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Scuola di polizia Fin dalla quarta di copertina i “Tattica Game” della Giunti Marzocco garantivano una sorta di upgrade che le proprie opere avrebbero portato rispetto ai “soliti giochetti”, espressione sdegnosa che sembra proprio alludere, con tanto di rosicata, agli allora vendutissimi concorrenti della EL. “Chi l’ha detto che i libri-game non possono entrare nella realtà?” era il claim che prometteva, al termine del gioco, di trasformare il lettore in un vero e proprio esperto.
Promesse tragicamente tradite da alcune delle opere di questa saga, tutte firmate (tranne la prima) Stephen Thraves, il prolificissimo autore britannico degli anni d’oro padre di una produzione sterminata di qualità altalenante. Impegno, invece, tutto sommato mantenuto nel quarto volume della serie, dedicato all’investigazione. “Polizia” il titolo che evoca i “Police Files” dell’opera originale, portata in Italia come di consueto in edizione al risparmio rispetto all’originale britannico.
Esattamente come nel volume secondo “Controspionaggio” (“Spy Files” in originale), i fascicoletti con dettagli a colori rilegati singolarmente dentro una mini cartellina - a evocare i classici dossier in quel caso dei servizi o in questo della polizia - sono stati tutti accorpati in un unico libro in bianco e nero. Inoltre, le buone illustrazioni proposte in patria sono state beceramente ricopiate o ricalcate e attribuite a un illustratore italico, verosimilmente al solo scopo di risparmiare sulle spese, con conseguente perdita di qualità - e sarebbe un male seccante ma alfine tollerabile - ma anche e soprattutto di “potere indiziario” delle illustrazioni, in certi casi davvero confuse e mal(ri)fatte.
Solo dopo aver portato alla luce questi aspetti critici è possibile valutare serenamente questo volumetto, che offre quattro casi classici da risolvere nel minor tempo possibile: l’autore ipotizza 45 minuti come minimo, forse corretti per un adolescente alle prime armi mentre a un aspirante detective più smaliziato ne occorreranno molti di meno. Ipotizzata, anzi consigliata, anche una possibile modalità multiplayer, che prevede una investigazione competitiva ognuno per proprio conto, passandosi il volume finché il primo non risolve il caso: a occhio, tuttavia, potrebbe risultare alquanto noiosa nei tempi morti. Checché ne pensassero Thraves e la Giunti, meglio fare gli asociali e giocarselo da soli.
I casi escludono fatti di sangue a tutela dei lettori più giovani e riguardano il furto di un quadro all’interno di una galleria d’arte, la scoperta di un rapinatore che mette a segno i suoi colpi mascherandosi da clown, ancora un furto, di una preziosa collezione di diamanti, da una dimora nobiliare, e infine la caccia a un falsario dopo aver scoperchiato il suo covo.
Per ognuna di queste investigazioni viene proposto un paragrafetto introduttivo di una pagina circa che racconta il caso, svela alcuni dettagli fornendo pur minimi indizi e restringe il campo a una serie di sospettati. Quindi la parola viene lasciata ai fatti, o meglio, ai rapporti di polizia. Con qualche minima variazione ogni indagine presenta un primo schema, in forma di tabella contenente numeri di paragrafo, dedicato a situazioni preliminari, che consentono di farsi una iniziale idea della situazione, e un secondo passaggio, con una nuova tabella, sempre piena di numeri, tutto dedicato ai loschi figuri da vagliare.
Conviene, qui, smentire una critica che talora accompagna questo volume, quella di “non essere un librogame” in senso stretto. Va ammesso che mancano una trama finemente cesellata, se non quei brevi accenni introduttivi, e un protagonista fortemente caratterizzato, mentre si usa una prima persona plurale a simboleggiare un po’ l’intero corpo di polizia. Ma il testo è comunque diviso in paragrafi e le tabelle consentono di navigare all’interno come fossero paragrafi di snodo.
Come pure si rivelano avere medesima funzione le immagini, che costituiscono parte preponderante del racconto e dell’indagine e risultano decisive per approdare alla soluzione. Nella “fotografia” del luogo del delitto, difatti, gli inquirenti hanno annotato indizi di tre generi: impronte digitali, ingrandimenti fotografici e analisi di laboratorio. Ogni reperto è indicato da forme geometriche diverse (rispettivamente quadrato, cerchio e triangolo) e contiene un ulteriore numero di paragrafo da raggiungere per esaminarlo.
La descrizione del sistema è fin troppo lunga mentre è assai più immediato capirne il funzionamento: reperire informazioni preliminari sul crimine, incrociarle con quelle relative ai sospettati e, per esclusione, far fuori tutti quelli non compatibili alle risultanze. Fino a inchiodare il colpevole. Banalmente, il calvo alto 1.90 non può essere accusato se nell’auto del ladro sono stati trovati capelli biondi e dalle deposizioni il malvivente risulta non più alto di 1.75. E così via.
Il giochino nel complesso funziona e - senza avere pretese di costituire una sfida enigmistica insormontabile - garantisce sfizioso divertimento agli appassionati. Non mancano, per aumentare il livello del gioco, false piste che possono indurre in tentazione e che servirà filtrare con ulteriori elementi per non incorrere in accuse sbagliate a un innocente: errori che non comporteranno la fine anticipata dell’avventura, ma solo penalità in termini temporali.
Qualche asperità lungo il percorso farà storcere il naso: ipotizzare che ladri raffinati dimentichino sulla scena del crimine i biglietti dei treni su cui hanno viaggiato o della partita di rugby cui hanno assistito è chiedere un po’ troppo alla fantasia del lettore. Ma si tratta di minuzie nel quadro generale.
Alle volte, poi, capita che il reperto decisivo nel caso del colpevole sia semplicemente “non disponibile”, in modo da non rendere il gioco troppo facile: così che, a essere accusato, alla fine sarà anche il sospetto che ha meno alibi, impronte, foto e informazioni sul suo conto rispetto agli altri, pur senza la presenza della “prova regina” che lo inchioda. Un azzardo o una finezza?
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Nota sulle valutazioni: nella “Longevità”, chi scrive dà un giudizio di quanto sia ben progettato il librogame in modo da essere giocato più volte, con nuovi percorsi e scenari e la possibilità di svolgere più partite senza esaurire filoni narrativi e ludici. La “Difficoltà” stima quanto sia complessa un’opera tra gioco e snodi: più il voto sale, più sarà complicato approdare alla fine. La “Giocabilità” è la summa di un sistema di gioco ben funzionante e non oppositivo verso il lettore e di una storia ben scritta e priva di errori. La “Chicca” accende una luce su uno o più aspetti con un punto di vista curioso, singolare o spesso simpatico. Il “Totale”, infine, non è una media delle tre votazioni precedenti (sebbene raramente vi si discosti troppo), ma un giudizio complessivo tarato anche sui gusti personali, sensibilità e fascinazioni del recensore.
Longevità 6.5:
Soffre il difetto di tutti i gialli e di quelli interattivi old school: una volta scoperto il colpevole, non c’è altro da fare se non mettere il tomo in libreria. La “rigiocabilità” è limitata a riprovarci quando si sbaglia ad accusare uno dei sospettati.
Difficoltà 7:
Con la messe di indizi seminati da questi malcapitati delinquenti, non sarà poi così difficile risalire alle loro tracce entro il tempo minimo, a patto di non perdere l’orientamento tra un reperto e l’altro, magari prendendo qualche appunto.
Giocabilità 7.5:
Il sistema tabelle-immagini-paragrafi funziona e il motore difficilmente si ingolfa, consentendo di immergersi appieno nella propria indagine.
Chicca:
Alla stregua dei mezzi di ordinanza delle forze dell’ordine, anche la “mala” londinese ha una propria auto ufficiale e deve trattarsi senz’altro della Ford Escort di colore rosso. In una delle indagini, saranno ben quattro su dieci i sospettati muniti di un simile bolide, rendendo sostanzialmente inutile l’informazione nella scelta finale, a meno che non si mettano le mani sui dettagli della targa...
Totale 7:
Un librogame assolutamente credibile e all’altezza delle aspettative, penalizzato oltremodo dalla fama nefanda - non sempre meritata - che grava sull’autore, da una confezione troppo parsimoniosa che raggiunge il culmine con l’ignobile collage di copertina e da una narrazione scarna, fin troppo legata al concetto del “rapporto di polizia”, che non riesce a far battere il cuore se non, un po’, quando si giunge alla cattura del furfante di turno.
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