo in rilettura, senza contare che leggere solo i bivi svilisce l’idea stessa del librogioco. Non ha senso neppure prendere una strada differente a ogni partita, perché così facendo si otterrebbero altri oggetti e note di gioco senza sapere a cosa servono, per non parlare del rischio di incappare in un’ALTRA morte istantanea imprevedibile, perché magari non si aveva un oggetto presente.... nella vecchia strada non scelta!

Visto il rischio continuo di crepare, il modo migliore per uscire vincitori da Kata Kumbas 2 è ripercorre a ogni tentativo la stessa via deviando solo quando in precedenza si ha commesso un errore: come ne “Il Signore di Ixia” per intenderci, un libro sicuramente interessante ma che non metterei a paradigma dei titoli ben bilanciati.

Infine c’è un ultimo difetto che abbassa il voto de “Il Torneo della Regina Bella” ed è la quantità di errori, refusi e imprecisioni contenuti nelle sue numerose pagine. Virgole tra soggetto e verbo, maiuscole a metà pagina, due punti in mezzo a una frase, incisi, incisi come se piovessero, pezzi di paragrafi che non c’entrano nulla (par. 27), rimandi errati (par. 161 e 352) e altri dimenticati nel testo (par. 76), ripetizioni, errori di collegamento logico (per due volte si fa riferimento a un evento del primo libro che il giocatore potrebbe benissimo non aver vissuto), per arrivare a un congiuntivo sbagliato che fa davvero sanguinare gli occhi.

Anche “Il Cavaliere della Porta” alternava periodi più scorrevoli ad altri poco riusciti, ricchi di “loop” e refusi, ma in questo caso il raddoppio della lunghezza dei testi e le necessarie riletture rendono il problema ancora più evidente.

Non è stato piacevole rileggere per l’ottava volta cose come: “in ogni caso, abbandona questo luogo, e torna alla mappa, al 400”, oppure: “la folla, la gente comune, Guidata da ser Gualdrappo”, o ancora: “questo è un gioco sacro agli dei, Ugger, questo, e nessuno, nemmeno i peggiori malfattori, osano barare”, per non parlare delle frasi corrette ma inutilmente contorte come: “se ci fosse un pittore, o una pittrice, qui presente, Ugger, dipingerebbe il tuo volto mentre, chino sulla sella, i capelli al vento, urli di gioia selvaggia”, presenti in quasi ogni paragrafo del libro.

Nonostante tutto ciò non mi è possibile bocciare “Il Torneo della Regina Bella”: anche il lettore più esigente dovrà riconoscere che i suoi difetti per quanto gravi non sono abbastanza forti da mettere in ombra i meriti di questo titolo, il suo coraggio nell’osare con qualcosa di NUOVO (in parte fallendo, ma almeno provandoci!) e lo splendido mondo intrecciato tra le pagine, in grado di catturare anche chi come me storcerà il naso di fronte ad alcuni aspetti.

Ho apprezzato molto “Il Torneo della Regina Bella” e ciò che rappresenta: in caso contrario non l’avrei letto otto volte. Tuttavia non stiamo parlando di un’opera amatoriale ma di un volume che è venduto al pubblico da una casa editrice a un prezzo tutt’altro che popolare.

Mi sarei quindi aspettato dall’editore una cura del prodotto che potesse giustificare i 19,90 euro di listino, trovandomi invece tra le mani un qualcosa preparato evidentemente troppo di fretta e che fa il paio con la qualità della copertina, la cui plastica tende a scollarsi dopo pochissime aperture.

I disegni di Francesca Baerald potrebbero aiutare ancora una volta a elevare il voto generale, ma l’effetto sorpresa è minore e la presenza di immagini ripetute o “riciclate” dal libro precedente contribuisce a rendere l’idea che non si sia stato fatto tutto ciò che si poteva fare per rendere epocale questo libro, forse per fretta, forse per chissà cos’altro.

È come se in Kata Kumbas ci fossero i semi per la migliore serie di librigioco mai prodotta in Italia, a cui basterebbe davvero soltanto un po’ più di cura, lima e attenzione per farla sbocciare in tutto il suo splendore.

Longevità 10: 

L’incredibile struttura di gioco ha permesso all’autore di inserire in soli 500 paragrafi un numero di scene alternative maggiore di quello presente in un’intera serie di librigioco. Per i completisti Kata Kumbas 2, ancora più dell’1, sarà un’esperienza pressoché infinita e questo senza tenere in conto le ulteriori strade che da questo libro confluiranno nel successivo volume.

Difficoltà 5: 

Troppe, troppe morti improvvise alcune delle quali del tutto gratuite, specie nella seconda metà. Con 18 punti Energia è possibile perdere solo a causa loro, rendendo la gestione delle caratteristiche superflua. Con 15 o 12 punti Energia il gioco si riduce a una caccia al “giusto percorso” che mal si sposa con la lunghezza dei testi.

Giocabilità 6: 

L’applicazione pratica del Venture System delude ancora di più che nel volume 1: giocare con un personaggio forzuto ma stupido o uno rapido e debole non presenta differenze pratiche, visto che ognuna delle tre caratteristiche subirà test anche molto difficili da superare con uguale frequenza e che non è quasi mai possibile scegliere quale caratteristica sfruttare. Tuttavia il sistema di “interruttori” rappresentato dalle note di gioco e dagli oggetti numerati (da usare senza indicazioni nel testo!) è davvero interessante e fa il paio con i giochi visivi e gli indovinelli, oltre ad alcune soluzioni di gioco particolarmente ben riuscite (il Torneo).

Chicca: 

Il libro è una sequenza di chicche e di personaggi memorabili ancora più dell’1. Menzionarne anche soltanto uno vi toglierebbe il piacere delle scoperta, per cui mi limiterò a citare il nome dato dall’autore alla tabella per colpire usata durante la giostra: la Tabella del Ronzino. Se non è genialità questa…

Totale 7.5: 

In Kata Kumbas ci sono i semi per la migliore serie di librigioco mai prodotta in Italia, a cui basterebbe davvero soltanto un po’ più di cura, lima e attenzione per farla sbocciare in tutto il suo splendore. Al netto del singolo voto numerico, la mia speranza è che gli autori e l’editore facciano tesoro dell’esperienza con questo volume e confezionino un seguito che sappia proseguire nel suo solco ma dedicando più attenzione alla forma oltre che alla sostanza