Re: The Making of: Mizar III
Allora, premetto che non sono un fisico e che mi stupisco ogni giorno di più nel constatare quanti problemi nascano al voler scrivere fantascienza (o steampunk). Capisco cosa spinge gli scrittori di Fantasy a parlare di orchi, elfi e montagne volanti. Ad ogni problema che sorge può sempre dire "Magia! è tutto merito della magia! Ora nun scassate..."
Io invece non tratto fantasy e non posso dare simili risposte.
Innanzitutto però devo dire che il disegno fatto da mia sorella non coincide minimamente con quanto mi ero immaginato. Il fatto è che mia sorella non ha tempo ne voglia di leggere le cose da me scritte, così ho dovuto fargli una descrizione sommaria del soggetto e, ad un certo punto, lei mi ha bloccato dicendo: "Basta! Già così è troppo complicato"
Ho voluto inserire un i paragrafi sull'aeromedusa, e relativa immagine, per vari motivi. Innanzitutto per creare il sens of wonder necessario ad un opera di fantasia. Fino a tutto il cap.1 il lettore può pensare magari di trovarsi sulla terra oppure su una versione alternativa della terra. A sostegno di questa ipotesi c'è il fatto di riconoscere, o pensare di riconoscere, alcuni elementi familiari come le religioni o i nomi di certe popolazioni. Quando Alenn esce per la prima volta dal dirigibile, e il lettore, con lui, guarda per la prima volta il mondo esterno, ecco che le sue ipotesi vengono spazzate via dalla presenza di un enorme creatura evidentemente aliena.
Certo, rimane il problema logico del rifornimento e dell'aerogas. Sinceramente non mi ero posto il problema fisco della natura di suddetto gas. Mi ero detto: sono su un mondo alieno, con creature aliene e mi serve avere del gas volatile molto leggero, perchè sto gas alieno non lo faccio produrre da una delle bestie aliene che popolano il mondo? L'idea delle meduse giganti che volano è stata conseguente. Pensata che mi sembrava, se non originale, quantomeno intelligente e in tono con il mondo.
Ora si pone il problema di come sia composto l'aerogas. Vabbè.
Se invece di una molecola di H2 i processi digestivi delle aeromeduse creassero degli isotopi 4H o 6H con un elevato tempo di dimezzamento? Si tratta di isotopi che, riprodotti oggi sulla terra sono molto istabili ma magari se prodotti dalla bestiaccia su mizar riescono ad essere stabili. Una volta dentro il dirigibile poi gli isotopi vengono scaldati (eccitati) dai bruciatori e si ricombinano in idrogeno. certo a me l'idrogeno non piaceva come idea visto che è infiammabile, ma se non se ne può fare a meno...
Per quanto riguarda le dimensioni della aeromedusa rispetto al dirigibile, anche quelle sono fatte a cacchio nel disegno. Le Aeromeduse sono molto grandi! Inoltre le sacche interne al involucro aerodinamico (sapevo come era fatto un dirigibile, anche se a grandi linee, solo mi sembrava un infodum del tutto evitabile spiegarlo nel libro) non è che si svuotano nell'arco di una sola giornata di volo! Così un Aeromedusoide di grandi dimensioni è più che sufficiente per ripristinare il livello di Aerogas disperso durante la giornata. Durante la notte, poi, con l'abbassarsi della temperatura l'aerogas di perde volatilità (o, se teniamo per buona la faccenda degli isotopi 4H, questi non decadono e non si eccitano diventando H2, viste le basse temperature) per cui non c'è fuoriuscita ne perdita del medesimo e la mattina dopo il velivolo è pronto a ripartire.
So che è un po' tirata per i capelli ma, d'altronde lo sono anche le città su cingoli di Reeves, le crature modificate geneticamente da Darwin di Westerfield o la tritonessa uguale alla regina Vittoria di Paul di Filippo (Ho citato tre romanzi steampunk recenti), quel che mi preme è che gli elementi di Mizar III siano, non a prova di scenziato o scientificamente corretti al 100%, ma almeno verosimili.
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Re: The Making of: Mizar III
Siccome tempo fa stavo scrivendo dei testi, mi sono accorto di una sgradevole tendenza che ho e che probabilmente viene spontanea a molti apprendisti scrittori.
E' la tendenza a raddoppiare inutilmente i concetti (tipicamente: gli aggettivi) nella speranza di rendere piu' cariche di "significati" le proprie frasi. Potremmo chiamarlo il problema della "doppietta", se gia' non e' stato inquadrato in modo specifico dai soliti corsi di buona scrittura.
Preciso che la doppietta non e' un errore ma una ridondanza che finisce, diciamo, per rendere un cattivo servizio alla scrittura, appesantendola.
Ho notato che accade piu' spesso quando una scena e' particolarmente "sentita", quando la scrivi convinto che sia una scena cruciale, molto bella o divertente del tuo racconto.
E' probabile infatti che, quando una scena "ti appassiona", hai in testa molti dettagli e vorresti trasferirne piu' possibile nella stessa riga.
Faccio un esempio: tempo fa ho scritto una scena dove un personaggio, sempre trattato sottogamba da tutti, finalmente prende in mano la situazione e impone il dovuto rispetto. Preciso che non e' una scena "fisica". L'uomo non si "ribella", ne' fa nulla di ecclatante, tuttavia riesce a far capire che da oggi la situazione e' cambiata.
Tale momento e' cruciale nel racconto, senza scendere nei dettagli, e per via di tutta una serie di antefatti della storia, mette in scena dei gran bei spunti psicologici e umoristici.
Arrivati a quel punto, si prevede quindi che dovrebbe essere letto con GRAN godimento dal lettore.
Io quando finalmente ho fatto quadrare in testa tutta la scena, ero talmente convinto del risultato che ridacchiavo da solo facendone la prima stesura al computer.
C'era pero' un problema: era una scena molto "di fino", con gesti e sguardi da rendere "significativi".
Ed ecco apparire il fenomeno della "doppietta"... rileggendo a distanza di tempo e' tutto un proliferare di "con voce seria e decisa..." "divento' agitato e furente..." etc... etc...
La verita' e' che, quando scrivevo mi figuravo fin troppo la scena nei dettagli e ognuno mi sembrava importante, col risultato di caricare le frasi.
Tempo dopo, ho sfoltito le doppiette... ma tenendo una copia anche dell'originale perche' mi sembrava un crimine buttare via i dettagli di quella scena descritta a puntino. Insomma razionalmente sapevo di doverlo fare ma non ero veramente convinto con me stesso.
Oggi ho riletto le due versioni e devo serenamente ammettere che quella sfoltita funziona molto meglio. Perche'?
Diciamo che, a guardar bene, spesso la doppietta e' fatta da un aggettivo chiave e da uno "parassita".
Quello chiave rappresenta cio' che realmente volevamo dire, quello parassita e' una nostra aggiunta nell'ansia di rimarcare e rendere piu' "gustosa" la situazione che ci preme di raccontare al lettore.
In altri casi il parassita va ad aggiungere un dettaglio in piu', reale... ma secondario rispetto a quello chiave.
Ora, il dilemma e': tenere anche i dettagli secondari per amore di completezza oppure perderli per amore di sintesi?
La mia teoria e' che puntare solo ai dettagli chiave e aumentare la scorrevolezza del testo aumenti l'efficacia del risultato. Una scena buffa o emozionante arrivera' al lettore piu' direttamente.
Ora io avevo la mano arruginita e mi son trovato una situazione particolarmente "infestata", ma vediamo un possibile esempio dal tuo libro, dove il fenomeno e' molto piu' raro, ma qualcosa c'e' gia nel par1:
(facciamo conoscenza di Ugeene, che s'infervora a lodare il dirigibile... ma noi osserviamo che si tratta di un pezzo da museo)
L'espressione confusa e addolorata di Ugeene Ciric ti intenerisce quasi.
Premesso che addirittura "addolorata" per uno sconosciuto che gli ribatte una blanda osservazione mi sembra un po' esagerato e la sostituirei con un semplice "mortificata":
>L'espressione confusa e mortificata di Ugeene Ciric quasi ti intenerisce.
A questo punto siamo pronti ad applicare quanto detto prima: nel libro si sta introducendo un nuovo personaggio, per cui e' un momento chiave. Ti sembrava importante, Gpet, sottolineare il carattere del ragazzo: un sognatore ma "introverso".
Rileggi tale frase e capirai facilmente che uno dei due aggettivi e' "parassita".
"confuso e mortificato"
A parte il fatto che uno non puo' avere due stati d'animo allo stesso tempo (pure fossero simili) ma e' chiaro che se uno e' mortificato e' sottointeso che vive un momento di confusione.
Leva il "parassita" e avrai la frase perfetta:
L'espressione mortificata di Ugeene Ciric quasi ti intenerisce.
S'e' perso veramente qualcosa? No, si capisce ugualmente tutto... ma s'e' guadagnato in piacere di lettura.
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Sempre nel par1.
Per qualche motivo ti eri convinto che poter dare un ultima occhiata ed un ultimo addio alla tua città natale avrebbe reso il distacco meno doloroso.
Tecnicamente non e' una famigerata doppietta, ma siamo nei paraggi:
In questo incipit era importante sottolineare il significato simbolico del distacco ...e allora via col famigerato 2x1: l'occhiata e l'addio.
=>"...poter dare un ultima occhiata di addio alla tua città natale..." e la frase scorre meglio alla lettura. (a proposito: non dimenticare l'apostrofo)
Che ne dici della mia teoria? La mandiamo a Gamberetta?
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Re: The Making of: Mizar III
E' tardi per cui la mia risposta sarà più breve di quanto l'argomento da te sollevato meriterebbe.
hai perfettamente ragione. L'abitudine del doppio aggettivo colpisce tutti gli scrittori inesperti. Da quando mi sono reso conto di quanto sia brutto leggere un testo infarcito di inutili "doppiette", come le chiami tu, me ne sono messo a caccia, sterminandone un numero enorme.
E' stato un amico di famiglia, una persona la cui intelligenza stimo moltissimo, che un giorno, parlando tra il serio e il faceto a proposito dei racconti e romanzi di mia sorella, (che per inciso reputo essere una scrittrice molto più brava di me) mi fece notare quanto siano artefatti e lontani dalla realtà i doppi aggettivi. Se ci si prefigge di scrivere dialoghi e descrizioni attinenti al reale, o che comunque trasmettano al lettore un impressione di "vero", allora bisogna domandarsi quante volte nella vita reale si usano le doppiette. Quanto spesso si sentono in un dialogo? e quante volte si usano in una descrizione? la risposta era: Mai!
La tentazione, come dici tu, è forte. Spesso insopprimibile nelle prime stesure. L'importante è correggere, correggere e ancora correggere. Oddio, anche avere dei bravi betatester non fa mica schifo, nè? Quest'ultima non è una battuta visto che spesso capita di innamorarsi a tal punto della propria opera da non vederne più i difetti.
Per non passare le prossime righe a sottolineare quanto tu abbia ragione, ma cercando di dare qualche spunto nuovo a questa discussione, vorrei segnalare un punto, l'unico forse, del tuo discorso con cui non sono d'accordo. Quando dici: uno non puo' avere due stati d'animo allo stesso tempo (pure fossero simili) secondo me dici una cosa non vera o comunque parzialmente falsa. Soprattutto se si parla di stati d'animo elementari una persona può averne eccome più di uno contemporaneamente. L'importante, a mio avviso, è di non confondere il lettore con una sfilza di aggettivi cohe, altro che doppietta, lo porterebbero a non capire più nulla. Inoltre la tendenza consolidata della doppietta è di rinforzare un aggettivo con un altro simile o comunque intercambiabile (Era stupito e confuso), ma il discorso cambia un po' quando si vuole descrivere la coesistenza di due sentimenti differenti.
Quindi se dico che sul volto di Tizio il timore si mescolava alla cupidigia ecco che ho appena sparato una doppietta (appena appena mascherata e imbellettata) che, sempre secondo me, ha senso di esistere e di essere mantenuta. Immagina che tizio stia rubando denaro dalle tasche di una guardia addormentata. I due sentimenti descritti sono contemporanei, coesistenti e indissolubilmente legati l'uno all'altro dalla situazione contingente.
Con qeusto non voglio ora difendere le doppiette, che sono indifendibili e, lo ripeto, vanno sterminate con ferocia ognivolta si scovino. Dico che questa regola, come per tutte le regole di sintassi e non, va presa cum grano salis.
Scendendo in dettaglio hai perfettamente ragione sulla doppietta confuso - mortificato ora vado subito a eliminare il confuso. Sono meno convinto sul ultima occhiata e ultimo addio, ma forse ne sono solo troppo infatuato. Magari se riformulo la frase riesco ad eliminare l'effetto doppietta mantendo il concetto che l'addio avviene abbracciando la città con lo sguardo e non, magari, con la mente, con il cuore o con altri sensi. Alenn voleva vedere dall'alto la sua città un ultima volta perchè solo così sentiva di poterle dire addio nella sua interezza. Essendo stato privato di questa possibilità a lungo coltivata ora si sente defraudato ecc. ecc.
Grazie, Seven.
P.S. Si tratta di cose già lette e rieltte su Gamberetta & Baionette. Però se ci ficchi due o tre sproloqui e qualche insulto gratuito alla Strazzulla o alla Troisi sono sicuro che sto pezzo te lo pubblicano.
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gpet74
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