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Recensione

Skyfall 4: Il Giardino della Follia
Edizione EL 1993
autore/i David Tant
Recensore FinalFabbiX

Quarto e ultimo volume di Skyfall, "Il giardino della follia" rappresenta, nel bene e nel male, la conclusione del percorso di David Tant. Non stupisce che il librogame non sia piaciuto ai fan della serie: l’opera, infatti, è profondamente diversa da "I mostri della Palude" o da "La Piramide nera". Si tratta di un puzzle che va risolto usando altre logiche e che per questo risulta frustrante se lo si approccia allo stesso modo dei volumi precedenti.

Nonostante queste differenze e l’autoconclusività, “Il giardino della follia” è a tutti gli effetti un sequel ambientato nello stesso mondo e con lo stesso protagonista dei libri precedenti (in alcuni passaggi, come nel paragrafo 57, viene fatto riferimento esplicito alle avventure pregresse).
Anche il sistema di gioco rimane lo stesso, per quanto in questo capitolo alcune meccaniche, come le provviste, vengono enunciate ma non trovano mai concreta applicazione.
Dal punto di vista matematico, il regolamento è ineccepibile e molto piú rigoroso e moderno di alcuni librogame attuali, soprattutto per il ruolo secondario dato all'aleatorietà. Nella pratica, però, l'uso incessante della moneta risulta frustrante, soprattutto per via dei numerosi lanci richiesti nei combattimenti. Spiccano in positivo le meccaniche legate alla fortuna.
Al contrario, completamente assurda l’idea di creare un paragrafo (il 333) a cui mandarci da ogni instant death solo per dirci “sei morto, riprova”: da una stima veloce, in totale nel libro ci sono oltre 5 facciate di testo solo per questi rimandi inutili! Fra l’altro, in un paio di situazioni come per il par. 341, Tant si è dimenticato di inserire il paragrafo intermedio: la scelta porta direttamente alla morte, senza passare dal via.

La trama segue lo schema già visto in precedenza: è la solita missione in cui dovremo inoltrarci in un dungeon esotico e recuperare un MacGuffin. Nello specifico, questa volta al protagonista verrà chiesto di affrontare una roccaforte piena di piante magiche fuori controllo per salvare la promessa sposa del principe dalle mani del malvagio Margravio. Si tratta di una missione cruciale, che ci verrà imposta da una famiglia reale disperata e disposta a tutto dopo il fallimento della propria spia. Il principe, personaggio riassumibile con “il fine giustifica i mezzi”,  è forse l’unico con una vera caratterizzazione. I pochi esseri senzienti presenti nel castello, infatti, non vengono mai approfonditi e non è possibile avere un dialogo soddisfacente con nessuno di loro - oltretutto gli unici approfondimenti interessanti sono inseriti in percorsi che portano alla sconfitta. Poco importa, è comunque emozionante essere uccisi dal Margravio in persona, o avallare i capricci di Becky nella speranza di liberarsi di lei prima o poi.
Peccato per l’assenza di finali multipli: considerando che il nostro mandante è un personaggio grigio e dalla moralità discutibile, sarebbe stato interessante avere la possibilità di tradirlo.

L’ambientazione è un altro grande punto di forza dell’opera: la fortezza, descritta con uno stile asciutto ma evocativo e funzionale, è un piacevole mix di fantasy e moderno, con interessantissimi avversari a tema “natura” che riescono a essere iconici, anche grazie allo stile delle illustrazioni, a mio parere particolarmente azzeccato.
Tant si conferma un maestro nel contestualizzare gli enigmi: non esistono indovinelli a caso, ma tutto è funzionale e ha senso all’interno del castello.
La sezione più riuscita a tal proposito è quella del mostro dietro alla porta nera, una sorta di depuratore vivente che si nutre dei rifiuti del castello e riesce a riciclarli. Solo comprendendo il funzionamento della sua routine sarà possibile sconfiggerlo senza combattere. L’autore ha pensato a tutto: a come disporre le vasche, alla frequenza con cui il mostro riceve gli scarti, alla presenza di una bacinella che contiene una pozione per guarire dal veleno del mostro - probabilmente usata in caso di emergenza dagli inservienti del castello.

Se regolamento e trama rimangono simili al passato, lo stesso non si può dire per la struttura del dungeon, ora più lineare, meno complessa e piena di vicoli ciechi alla Steve Jackson: non saremo più degli esploratori alla presa con un dedalo inestricabile, ma degli avventurieri messi di fronte a una serie di prove da superare. Al posto di avere un’unica grande sfida, qui sono presenti sfide autoconclusive più articolate e approfondite. Ci sono alcuni passi avanti notevoli nel modo in cui è sviluppato il dungeon (uno fra tutti l'uso di porte colorate per facilitare l'orientamento) ma viene a mancare la libertà di movimento e il level design intelligente che avevano contraddistinto la serie.

In generale, però, mi ha divertito molto ragionare sulle prove proposte dall’autore e ritengo che sia stata rispettata la famosa dicitura “questo librogame è stato studiato in modo da avvantaggiare il giocatore che valuta attentamente la situazione”. Se ne “La Piramide Nera” spesso ci si trovava a scegliere a caso, qui non è mai così: ogni decisione che porta a uno svantaggio ha sempre una motivazione dietro, un indizio che la giustifichi in modo più o meno convincente. Non mi sento di bocciare, almeno nelle intenzioni, nessuno degli enigmi presenti (con l’eccezione di quello al par. 253, che non sono riuscito a comprendere neanche con l’aiuto della community). Si tratta di una caratteristica unica nel panorama dei librogame, perché anche avventure in cui bisogna pensare (come Sortilegio) spesso hanno comunque alcune strade che premiano più di altre solo perché si è scelto di andare a destra o a sinistra.
È interessante notare che, escludendo lo pseudo-scontro al par.180, è addirittura possibile completare l’avventura senza un singolo combattimento e, pertanto, che il lancio di moneta ha peso nullo se si trova il percorso corretto.

Devo però constatare che a fronte di questi enormi pregi, ci sono anche degli importanti difetti.
In primo luogo la difficoltà è altissima (e aggiungerei sbilanciata): nel gioco sono presenti infinite istant death, alcune immediate e comprensibili, altre meno giustificate e soprattutto che si ottengono come conseguenza di scelte pregresse. A queste si aggiungono oltre metà dei combattimenti, che sono volutamente imbattibili anche per un personaggio full vita e fortuna.

Spesso, inoltre, i puzzle sono molto interessanti nelle intenzioni, ma la loro realizzazione presenta problemi enormi che rende difficile apprezzarli a pieno.
Se buona parte del libro è molto godibile e una logica inequivocabile, soprattutto verso la fine sono presenti ingenuità, enigmi poco chiari e veri e propri errori dovuti dell’incapacità dell’autore di gestire tutte le variabili senza l’uso di parole/codici.

Uno dei problemi più evidenti, infatti, è la mancanza di un modo per tenere traccia degli eventi accaduti: in 400 paragrafi esiste un unico punto in cui ci viene chiesto di annotare un codice (la stanza delle due aiuole), mentre nel resto dei casi ci viene banalmente detto di “tenere a mente la situazione della stanza”, una richiesta completamente assurda:
- le informazioni da memorizzare sono tante e a volte può capitare che un’azione abbia conseguenze decine, se non centinaia, di paragrafi dopo. Ad esempio, verso il finale ci sarà chiesto come abbiamo interagito con il mostro succhia-rifiuti, uno dei primi incontrati nella nostra avventura
- viene richiesta una fantasia eccessiva per modificare al volo e nella propria mente ciò che dice il testo. Spesso il testo chiede di ignorare un elemento presente, per poi farci leggere almeno 5/6 paragrafi in cui tale elemento viene nominato e ci viene chiesto di interagire con esso.
- nonostante le buone intenzioni, a volte ci si trova a compiere azioni senza rendersi conto che non dovrebbero essere possibili, ottenendo dei risultati assurdi
- come già detto, neppure l’autore è in grado di gestire questo delirio. In particolare il libro fallisce ogni volta che deve gestire una sequenza di azioni che si aspetta vengano compiute in un ordine anche se non c’è alcuna ragione per cui dovrebbe essere così. L’esempio perfetto è il paragrafo 256: avendo disattivato la trappola, dovremmo essere in grado di passare senza problemi in ogni caso, ma se ci fermiamo un istante a controllare la stanza al paragrafo 230 il libro si “dimenticherà” delle nostre azioni e ci farà fare una fine orribile.
- in particolare, non c’è modo di gestire la presenza dei nostri compagni di viaggio. Se posso accettare che il protagonista protegga la principessa attirando le avversità su di sé, non capisco perché dovrebbe avvenire lo stesso con Becky: la maledetta cameriera è inscalfibile se non in sporadiche occasioni, fra cui già citato problematico par. 341, (che a questo punto ipotizzo abbia avuto un incidente e sia sfuggito alla revisione). Perché non posso pugnalarla in una delle stanze iniziali, o magari mandarla avanti su quelle simpatiche piastrelle?
- allo stesso modo, non esiste modo di tenere traccia del tempo: anche se tecnicamente dovremmo completare la missione in massimo tre giorni, il testo dà sempre per scontato che sia notte anche se è possibile ripetere all’infinito sezioni che durano “qualche ora”

A questi problemi si aggiunge l’inadeguata traduzione italiana che, per via di un errore grossolano, storce alcuni enigmi, e priva il lettore del più importante indizio a sua disposizione, stravolgendo completamente il modo in cui si dovrebbe affrontare l'opera.
Al protagonista viene infatti fornito il codice “Vaspago”, le cui iniziali indicano “Vert, Argent, Sable, Purpure, Azure, Gules, Or” ossia un elenco didascalico delle porte da attraversare per raggiungere la camera della principessa. L’indizio, che viene dato con enfasi a inizio avventura, dovrebbe costituire la chiave per muoversi nel castello, ma è indecifrabile in italiano visto che nella nostra lingua i colori araldici (a fornire il codice è un pittore araldico doppiogiochista) non hanno nomi specifici come accade in inglese; i traduttori E. Elle non hanno fatto nulla per risolvere il problema.
Va detto che è possibile vincere anche seguendo altri percorsi o basandosi su altri elementi per decidere. Purtroppo però non sempre Tant è stato lungimirante: più si devia dal path principale, più si accentuano i problemi con meno incongruenze, che sono purtroppo presenti in gran numero se si devia da questo path o si risolve erroneamente un enigma.

La maggior parte delle stanze, fortunatamente, ha zero o al massimo uno di questi problemi. Purtroppo però ne esistono alcune disastrose in cui non è così e che rovinano l’intera avventura: ne è l’esempio peggiore la stanza con le viverne (che per qualche motivo hanno mantenuto il nome inglese Wyvern) in cui sono presenti tutti i problemi descritti in un’unica sfida. Se ne può uscire in due modi: o tramite un combattimento matematicamente impossibile, o compiendo una serie di azioni. Il problema è che un solo errore farà scattare la battaglia e in molti casi, nonostante l’enigma sia stato risolto correttamente, il libro si “dimenticherà” delle nostre azioni e ci riporterà all’entrata come se non fosse mai accaduto niente. A questo bisogna aggiungere che, senza il codice Vaspago, il lettore italiano dovrà risolvere l’enigma 3 volte prima di trovare la porta giusta, per un totale di 18 paragrafi senza possibilità di errore. È una follia!

Longevità 9: 

È il più grande pregio del volume. A differenza dei titoli precedenti, in cui una volta trovato il percorso non aveva senso esplorare oltre, qui la minore dispersività invoglia un’esplorazione più maniacale delle stanze disponibili. A inizio avventura, avere le idee chiare e valutare tutte le opzioni prima di scegliere è la chiave per rimanere vivi. Se a questo si aggiunge la difficoltà elevata, che costringe a ricominciare più volte, per poi magari scoprire che non c’è modo di superare una sezione in un certo modo, si ottiene un librogame dalla longevità estrema.

Difficoltà 4: 

I giochi difficili possono essere stimolanti, ma solo se sono equi e bilanciati: se vengo punito pesantemente per gli sbagli, devo essere sicuro che gli sbagli siano colpa mia o altrimenti diventa frustrante. Inserire una difficoltà alta equivale a scommettere sul fatto che il librogame non avrà errori e qui la scommessa è indiscutibilmente persa. Rimane lodevole che il true path non richieda in alcun modo l’intervento della dea bendata.

Giocabilità 6: 

La base del regolamento è buona, ma è fastidioso vedere come l’assenza di codici porti a incongruenze ogni due paragrafi

Chicca: 

Altro che antidoto! Quel bastardo del principe ci ha fornito una pozione d’amore più forte in modo da sovrascrivere quella del Margravio. Tant’è se per sbaglio la daremo alla governante Becky, si innamorerà del principe e verrà presa da una gelosia tossica, mettendoci a strillare se ci avvicineremo alla principessa.

Totale 7: 

Un’opera tutto sommato godibile, se si è disposti a chiudere qualche occhio (e saltare qualche paragrafo in maniera poco lecita).
Nella valutazione complessiva, va anche tenuto conto di come questo volume fosse un’offerta unica e innovativa nel panorama librogame dell’epoca e che ancora oggi è a tratti un’esperienza che ben pochi altri offrono.
L’ambientazione suggestiva e la scrittura funzionale contribuiscono a creare un bel ricordo dell’opera.