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Tradurre è un po' tradire...

Re: Tradurre è un po' tradire...

Charles Petrie-Smith ha scritto:

Sabretooth ha scritto:

non si poteva tradurre [...] Ramen con Pizza

E qui ti sbagli: è stato fatto anche questo. Recentemente ho visto una qualche puntata di un vecchio anime (potrebbe essere, ma non sono sicuro, l'ultima di Trider G7) in cui a un certo punto compare un vassoio di sushi, che nella traduzione del dialogo diventa un dolce, pasticcini o qualcosa di altrettanto incongruo. Edit: era davvero l'ultima puntata di Trider e i nigiri diventano "bastoncini di cioccolato".
Del resto, per lo stesso principio che invocavi tu, lo posso anche accettare: dei bambini italiani di inzio anni '80 non avrebbero compreso l'entusiasmo per del pesce crudo col riso (ve li ricordate gli stupidi sketch di Villaggio sul tema?).

appunto, non si poteva tongue
anche se culturalmente (ragazzi che mangiano in giro) Pizza è adatto al posto di Ramen tongue
se l'avessero fatto avrebbero appunto creato una situazione ridicola come questa tongue

Sabretooth
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Re: Tradurre è un po' tradire...

Heimdall di Bifrost ha scritto:

Sabretooth ha scritto:

resta il fatto che anche se "hai dato la regola" poi tutto si basa sul "buon senso del traduttore"

Io ho dato una regola ben precisa perché si stava affrontando un argomento altrettanto definito: quello dell'opportunità ovvero della necessità di tradurre nomi tedeschi (o danesi) presenti in un testo inglese che deve essere localizzato in italiano e ho visto che nei post precedenti si andava annaspando immaginando le soluzioni empiriche più disparate. Lo ripeto: ciò che è (ma anche 'richiama' o 'suona come') lingua nativa del testo originario va localizzato, ciò che è in una lingua 'terza' non va tradotto: questo non è un mio parere, è veramente una regola aurea, un postulato da cui non si può prescindere, altrimenti parliamo d'altro. Casi pratici? 'Lone Wolf' si traduce; 'Kalte' no (e neppure si cambia); 'Sommerswerd' è a cavallo: qui si discute e si cerca di operare col buonsenso (magari dopo essersi sufficientemente documentati); 'muggles' si traduce o, meglio, se ne propone una versione localizzata che tenga debito conto delle motivazioni che hanno spinto l'autore ad effettuare quella scelta.

m il punto sta anche in questo..
se deve evocare un termine germanico inventato (perchè JD se li inventava prendendo spunto ovviamente) allora l'importante è che il termine usato evochi la stessa cosa..
sinceramente non mi cambia molto Kalte o Kalteland..

d'altro canto la scelta di tradurre in Charcasso è l'opposto della soluzione per Kagoneste.. hanno trasformato una parola non "ambigua" in una "ambiguabile".. ma che charCasso hanno pensato tongue

Per quanto riguarda il resto del tuo discorso, comprendo bene il tuo punto di vista e lo rispetto anche se in questo caso - senza nessuna pretesa di esaustività ultimativa - mi trovo in disaccordo.

mi piacerebbe approfondire wink


Sabretooth ha scritto:

un anime è destinato a dei bambini/ragazzini.. in quel caso (quasi magia Johnny) è più una storia "rosa"..  importa poi il giusto dove sia ambientata e tradurre nomi e valuta serve a dare il contesto di familiarità.. non è un romanzo sulla cultura nipponica che deve stimolare l'approfondimento di questo aspetto...

Kimagure Orange road, nella versione Fininvest anni Ottanta 'È quasi magia Johnny', è un caso che ha fatto scuola in negativo. L'anime (e prima ancora il manga) in originale sono notoriamente destinati a un pubblico adolescenziale: la storia dei poteri telecinetici (l'abusata 'magia' del titolo) di cui sono dotati alcuni dei protagonisti è quasi un pretesto secondario per narrare la storia del classico triangolo amoroso tra quindicenni sullo sfondo delle famiglie e del liceo, un genere ampiamente battuto in Giappone. Trattandosi di adolescenti, adolescenti immersi nella cultura giapponese, è abbastanza automatico che tra gli ingredienti della narrazione vi siano i primi pruriti sessuali, con timide intuizioni, piccole avances, rapidi rossori, imbarazzi di vario genere. In Italia hanno deciso che, trattandosi di cartoni animati (siamo ancora in un'epoca in cui si faticava staccarsi dall'idea che cartoni=Topolino e Tom&Jerry), si trattasse di roba esclusivamente per bambocci, e hanno massacrato l'anime tra tagli, fraintendimenti, traduzioni arbitrarie.

Come si poteva, allora, mi si può chiedere, raccontare una storia del genere a dei bambini? Semplice: non si poteva. Si sarebbe dovuto prendere atto del fatto che non si trattava di un prodotto destinato a bambini di dieci anni e destinarlo ad adolescenti, magari proponendolo in un'altra fascia oraria - ma le pubblicità di Bim Bum Bam evidentemente erano roba ghiotta per i commerciali dell'epoca - oppure rinunciare a trasmetterlo anziché massacrarlo. Così facendo hanno creato un prodotto fasullo, un ibrido senza senso, sottraendo un'opera al suo pubblico di destinazione e proponendolo - per semplice ingordigia commerciale - a spettatori che nulla c'entravano coi destinatari di riferimento.

Se una persona italiana liberamente sceglie di fruire un'opera straniera - giapponese, inglese o financo con ambientazione e rimandi nella cultura norrena o anseatica -, compie la scelta deliberata di fruire il prodotto culturale di una cultura diversa. È una scelta legittima, nessuno glielo vieta, ma non si può lamentare impetrando che "il diverso sia a me comodo come il mio proprio". Non ha senso, è un ossimoro: è una pretesa non solo illegittima, ma insensata da principio. Non è che il sapore di un piatto straniero possa risultarci familiare come la pasta che ci cucina la mamma sin dall'infanzia.

Quindi discende che chiunque decida di porsi di fronte a un'opera, anche di intrattenimento, ma straniera, non può pretendere che altri facciano per lui il necessario, imprescindibile sforzo di affrontare un gradino culturale. Non possiamo (o possiamo solo entro certi limiti) chiedere a un'opera straniera di "venirci incontro" al di là di della sua componente linguistica (= traduzione corretta): dobbiamo andarle incontro noi.

Il fruitore italiano di un'opera straniera non può sentirsi al centro, perché al centro c'è l'opera stessa: il pubblico le sta intorno.

ho evidenziato due frasi..
il punto è proprio quello..
i cartoni all'epoca (le VHS erano ancora rare eh.. l'home video non era un mercato simile a ora) erano destinati a RAGAZZINI CASUALI
quindi non c'è il concetto di "decider di affrontare un'opera giapponese".. si accendeva la tele e il cartone che c'era si vedeva..
vero che in Giappone il tutto ha un pubblico molto più ampio..
ma in Italia il pubblico (soprattutto all'epoca) era veramente esclusivo dei ragazzini, massimo fino alle medie..
sarebbe stato un flop commerciale presentarlo pensato per il pubblico adolescenziale senza tutti i tagli che citi..
poi tutto il discorso di fedeltà al prodotto originale siamo d'accordo..
i cartoon all'epoca erano una miniera d'oro per le reti televisive.. cosa fai? scegli di non comprare un prodotto che adattato ti può rendere ricco o non lo compri proprio e poi non hai qualcosa di decente da proporre?

se poi ci rifletti bene, tutta la polemica sull'adattamento è venuto dopo.. quando chi lo guardava da ragazzino è cresciuto e ha scoperto l'originale..

Sabretooth
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Re: Tradurre è un po' tradire...

Sabretooth ha scritto:

sinceramente non mi cambia molto Kalte o Kalteland...

A me sì: uno è metodologicamente corretto, l'altro no.

'Kalte' l'ha pensato l'autore originale, 'Kaltenland' no.

La differenza è questa, e per me è dirimente. Il fatto che JD l'abbia partorito dopo poderosa consultazione dell'Edda di Snorri o sorseggiando un cocktail sul suo balcone non cambia una virgola.

Sabretooth ha scritto:

anche se culturalmente (ragazzi che mangiano in giro) Pizza è adatto al posto di Ramen tongue
se l'avessero fatto avrebbero appunto creato una situazione ridicola come questa tongue

Anche vedere dei personaggi uscire da un negozietto di ramen spostando le caratteristiche tendine giapponesi e sentir dire: "Ho speso diecimila lire" è una situazione ridicola che a me, senza pensare di essere un genio, non sfuggiva neppure a dodici anni.

Sabretooth ha scritto:

se poi ci rifletti bene, tutta la polemica sull'adattamento è venuto dopo.. quando chi lo guardava da ragazzino è cresciuto e ha scoperto l'originale..

Ci ho riflettuto bene. Come avevo specificato qualche post prima, le mie osservazioni erano fatte più in generale, indirizzate a chi sostiene che le traduzioni dovrebbero 'rendere famigliare' ciò che traducono. Qualcuno (molti) ritengono che le localizzazioni dovrebbero 'facilitare' la comprensione di un'opera indipendentemente dal suo livello di complessità originale. Questo non mi trova d'accordo, e ritengo di avere argomentato il perché: non era un discorso limitato a Kimagure Orange Road.

Ad ogni buon conto, anche negli anni Ottanta, i bambini erano spettatori casuali, gli adattatori no.

I bambini recepiscono quello che gli adulti propongono loro.

Gli adulti sono responsabili della scelta.

Dicendo che l'han fatto per soldi, hai detto tutto: se però stiamo cercando di fare un discorso di criteri ideali, io ritengo che l'opera da educatori sia insegnare la consapevolezza e l'onestà intellettuale ovunque possibile e, possibilmente, smetterla di pensare che un dodicenne sia un imbesuito privo di qualunque capacità critica, altrimenti lo diventerà per forza, ma avremo delle responsabilità.

Heimdall di Bifrost
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Re: Tradurre è un po' tradire...

Heimdall di Bifrost ha scritto:

La regola è semplice, ed è questa: tutto ciò che è nella lingua nativa del referente originale va tradotto, rendendo per quanto possibile i riferimenti, i giochi di parole e quant'altro; tutto ciò che è in una lingua terza rispetto al referente originale e al destinatario della localizzazione va lasciato immutato.
Originale in inglese / Nome in inglese --> Tradotto; originale in inglese / nome in tedesco --> non tradotto. "Lone Wolf", sostantivo e aggettivo del tutto comuni in inglese, è perfettamente e correttamente traducibile come "Lupo Solitario", così "Stella Grigia".

Ma quindi tu sostieni che se un giapponese scrive un libro a proposito dei "ninja", questo "ninja" va tradotto con "uomo-ombra", e che se il suo amico si chiama "Tanaka", nella versione italiana diventerà "Dentrolarisaia" ?

se AD&D5 fosse stato scritto da un giapponese, avremmo dovuto tradurre "Hidenaga" con "Lunga eccellenza", solo per il fatto che è giapponese scritto da un giapponese?

Non sto né scherzando né sto tentando di applicare un'ironia fuori luogo. Sto semplicemente constatando che la regola che hai dato mi impone di tradurre le parole giapponesi - nomi inclusi - se mi accingo a scrivere una versione italiana del libro.

Se sbaglio spiegami perché inizio a non capirci niente.

"La grammatica è tutto ciò che conta"

gabrieleud
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Re: Tradurre è un po' tradire...

No, ninja non va tradotto perche' e' una parola che e' entrata nella lingua italiana.
Tu traduci letteralmente ninja con uomo-ombra ma nella realta' anche in giappone e' usata per indicare una categoria di persone. Devi cercare il significato comune delle parole, non l'etimologia.
I nomi propri non vanno (non andrebbero)  tradotti. Sono nomi, quindi spesso intraducibili.
Molte volte poi non c'e' un corrispettivo tra le lingue.
Quindi se sono particolarmente fuori luogo nella nuova lingua e suonano male, si segue le regole dei nomi inventati. Si contatta l'autore.

Kubrick quando ha diretto Shining, ha "modificato" la frase che Nicholson batteva a macchina per il doppiaggio straniero.
In inglese e' una, in tedesco un altra, in italiano un altra... tutto per mantenere il significato dell'opera, non della singola parola.

perseo
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Re: Tradurre è un po' tradire...

Era quello che speravo di sentire. Mi sarei turbato a sapere che per vent'anni ho sbagliato a tradurre, e vabbuò che non si smette mai di imparare...
Ma giusto mezz'ora fa ho firmato un contratto di traduzione per una azienda ceca, e adesso chi glie lo andava a spiegare che come traduttore non valgo un piffero?

"La grammatica è tutto ciò che conta"

gabrieleud
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Re: Tradurre è un po' tradire...

"ninja non va tradotto", "tanaka non va tradotto", dipende. Sempre. Da. Contesto.
Se tutto il discorso che viene fatto ha senso o ha una sfumatura partivolare si può voler evidenziare l'etimologia di ninja, colui che si nasconde (shinobu mono)
Se una barzelletta parla di un signor Tanaka che magari è un contadino e di un signor Kaneda che è un milionario, perché non tradurre come il signor Nelcampo e il signor Ricconi? Altrimenti chi la capisce la barzelletta.
Infatti trovo eccellente la traduzione inglese di Io sono un gatto, dove il prof. Kushami, che starnutisce sempre è diventato il propessor Sneeze, mentre la traduzione italiana SECONDO ME è scritta da una Pastore (Kaneda?) che non ha neanche capito che dovrebbe essere un libro umoristico, e il lettore italiano non vinee neanche informato della presenza di battute e giochi di parole nel testo, mentre ci sono inutili note su filosofi tedeschi menzionati solo per ridere!
Va a finire che non leggo Souseki in italiano, ma ad altre persone che non conoscono il libro originale, i libri di Suseki in italiano vanno evidentemente bene ed hanno anche successo.
Non ci sono regole, altrimenti le traduzioni di google sarebbero perfette e i traduttori umani non servirebbero. Serve sensibilità.
Non c'è si deve e non si può a priori, bisogna trasmettere un significato. A volte bisogna sceglierlo fra i tanti. Tradurre è sempre operare una scelta.

Tadanori
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Re: Tradurre è un po' tradire...

perseo ha scritto:


Kubrick quando ha diretto Shining, ha "modificato" la frase che Nicholson batteva a macchina per il doppiaggio straniero.
In inglese e' una, in tedesco un altra, in italiano un altra... tutto per mantenere il significato dell'opera, non della singola parola.

Che poi in realtà sono tutti modi di dire che non c'azzeccano quasi nulla con l'originale. In inglese indica la totale discesa nella folia di Jack, nelle altre lingue parla di non rimandare a domani (?).

http://it.wikipedia.org/wiki/Shining_%2 … oni_estere

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Jegriva
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Re: Tradurre è un po' tradire...

Se tradurre fosse un'operazione rigorosamente matematica, sarebbe sufficiente l'algoritmo di Google Translate, ma immagino questo fosse già chiaro a Gabriele anche prima di postare la sua intelligente provocazione (lo dico col sorriso, sia chiaro!). wink

Una traduzione non è mai una mera operazione interlinguistica, bensì interculturale; maggiore è la distanza tra due culture, maggiori sono le negoziazioni da compiere tanto nel significato quanto nel significante.

Il problema della traduzione dei nomi si pone già operando una versione da francese a italiano - entrambe lingue neolatine con un saldo àmbito di riferimento europeo -: si pensi solo agli innumerevoli giochi di parole contenuti nei nomi dei personaggi di Astérix, talora non còlti neppure dai traduttori, talaltra impossibili da rendere, figurarsi dovendo tradurre dal giapponese.

È corretto quanto scrive Perseo: dipende da come entrambe le culture, originaria e destinataria, 'sentono' il nome. Se esso è presente in quanto tale nella cultura d'origine, non v'è ragione di scioglierne l'etimo: 'ninja' esiste anche in giapponese ed è utilizzato per indicare proprio i ninja per come li intendiamo noi e, per soprammercato, questo vocabolo ormai è accolto senza problemi in italiano. È vero che ad un giapponese la genesi lessicale è immediatamente visibile, ma in questo caso tradurre significherebbe produrre quell'effetto straniante cui si faceva cenno anche sopra, che lederebbe la comprensibilità del testo. E in questo caso non significa semplificare alcunché poiché la parola e il concetto sono ormai interculturali.

Parimenti si pone il discorso per gli altri nomi propri giapponesi: qualora ci si trovi di fronte a nomi che hanno assunto una forma cristallizzata, pur avendo agli occhi del parlante giapponese un etimo evidente (decisamente più evidente del significato che hanno per noi la maggior parte dei nomi nostrani), rimangono invariati, altrimenti si finirebbe con l'ottenere un effetto di involontario umorismo.
Hidenaga e Tanaka sono nomi di famiglia ampiamente presenti in Giappone: tradurli letteralmente nel contesto di AD&D 5 equivarrebbe a tradurre in inglese 'Giovanni Colombo' come 'John Dove'; diversamente, come nota correttamente Tadanori, se stessimo parlando ad esempio di un personaggio che vive o lavora in una risaia, andrebbe bene dare al nome una forma più scopertamente intellegibile al destinatario.

Certo, a questo punto qualcuno potrebbe sollevare anche l'obiezione sull'opportunità di tradurre 'Lone Wolf' con 'Lupo Solitario'. A mio avviso in questo caso il nome va convertito proprio perché nell'àmbito dell'universo narrativo deveriano è apertamente specificato che i cavalieri Kai nel momento in cui abbandonano il secolo e si votano alla nuova vita nell'Ordine, optano per una diade nome+aggettivo (o complemento di specificazione) che ne evidenzino le caratteristiche. Tali variabili tuttavia non vengono selezionate da un elenco rigidamente predefinito: in inglese - e pure nell'universo fittizio del Magnamund - parrebbe non esistere un nome 'LoneWolf' cristallizzato come tale quindi, anche per le considerazioni espresse nel corso della narrazione, 'Lone Wolf' va reso in italiano.

Heimdall di Bifrost
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Re: Tradurre è un po' tradire...

... e qui troviamo un ottimo punto di incontro. Stasera a grande richiesta di Tadanori san pubblicherò la barzelletta del signor Ueda e del signor Kanemochi, ci sarà da sbellicarsi!

Ps c'è un nome NON tradotto in Harry Potter, quello della prof. COOMAN. Ogni volta che il nome appare sul libro sembra di essere spiati da un paio di enormi occhiali!

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gabrieleud
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