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Un'occasione persaUn manifesto del fantasy classico, quello spartano, quello spada o incantesimo, quello destra o sinistra. Può essere letto così, con tutti i pregi e difetti del caso, quasi quarant’anni dopo, “Le colline infernali”, di Steve Jackson: primo volume di quella che in Italia abbiamo conosciuto, nell’epoca EL, come serie spin-off del tutto autonoma, intitolata Sortilegio, ma che in realtà è incastonata nel grande contenitore di Fighting Fantasy. E così come in origine, incardinata nella serie principale, la ritroviamo nella riedizione 2020 a cura di Magazzini Salani. Un volume che segue pedissequamente la riedizione inglese Scholastic da cui, come gli altri cinque volumi predecessori, si porta dietro pochi pregi e molti difetti, andando a costituire inevitabilmente un’occasione persa. Tanto più che, stavolta, a differenza del passato anche l’edizione italiana mostra errori di editing ormai non più accettabili in un’opera moderna, di chiunque sia la responsabilità.
Al contrario, tuttavia, prima di evidenziare le criticità è giusto sottolineare il principale pregio della versione italiana: quello di mostrare per intero la bella copertina di Robert Ball, raffigurante la mitologica Manticora protagonista dello scontro finale. Sì perché in Uk le nuove versioni di Ff hanno costretto i soggetti principali all’interno di un incomprensibile oblò circondato da superfici di colore uniforme. In Salani ha prevalso l’unitarietà dell’aspetto delle cover, e meno male.
Restano, invece, in piedi, i principali punti deboli importati dai volumi ristampati in inglese: su tutti, la divisione tra introduzione e prologo da un lato - parti posizionate a inizio volume - e regolamento e registro di avventura dall’altro, traslati - senza che ci sia davvero un motivo valido - alla fine, con la parte dei paragrafi numerati nel mezzo. L’italico prodotto ha provato a porre rimedio citando i numeri di pagina, ma in questo primo Sortilegio la toppa si dimostra peggiore del buco: se le pagine numerate effettive di questa pubblicazione vanno dalla 205 alla 237, in principio per scoprire il regolamento il lettore viene indirizzato alle inesistenti 189-202, subito dopo alle altrettanto mancanti 329-330: due riferimenti diversi ed entrambi sbagliati, distanti solo poche righe. Anche la frase ripetuta tal quale a pagina 209 sull’uso della Fortuna in combattimento non depone a favore dell’editing di questo volume. Fanno pure parte della scomoda eredità dell’edizione originale, come già sottolineato in ogni recensione bisogna farlo anche in questa, le tavole troppo grigie e piatte che si perdono in un unico insieme incolore nella stampa. Anche se - per lo meno - stavolta l’illustratore degli interni non citato tra i credits ha provato a giocare con qualche chiaroscuro in più.
Fatte queste antipatiche ma doverose considerazioni iniziali, resta da analizzare l’avventura che non ha troppo bisogno di presentazioni, essendo un vero e proprio must di ogni appassionato di librogame classici che si rispettino. Pimpante la traduzione dell’ormai collaudato Efrem “Ego” Orizzonte, sostenuta dal supporto di nomi legati a doppio filo a Lgl, Francesco “Prodo” Di Lazzaro e Mauro “Mornon” Longo.
Il “solito” avventuriero senza nome viene designato per una “solita” difficile missione, recuperare il mitologico artefatto noto come Corona dei Re, che consente il benessere nei reami dove viene esposta, ma è inopinatamente caduta nelle mani sbagliate. Comincia, così, un cammino lineare che di più non si può lungo l’insidiosa terra di Kakhabad, passando per villaggetti infidi e inospitali come Cantopani, Birritanti, Torrepani, fino alla città di Kharé da cui partirà, poi, la seconda tappa.
Il copione è quasi sempre lo stesso: attraversa la landa selvaggia, evita o supera i rischi, entra nel villaggio, vai alla taverna e/o alla locanda, paga per mangiare e dormire, qualche piccola quest e si riparte. Come si diceva in principio, da manuale del fantasy spartano, ma che potrebbe risultare un po’ monotono e quindi poco emozionante, insomma insoddisfacente, per lettori moderni che si avvicinano ora alla narrativa interattiva e possono essere abituati alle dinamiche molto più raffinate, senza voler risultare eretici, dei prodotti contemporanei.
Il motore di gioco lo si conosce altrettanto bene. Ci sono i tre punteggi di Abilità, Resistenza e Fortuna, ci sono i dadi, l’inventario infinito, i bivi alla cieca destra-sinistra senza indicazioni o addirittura preceduti da indizi ingannatori, c’è il true path strettissimo specialmente nella parte finale: c’è, insomma, tutto quello che ci si aspetterebbe di trovare in un Ff dell’età d’oro, specialmente se scritto da uno dei due demiurghi della saga. Più raffinati sono alcuni passaggi in cui si sbloccano delle potenzialità del motore di gioco con dei collegamenti da rintracciare sui libri successivi, dei quali già ora vengono citati dei paragrafi da visitare quando ci si troverà in certi posti di future tappe, una peculiarità intrigante e molto moderna che strizza l’occhio agli open world alla Terre Leggendarie, ma molti anni prima che quell’altro sistema venisse congegnato.
La grande novità che caratterizza, comunque, Sortilegio è quella di trasformare, volendo, il guerriero in mago: giocando con gli incantesimi è possibile cominciare e concludere l’intera avventura senza praticamente estrarre una sola volta la propria arma, combattendo solo grazie alla forza della magia e lanciando incantesimi di attacco e di difesa al prezzo di un certo numero di punti di Resistenza.
Sono ben 48 gli incantesimi, di cui 6 di base, molto efficaci e facili da ricordare ma molto costosi in termini di punti, mentre le formule si fanno via via più raffinate, meno impattanti sulla propria Resistenza e capaci di cavare d’impaccio il protagonista nelle più disparate situazioni. I più elaborati avranno bisogno di oggetti speciali per poter essere lanciati, molti dei quali non disponibili in questa prima avventura con un equo percorso di crescita del personaggio.
Il gioco è gustoso anche perché il Libro degli incantesimi può essere consultato, e per quanto possibile memorizzato, solo all’inizio dell’avventura, mai in corso. E se alcune formule sono abbastanza intuitive e in qualche modo onomatopeiche (almeno pensando in lingua originale), per cui risultano facili da ricordare, dall’altra parte sarà difficile riuscire a padroneggiarle tutte e non mancheranno i tranelli nella proposta di incantesimi possibili tra cui scegliere di volta in volta, con Jackson che punirà il mago maldestro con ben 5 punti in meno quando si andrà a scagliare un sortilegio inesistente per cattiva memoria o scelta casuale.
Come se non fosse già difficile mandare a mente le formule, la versione italiana sciorina un altro esempio di editing maldestro, presentando il nome di tre lettere degli incantesimi con un font che pretende di imitare la scrittura manuale ma all’atto pratico risulta quasi del tutto incomprensibile, sul modello delle prescrizioni di alcuni medici, per intenderci: mossa che rende ancor più difficile - immeritatamente - l’operazione di memorizzazione.
La faccenda degli incantesimi verrà, pur tuttavia, in qualche modo limitata dalla presenza del malefico personaggio Jann, la “minimite”, sorta di Trilli campanellino meno graziosa, che a un certo punto, senza possibilità di scampo, si legherà indissolubilmente e senza alcun motivo al protagonista, portando con sé la sua più sinistra caratteristica: quella di rendere inefficace qualsiasi magia, tra cui proprio gli incantesimi, finché rimarrà tra i piedi. In questo primo volume ci sono ben due chance di liberarsene, e se da un lato le letture del passato spoilerano che questo ameno personaggio potrebbe anche venir utile nei capitoli successivi, dall’altro la sua peculiarità elimina forse il motivo di maggior interesse della serie Sortilegio, quello della magia, per cui bisogna considerare bene se vale la pena tenere con sé l’esserino invece di scacciarlo.
Al momento di tracciare una valutazione, come già avvenuto nei capitoli precedenti c’è quella sensazione di occasione persa citata in principio che genera davvero un grande rammarico. Chance sfumata di migliorare l’originale, di ammorbidire alcune asperità, di risolvere le baggianate della nuova edizione inglese e di ridare il giusto lustro all’unico brand del mercato librogamistico che vale almeno quanto Lupo Solitario. Dopo questo e l’inedito “I cancelli della morte”, Salani continua ad avere i diritti ma al momento di scrivere sono quasi due anni che non rilascia ulteriori volumi di questa saga storica mentre nel Regno Unito la Scholastic ha toccato quota venti uscite, una collezione di tutto rispetto. Peccato.
Nota sulle valutazioni: nella Longevità, chi scrive valuta quanto sia ben progettata l’opera in modo da essere giocata più volte, con nuovi percorsi e scenari e la possibilità di svolgere più partite senza esaurire filoni narrativi e ludici. La Difficoltà stima quanto sia complessa un’opera tra gioco e snodi: più il voto sale, più sarà complicato approdare alla fine. La Giocabilità è la summa di un sistema di gioco ben funzionante e non oppositivo verso il lettore e di una storia ben scritta e priva di errori. La “Chicca” accende una luce su un aspetto curioso, singolare o spesso simpatico. Il Totale, infine, non è una media delle tre votazioni precedenti (sebbene raramente vi si discosti troppo), ma un giudizio complessivo tarato anche sui gusti personali, sensibilità e fascinazioni del recensore.
Longevità 7:
L’avventura è totalmente lineare e non ci sono variazioni sul tema di alcun genere se non minime, costituisce una mera tappa di trasferimento e avvicinamento senza alcuna sezione a mappa se non la pur breve miniera finale, costituita da un rigidissimo true path. Contribuisce ad aumentare la valutazione la possibilità di giocare la storia vestendo panni doppi, guerriero o mago.
Difficoltà 6.5:
Sia in versione mago che guerriero non sarà troppo difficile avere la meglio sulle insidie che si incontreranno lungo il percorso, specialmente avendo fortuna nei lanci iniziali di settaggio dei punteggi. In caso contrario, potrebbe diventare molto difficile o anche quasi impossibile.
Giocabilità 7:
Rodato il meccanismo base di Ff, sarà divertente ingegnarsi a trovare di volta in volta gli incantesimi giusti per sgominare i nemici. Noioso, perché troppo presente, il meccanismo dei pasti da fare o meno per guadagnare o perdere punti di Resistenza, troppo invadente davvero.
Chicca:
Nella citata miniera finale, se si imboccano percorsi diversi da quello obbligato che Jackson ha stabilito verso la Manticora si può avere a che fare con insidie mortali, da disinnescare invocando la dea Libra, una e una sola volta in tutta l’avventura, oppure tramite i citati incantesimi. Ebbene, anche in questo caso, se si formula una magia inesistente, nel paragrafo corrispondente l’autore si periterà di comunicare prima la perdita di 5 punti di Resistenza e poi l’immediatamente successiva instant death. Impagabile.
Totale 6.5:
Una storia classica per nostalgici in un’edizione che poteva essere migliore, nella speranza che le altre tre tappe possano vedere la luce - e stavolta con una cura degna del retaggio ancestrale di Fighting Fantasy.
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