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Traversata digitale infernale Smarrimento, angoscia, assurdità, ansia, panico. Può essere un voluminoso ma semplice fumetto a bivi, disegnato e colorato in stile apparentemente elementare, a ingenerare tutto questo nel lettore che oserà affrontarlo, alla stregua di una creazione dei grandi maestri dell’orrore? Ebbene sì, se l’opera in questione è l’ambiguo “2120” di George Wylesol, illustratore di fama negli Stati Uniti, all’esordio in un lavoro interattivo portato in Italia da Coconino Press con grande sforzo tipografico (quasi 500 pagine full color) e conseguente costo (34 euro il prezzo di copertina).
La particolarità è che l’autore - come dichiarato a Lgl Mag - è abbastanza a digiuno di librogame vecchi e soprattutto nuovi, e palesemente non troppo interessato a essi ma ispirato, piuttosto, dai vecchi videogame “punta e clicca” alla Monkey Island. Eppure, ciò che ha tirato fuori è senza alcun dubbio classificabile come fumetto a bivi, e tra i più elaborati proposti dal mercato - se non per dinamiche game, certo per ingombro e intreccio.
La trama è molto semplice, almeno finché non si scoperchia il buco nero di grottesco che la contiene. Il tecnico informatico Wade Duffy, classico bolso statunitense di mezza età, occhiali, capelli rossicci e aria da nerd, viene inviato a “riparare un computer” in un edificio al civico 2120 - ed ecco svelato il titolo - di McMillan Drive, strada immaginaria di una città non precisata, anzi ce ne sono parecchie, a cercare sulle mappe, in tutti gli States.
E ciò non stupisce perché l’esterno non conta più niente e sparisce, una volta entrati nell’edificio che, si scopre, è estremamente più grande della costruzione singola, anzi della casupola che si vede nella tavola iniziale. Diciamo pure smisurato, e solo lo scioglimento della vicenda porterà a capire come ciò sia possibile.
Ma la strada per arrivare al traguardo è ben lunga. Wade si rende conto quasi immediatamente, tanto da non potersi classificare come spoiler l’evidenziarlo, che l’edificio appare vuoto, che non esiste alcun computer da riparare, o forse ce ne sono anche troppi, e in special modo che non può più andarsene da lì, perlomeno da dov’è entrato.
Può solo andare avanti ed esplorare i meandri del 2120, a caccia di una disperata via di uscita, scendendo dal piano terra al seminterrato, quindi al sotterraneo, fino a trovare e imboccare - se ci riesce - la liberatoria uscita. Non occorre dire altro della trama e ulteriori dettagli non potrebbero che guastare il racconto, profondo e raffinato, pur su stilemi non certo inediti, messo in piedi dalla fantasia di Wylesol.
Non ci sono punteggi di abilità, lancio dadi o combattimenti: mancano, insomma, tutte quelle caratteristiche che fanno di un libro, in questo caso di un fumetto, anche un game. È presente, comunque, un’intensa componente ludica, ancorché affidata esclusivamente agli enigmi. Girovagare per le stanze è semplice: a ogni bivio e a ogni porta numerata corrisponde una diversa pagina. Ma non tutte le porte sono libere, molte sono protette da serrature a combinazione.
Sarà pertanto bene, anche questo si può dirlo senza rovinare il divertimento, prendere appunti su ciò che si incontrerà, o almeno fotografare le tavole rilevanti, che possono contenere, spesso abbastanza evidenziata alla portata di tutti, la soluzione di un mistero che verrà. O parte di essa, perché non mancano enigmi “a cascata”, in cui brandelli di informazione indirizzano da un posto all’altro dove acquisirne altri, e tutti i pezzi del puzzle vanno infine combinati tra loro per trovare la vera risposta all’enigma. E la sola memoria del lettore può giocare brutti scherzi, perché non di rado elementi trovati anche alle primissime battute troveranno il loro decisivo utilizzo solo ad avventura molto, molto inoltrata.
La storia procede semplicemente così: una porta dopo l’altra, un rompicapo dopo l’altro, mentre si scopre che l’edificio è tutt’altro che deserto. Si incontrano, anzi, i più disparati occupanti, uno più inquietante dell’altro per via di ciò che dicono e fanno. E l’angoscia sale grazie anche al tratto grafico spiazzante: le linee essenziali, i colori piatti e sparati, le proporzioni mutevoli di cose e persone, i visi deformi e orripilanti costituiscono la cifra stilistica inequivocabile di Wylesol, destinata a essere irresististibile o detestabile, senza vie di mezzo, per chi si troverà ad affrontarla.
A dispetto dei numerosi stanzoni ognuno con una quindicina di porte cadauno, la storia fila lineare verso l’uscita, con solo un paio di snodi realmente alternativi, che portano a vivere pezzi diversi di percorso, ma in misura trascurabile. Da notare come alcune di queste porte siano solo “opzionali”, ossia contengono dettagli di trama o aspetti secondari e non essenziali allo sblocco dei passaggi verso l’uscita, mentre altre sono vere e proprie “backdoor” celate per muoversi più rapidamente tra i livelli del gioco, a patto di non perdersi naturalmente.
Alle spicce, 2120 si “finisce” (giusto per parlare in videogiochese) semplicemente esplorando tutte le stanze, cosa che viene concessa senza alcuna penalità che non sia qualche instant death qui e lì, e intuendo come comporre gli indizi trovati nel modo migliore. E questo, forse, poco conta per il pubblico standard di Wylesol e di Coconino, ma per un lettore moderno di librogame senz’altro sì, e rappresenta un difetto dell’opera.
A proposito di instant death, dalla metà dell’avventura - quando i suoi contorni sfocati si vanno un po’ a precisare - cominciano a essercene parecchie, propinate in caso di scelte incongrue o palesemente inesatte. Spesso tali conclusioni anticipate sono intuibili, oppure pre-segnalate da ulteriori indizi, ma almeno altrettante sono gratuite e in qualche modo immotivate anche nel contesto folle in cui ci si muove, contrariando il lettore. La cosa si complica ulteriormente quando si giunge a una parte nodale, dove lanciarsi volutamente in sezioni “punite” con la morte diventa fondamentale per trovare la soluzione dell’enigma di turno, che non è scopribile in modo differente.
Un chiaro errore di progettazione, che fa il paio con il caso - per fortuna isolato - di un ambiente dove, se si vuole acquisire il “solito” indizio, ci si ritrova poi senza scampo in un loop di paragrafi carino ma senza alcuna altra uscita, che può essere, quindi, rotto solo forzando la situazione, insomma barando. E anche se Wylesol nella citata intervista aveva avvisato che sì, “ci sono delle parti in cui volutamente ho fatto in modo che il lettore si blocchi”, sebbene l’intento sia lodevole, da un punto di vista della qualità tecnica le soluzioni messe in piedi non possono che essere bocciate.
A questo punto dell’avventura, e anche della recensione, sembrerebbe quasi che gli aspetti negativi comincino a prevalere sulle virtù di 2120, che pure ci sono e sono tante. Ma bisogna giustamente rendere merito al finale dell’opera che, oltre a rappresentare una svolta narrativa solo parzialmente intuibile nelle battute precedenti, giustifica alcune delle incongruenze citate e anche altre stranezze di questo lavoro, “riabilitando” il design complessivo e la storia nella sua visione d’insieme. Il finale affascina ed emoziona lasciando, al termine della lettura, tutto sommato soddisfatti e interessati a capirne ancora di più.
E procedendo alla valutazione finale, tale voglia di rigiocare questo casino infernale, assieme al delizioso mood forgiato dall’autore, straniante, malinconico, attraente e repulsivo nello stesso tempo, costituisce l’elemento vincente che fa della pubblicazione un prodotto assolutamente valido e tale da giustificare l’investimento per accaparrarselo.
Nota sulle valutazioni: nella “Longevità”, chi scrive dà un giudizio quanto sia ben progettato il librogame in modo da essere giocato più volte, con nuovi percorsi e scenari e la possibilità di svolgere più partite senza esaurire filoni narrativi e ludici. La “Difficoltà” stima quanto sia complessa un’opera tra gioco e snodi: più il voto sale, più sarà complicato approdare alla fine. La “Giocabilità” è la summa di un sistema di gioco ben funzionante e non oppositivo verso il lettore e di una storia ben scritta e priva di errori. La “Chicca” accende una luce su uno o più aspetti con un punto di vista curioso, singolare o spesso simpatico. Il “Totale”, infine, non è una media delle tre votazioni precedenti (sebbene raramente vi si discosti troppo), ma un giudizio complessivo tarato anche sui gusti personali, sensibilità e fascinazioni del recensore.
Longevità 7.5:
Come si diceva, solo il finale fornirà la chiave di lettura complessiva della vicenda, portando a rivalutare daccapo tutta la storia di Wade e tutta l’architettura progettata da Wylesol, svarioni compresi. A quel punto, anche se un secondo tour dalle parti di McMillan Drive non si augurerebbe nemmeno al peggiore dei nemici, tornare a chiudersi ermeticamente alle spalle la porta di ingresso del 2120 per un’altra partita sarà quasi ineluttabile.
Difficoltà 6.5:
Gli enigmi sono gustosi e non eccessivamente complessi da risolvere. Il livello di difficoltà finirà probabilmente per frustrare un po’ il librogamer incallito, ma renderà le operazioni più agili, e la vicenda terminabile - visto tra l’altro che non ci sono soluzioni - anche al lettore generalista, che poi in fondo costituisce il grosso del pubblico a cui l’editore si rivolge. Un’eccezione: al momento di scrivere questa recensione, neanche la “cupola” di Lgl è venuta a capo del codice di accesso alla porta del 434. La prossima sfida per chi vorrà dedicarsi a questa lettura interattiva.
Giocabilità 8:
A dispetto della mole, si legge in poche e mirate sedute di gioco. Il meccanismo tutto indizi e codici a cascata si intuisce e si sbriga con efficienza, ma a patto di prendere appunti di ciò che si trova una porta dopo l’altra.
Chicca:
Anche la cover e la quarta di copertina sono numerate come paragrafi, rispettivamente lo 0 e il -1. Non un mero feticcio, ma una concreta feature del gioco, che li renderà giocabili al culmine della vicenda, con ripercussioni morali e pratiche tutte da valutare.
Totale 8:
Mezzo voto in più per l’ambientazione sterminata quanto asfissiante e l’atmosfera che genera inquietudine con pochi elementi. Non serve un genio a intuire che la vera domanda tematica non sarà come far uscire Wade dal 2120, ma comprendere chi è davvero il tecnico informatico, chi lo controlla e che cosa invece controlla lui. Le risposte a questi dilemmi faranno scendere un maestoso sipario e partire gli applausi.
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