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Re: I CORTI 2014 - Prede e cacciatori (9-15 giugno)
Col corto "Prede e cacciatori" torniamo nell'àmbito di un genere di libro (o racconto) game più vicino alla classica avventura a sviluppo orizzontale in stile "Lupo Solitario" o "Oberon".
Gioco
Il sistema di gioco non mi è dispiaciuto: l'ho trovato abbastanza ben calibrato ed è divertente scegliere il totem nell'àmbito della narrazione anziché in fase di costruzione del personaggio anche perché, poi, questa scelta finisce per influenzare (molto) pesantemente gli sviluppi seguenti.
Inizialmente avevo trovato irritante il fatto che, tranne in un'unica occasione (mi pare), non vengano offerte possibilità di recuperare quei punti vita che invece vengono sottratti con così tanta facilità: è pur vero che in questo - come mi è capitato di fare per gli altri corti - considero i ristretti paletti imposti dal concorso una giustificazione parzialmente valida.
Forse si sarebbero potuti assegnare inizialmente meno punti vita: in questo modo l'autore non si sarebbe costretto da se medesimo ad introdurre le situazioni nelle quali i punti vengono persi. Ma alla fine, considerato l'equilibrio generale dell'avventura, ci sta: se si distribuiscono i punteggi con accortezza e si agisce di conseguenza, i punti sono appena sufficienti per arrivare in fondo all'avventura, il che normalmente è indice di un impianto ben studiato.
Buono e ben gestito anche il sistema delle parole d'ordine.
Il punto a mio avviso più debole dell'impianto di gioco è il delinearsi di un binario abbastanza rigido, da cui le singole scelte proposte permettono di discostarsi solo per brevi tratti, ma nel quale si viene implacabilmente ricondotti, riducendo di molto la sensazione della libertà di scelta.
Nel complesso il mio voto alla parte ludica è: 8.
Narrazione
Si accennava ad alcune ascendenze 'deveriane' del nostro autore: prediligendo uno sviluppo orizzontale à la Dever, la narrazione opta per un'onesta paratassi, senza grandi voli pindarici ma anche senza particolari sfondoni, funzionale al ritmo della narrazione.
Pare mancare un lavoro di lima volto ad eliminare alcune ripetizioni, piccole ma fastidiose, che ricorrono nel testo. Solo nel primo paragrafo: 'lunghe marce' e 'lunghe distanze'; 'in groppa' ripetuto due volte nel giro di due righe; 'rituale' ripetuto un numero eccessivo di volte nelle poche righe dell'introduzione, peraltro alternando la versione con l'iniziale maiuscola a quella con la minuscola. Ancora: par. 1 'centro dell'altopiano' e 'mezzo dell'altopiano'; par. 2 'vecchio' ripetuto due volte; par. 12 'stagliano' ripetuto due volte.
Quando si opta per la paratassi, questo tipo di ripetizioni possono essere ammesse solo se sono delle anafore volute, altrimenti si pone il caso di ricorrere a dei sinonimi o a delle perifrasi.
Dal punto di vista della coerenza narrativa, mi pare che si sorvoli un po' troppo sulla maledizione del Wendigo che lo sciamano (a proposito, iniziamo a chiamarlo così ma come facciamo a sapere che è uno sciamano?) del par. 2 ci sciorina a mo' di introduzione dell'avventura vera e propria: sappiamo che 'fu maledetto' per aver compiuto un omicidio ed essersi cibato di carne umana ma non ci viene detto molto di più. Intendiamoci: non chiedo una spiegazione parascientifica, che ammazzerebbe il racconto, ma, visto che subito dopo si fa riferimento ai doni inviati dal Grande Spirito per porre rimedio alla presenza del Wendigo, sarebbe stato interessante proporre una spiegazione ugualmente leggendaria per l'insorgere della maledizione.
Purtroppo, il limite più evidente della parte narrativa a mio avviso risiede nei continui riferimenti a cose che il protagonista, per come è contestualizzato, non può conoscere o, quantomeno, non nei termini in cui vengono presentate.
Soprassediamo pure sull'utilizzo dei nomi dei punti cardinali derivati dalle lingue indoeuropee (nord, est) ma se il protagonista è un nativo americano, tanto giovane da non aver ancora affrontato il proprio rito di passaggio e non aver mai incontrato l'uomo bianco, difficilmente misurerà le distanze valendosi del sistema metrico decimale (peraltro ancora sconosciuto, pare, ai discendenti stessi dell'uomo bianco che ancora infestano quei paraggi): avrei potuto considerare passabile 'miglia', inteso come 'mille passi', ma certo non 'metri' e 'chilometri'.
Ma secondo me ci sono degli errori concettuali ancora più importanti. Se vogliamo rendere credibile un protagonista, dobbiamo forzatamente tentare di immedesimarci in quella che è la sua rappresentazione del mondo, non proporre la nostra - altrimenti cadiamo in un grave errore epistemologico. Attichitcuk nella sua sino ad allora breve vita sua avrà conosciuto solo 'guerrieri', 'tepee', 'squaw' e 'sciamani': ho trovato veramente inaccettabile che egli potesse riconoscere in quanto tali un 'generale', un 'capitano', un 'ufficiale', una 'sala di comando', una 'caserma' o un 'corral'. Queste sono chiaramente terminologie che il narratore sta fornendo direttamente al lettore senza più valersi dell'intermediazione del protagonista, vanificando l'effetto di immedesimazione che invece dovrebbe essere alla base di un'opera del genere.
Altri errori altrettanto inverosimili sono dovuti, paradossalmente, ad un eccesso di documentazione sul contesto. Ad esempio, le considerazioni del par. 44, sul coyote che "rappresenta l'energia incontrollata del caos, la forza generatrice di infinite possibilità [e ...] una guida che, attraverso le difficoltà, permette di raggiungere una nuova conoscenza del mondo e di se stessi", possono essere il frutto delle ricerche di un antropologo, ma non certo il pensiero di un giovane pellerossa. E, a questo proposito, nessun pellerossa ha mai chiamato se stesso 'pellerossa' o 'nativo': anche questi sono termini frutto delle categorie mentali degli Europei, e da essi sono stati coniati. Il primo, peraltro, ha connotazioni vagamente dispregiative e gli stessi discendenti degli indiani d'America attualmente lo ricusano come razzista; il secondo chiaramente coniato in contrapposizione agli stessi Europei che certamente non erano autoctoni.
Sono altrettanto perplesso dall'utilizzo di termini derivati dalla filosofia o dalla scienza d'importazione: 'anima' (avrei capito 'spirito', peraltro con un'altra accezione), 'ipnosi', 'conflitto interiore'; allo stesso modo mi suona stridente una metafora come quella riferita all''anello debole della catena', credo abbastanza inconsueta presso popolazioni seminomadi che non conoscevano la metallurgia, o il riferimento al 'granito', la cui specificazione presuppone quantomeno un sistema, sia pure rudimentale, di classificazione dei minerali e la conoscenza di edifici o costruzioni realizzate con quel materiale.
Questi problemi che ho evidenziato comportano una continua interruzione nell'atteggiamento di sospensione dell'incredulità che è invece assolutamente necessario per apprezzare un'opera di fantasia, tanto più se dotata di un'ambientazione lontana nel tempo e nello spazio e, soprattutto, basata su elementi soprannaturali come questa.
Per questo motivo, a malincuore, giudico l'aspetto narrativo insufficiente e gli assegno un: 4,5.
Voto
Gli elementi esposti sopra fatalmente mi hanno impedito di apprezzare a fondo il lavoro dell'autore; soprattutto non sono proprio riuscito a immedesimarmi nelle vicissitudini del protagonista. Il voto mediato sarebbe 6,25: riconosco però che non vorrei che elementi troppo personali nuocessero a quello che, nel complesso, è un lavoro molto più che sufficiente, per cui arrotondo il mio voto finale al 6,5.
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Re: I CORTI 2014 - Prede e cacciatori (9-15 giugno)
Heimdall di Bifrost ha scritto:
Si accennava ad alcune ascendenze 'deveriane' del nostro autore: prediligendo uno sviluppo orizzontale à la Dever, la narrazione opta per un'onesta paratassi, senza grandi voli pindarici ma anche senza particolari sfondoni, funzionale al ritmo della narrazione.
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Re: I CORTI 2014 - Prede e cacciatori (9-15 giugno)
firebead_elvenhair ha scritto:gabrieleud ha scritto:Il paragrafo dà il là ad una incongruenza che rimane irrisolta: il nostro villaggio è stato distrutto dal Wendigo (par.20). Perchè il Generale dichiara con tanta insistenza di essere lui il responsabile? Questo dubbio ha minato la credibilità del resto del racconto.
Da quanto ho capito io il Generale afferma solo di aver sterminato tutte le tribù della zona (tra cui quella del vecchio sciamano, come da quest'ultimo confermato); mentre intuisce che noi facciamo parte di una tribù che si è trasferita in quel luogo solo in seguito, e quindi a lui sconosciuta.
E' vero quanto dici, ma nel prologo viene spiegato che c'è un altopiano di forma circolare "dove solitamente viene inviato a meditare chi ha intrapreso il rituale dell'animale sacro" e questo altopiano viene raggiunto in due giorni, quindi non è distantissimo. Quel solitamente mi ha fatto pensare che la tribù di Attichitcuk si fosse stabilita nell'area da parecchio tempo.
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Re: I CORTI 2014 - Prede e cacciatori (9-15 giugno)
L'ambientazione del corto è originale (almeno per la mia conoscenza dei librogame). Carina anche l'idea di fare scegliere il totem durante la narrazione e non prima, che permette una creazione dinamica del personaggio e non una fatta a priori. Il sistema di gioco è semplice e pare ben calibrato (mi ha ricordato il beowulf di jegriva). A seconda della distribuzione oculata dei punti caratteristica è possibile arrivare in fondo anche se si perdono punti vita con una facilità (anche se è comunque prevista nel regolamento una possibilità facoltativa di recuperarli). La storia è semplice, ma scorre bene: unica pecca, è l'eccessiva linearità. Se la prima parte della storia permette una maggiore libertà, la seconda si compone di una lunga serie di check che mirano a sottrarci quanti più punti vita possibile prima dell'incontro col Wendigo. Probabilmente l'autore ha cercato un modo di aumentare il climax verso l'incontro finale, non potendo presentare un combattimento finale particolarmente difficile, visto il regolamento del bando. Molto particolare è la figura del Wendigo che mi pare sia caratterizzato come un mostro schizofrenico, lacerato fra periodi di lucidità e comportamenti bestiali. Per quanto riguarda i tre finali ho invece apprezzato la mancanza di un finale "migliore", in quanto ritengo sia una scelta più matura rispetto ai librogame classici: infatti, persino il Wendigo afferma che "ogni scelta richiede un sacrificio".
Purtroppo se la parte del racconto che si svolge nelle terre selvagge non presenta particolari problemi, è più difficile dirlo per quella che riguarda il fortino. In effetti Attichitcuk si muove con un po' troppa disinvoltura ed abilità per essere un nativo americano. La mia impressione è che spesso l'autore, anche prima di scegliere quale termine utilizzare si sia un attimo fermato a riflettere "Come descriverebbe un pellerossa questa cosa?", ma non sia riuscito a trovare una risposta soddisfacente. Ceto, si potrebbe pensare che Attichitcuk sia un attentissimo osservatore e prenda famigliarità con porte e serrature osservando i soldati, ma non è una spiegazione particolarmente soddisfacente. Mi pare comunque che nonostante i difetti il corto raggiunga una piena sufficienza.
Voto 7,5
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Re: I CORTI 2014 - Prede e cacciatori (9-15 giugno)
Aloona ha scritto:Nel complesso, mi è parso un bel racconto stile "Lupo Solitario", non semplicissimo (si perdono punti vita come il pane, se non si ha la fortuna di arrivare al Wendigo col giusto totem), ma nemmeno infattibile.
Ma proprio tu non lo noti? Non è tanto alla LS quanto alla Oberon: il cammino tutto sommato lineare, ma con la preoccupante perdita di vita che fa sì che tu ti chieda se arriverai alla fine, e ci arrivi comunque ridotto a uno straccio, è decisamente alla Page.
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