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Recensione

Golden Dragon 3: Il signore dell'ombra
Edizione EL 1994
autore/i Oliver Johnson
Recensore Icedlake

Il terzo capitolo di Golden Dragon prevede il primo viaggio in solitaria di Oliver Johnson, dopo l’affiancamento durante il secondo volume da parte dell’ideatore della serie Dave Morris. Forse per eccesso di cautela, o semplicemente perché ai tempi il fantasy “tirava”, il nostro autore non rischia nulla: ambientazione classica per il genere, incontri che ti aspetti e non una sola innovazione rispetto ai precedenti due volumi della serie. La mancanza di una novità ludico-letteraria, per quanto le regole della serie stessa permettano di spaziare, non porta, però, necessariamente a uno scarso risultato. Di seguito la dimostrazione dell’assunto.

Le pagine introduttive ci catapultano nel mondo di Lalassa, laddove re Valafor è scomparso in seguito ad un’aspra battaglia e il fratello reggente si sta comportando in maniera a dir poco inadeguata. Come biasimarlo, del resto, dopo aver appreso la notizia della sua tramutazione in zombi per opera di un mago malvagio? Naturalmente il compito del Guerriero della Guardia Imperiale (a.k.a. noi) è di sconfiggerlo per restituire il regno al re legittimo, in seguito ritrovato, e poter concedere il riposo eterno allo sfortunato fratello di sangue reale. L'appellativo del nostro contendente finale è Arkayn Darkrobe: fortunatamente non è stata abbozzata una traduzione del nome proprio che sarebbe risultata alquanto insipida, lasciando invece un sapore esotico ad un personaggio che purtroppo già pecca di caratterizzazione.

La storia parte bene, con degli incontri intriganti lungo il cammino per le lande che ci condurranno al castello, supportati da illustrazioni di tutto rispetto. L’oggettistica la fa da padrona per larghi tratti e si rivela molto importante, pur non risultando essenziale, anche nelle fasi iniziali. Non si possono spendere parole d’elogio invece per lo schema di gioco: il tragitto è poco vario e presenta un’importante biforcazione solo nel cuore dell’avventura. Questa discreta trovata, che permette due percorsi diversi e paralleli per circa una ventina di paragrafi, riesce comunque a dare la sensazione di “smarrimento” all’interno del dungeon, e redime così in parte il resto dell’avventura che invece tende ad incanalare il giocatore in un percorso quasi forzato.

Plauso a Johnson invece per quanto riguarda la possibilità di recuperare punti di Vigore, caratteristica base per restare in vita; tra pergamene da portare con noi o pozioni da bere all’istante, se giochiamo bene le nostre carte, potremo curare anche le ferite più gravi. O quasi. Già, perché per le situazioni più estreme, vale a dire le sudden death, tali palliativi ci saranno di scarso aiuto. Quest’ultime sono abbastanza diffuse e sono generate nella maggior parte dei casi da prove di Agilità o RPS (le due caratteristiche che fanno il terno con il succitato Vigore), come già capitato nei volumi precedenti della serie; saranno loro che potrebbero rendere ostico lo scontro finale con Darkrobe, altrimenti non così impegnativo come si converrebbe per il villain di turno.
In mezzo a molte scelte lasciate al caso, abbastanza tipiche per il periodo Cambriano dei librigioco, ne troviamo invece alcune logiche, basate su ciò che il lettore ha appreso dei rapporti tra gli “inquilini” del castello. Apprezzabile.

Lo stile asciutto ed i paragrafi corti garantiscono la velocità della lettura-gioco ma faranno storcere il naso a chi predilige dei volumi più ricercati e descrittivi. Ed è proprio la scrittura di Johnson che esclude ogni possibile caratterizzazione di Darkrobe, rendendolo un mero personaggio del cast, pari a un PNG qualsiasi. Ma l’autore sa farsi apprezzare con l’inventiva: alcuni oggetti bizzarri, almeno per il contesto, strapperanno un sorriso qua e là e renderanno l’ambientazione un po’ meno monotona. Spettri ubriachi, donne-tigri seducenti, quanto pericolose, punteggeranno lo scorrimento dell’avventura. Quest’ironia in stile Brennan sarà presente, però, curiosamente solo nella seconda parte dell’avventura, quasi come se il librogioco fosse stato scritto a quattro mani.

Fantasmi, orchi, basilischi, troll, minotauri, vampiri, dragoni: un’accozzaglia di questo genere farebbe confondere chiunque tenti di definire il genere di questo volume. Questa bestiario randomizzato in effetti sortisce l’effetto di rafforzare l’impressione, già espressa sopra, che Il Signore dell’Ombra si rivolga più al gioco che alla lettura.
Gli scontri rimangono nel complesso piuttosto ostici e, sebbene molto spesso venga impedita la possibilità di fuga dal combattimento (prevista dal regolamento base), è stato fatto sicuramente un passo avanti rispetto al volume precedente per quanto riguarda il bilanciamento.
In un paio di occasioni si incontrano incongruenze logiche nella storia, dovute a un controllo non proprio certosino della prosecuzione narrativa tra i paragrafi, ma sono delle pecche perdonabili per un volume che risulta nel complesso godibile da giocare. In definitiva Oliver Johnson alla sua prima uscita ha superato l’esame.

Longevità 6.5: 

Con delle scelte assennate e un po’ di fortuna ai dadi si può terminare in poco tempo. La curiosità di scoprire le vie alternative permane, ma la parte iniziale, decisamente poco varia per almeno una ventina di paragrafi, tarpa le ali anche al leggiocatore più estremo.

Difficoltà 7: 

Nonostante lo scontro finale sia abbordabile, la lunga schiera di nemici da affrontare e le molte morti improvvise fanno abbassare leggermente il piatto della bilancia dal lato difficoltoso.

Giocabilità 7.5: 

Il regolamento semplice e impeccabile di Golden Dragon è ormai rodato e, in questo terzo episodio, meglio sfruttato dei casi precedenti. L’utilizzo di oggetti particolari e l’incontro con personaggi sui generis dona un tocco stravagante all’opera, rendendola più godibile.

Chicca: 

Dopo essere apparso nel precedente volume sotto mentite spoglie, Caronte questa volta si toglie la maschera e si palesa con il suo vero nome dopo pochi paragrafi. Nel cuore dell’avventura poi Johnson richiama addirittura il mito del filo di Arianna con tanto di gomitolo e minotauro. In un insussistente labirinto vestiremo dunque, per un breve tratto, i panni di Teseo: peccato che Arianna sia impersonata, se così si può dire, da un Orco.

Totale 7: 

Probabilmente non lascerà il segno se confrontato con molti altri capolavori del genere, ma rimane comunque una piacevole lettura. Anche se carente di “personalità” presenta una discreta struttura e un buon sistema di gioco che lo rende indicato per i novizi dei librigame.