Un commento a posteriori.
Che sia piaciuto o meno, un Corto di LGL - cioè un ibrido di racconto e gioco, che sul piano del gioco non sia risolvibile onestamente e che non lo sia per precisa volontà dell'autore invece che a causa di errori, dovrebbe far riflettere sul significato del concorso, sugli obiettivi che esso si prefigge, sulle aspettative dei votanti e sui criteri di valutazione adottati da ciascuno.
Nel corso degli anni mi è parso di vedere un mutarsi delle aspettative per cui non basta più che un Corto sia ben scritto, ben progettato e realizzato senza sviste macroscopiche. Pian piano, e sempre più in tempi recenti, complici soprattutto le opere di Apologeta e Abeas, si è venuta a creare una figura di "Corto d'élite" che ha vistosamente spaccato la giuria, ogni volta. E di conseguenza, si sono viste crearsi due giurie abbastanza differenti per gusti, aspettative e metri di giudizio. La cosa buffa è che, se come dice giustamente Aloona, per ambiti tipo la musica jazz o il cinema c'è gente più "esperta" e meno "esperta", nei librogame abbiamo tutti pressoché lo stesso background. Gusti diversi, OK, ma il fatto che non ti piaccia Lupo Solitario e preferisci Unicorno non vuol dire che ne conosci pregi e virtù, e il resto è gusto personale. Non stiamo parlando di Vittorio Sgarbi VS il buzzurro della domenica che capita al museo d'arte moderna.
E in effetti, lo spaccamento di critica che si verifica con questo genere di Corti è proprio analogo alle discussioni sull'arte, con elucubrazioni su significati più o meno nascosti e intenzioni più o meno dichiarate dell'autore; con entusiasmo per aspetti che a molti altri suscitano puro fastidio; con qualcuno che vede del genio laddove altri vedono una presa in giro.
Ma che cosa distingue una presa in giro come True Path - che, è palese, ci prende in giro, dal titolo ammiccante fino alla struttura di gioco irrisolvibile secondo le regole - da una presa in giro come Io sto in crisi? La domanda è meno retorica di quanto sembri (e se vi pare geniale True Path, saprete ben trovare i significati e gli intenti nascosti della mia domanda!).
Perché qualcuno decide di passare sopra all'evidente problema tecnico del Corto (la sua irrisolvibilità ludica) in nome dell'originalità, degli intenti dell'autore, della sua faccia tosta, dell'impegno che ci ha dedicato, fino ad arrivare al voto perfetto?
I perché possono essere vari, ma rimane il fatto che questo è un Corto oggettivamente fallace la cui fallacia viene considerata un pregio e una caratteristica, mentre per altri Corti peccati più veniali vengono bacchettati con grande energia.
"Ma è evidente che la cosa è voluta, e non è un errore di distrazione/fretta/pigrizia!", mi direte.
Certo, avete ragione. Ma il Corto rimane un'aberrazione di ciò che dovrebbe essere: un gioco con delle regole, che non può essere compiuto secondo le sue stesse regole.
Monòpoli avrebbe avuto lo stesso successo, se fosse impossibile vincere? E altri giochi?
"Ma questo è un caso isolato!", mi direte.
Certo. Ma proprio questo è il nocciolo della questione. Possibile che la boutade debba puntualmente essere premiata per il fatto di essere una boutade? Che per valutarla vengano immancabilmente ribaltati gli schemi di valutazione? Che in nome di essa si creino due giurie, due pesi, due misure?
L'impressione che deriva da queste faccende, è che il Corto ben scritto, con regole semplici ma interessanti, completo, cesellato e privo di magagne palesi non possa andare oltre l'8,5 di un giudice particolarmente generoso e perda molti punti per cose di poco conto, mentre il racconto-burla abbastanza furbo da mantenere un contegno serio e non buttare tutto in vacca si prende votoni e baci accademici pur con una scrittura ampiamente migliorabile, enigmi contenenti errori, e una storia la cui fine posso leggere solo barando.
Capiamoci: non è una questione di voto.
È una questione di ciò che quel voto rappresenta.
Se il Corto vi è piaciuto, bene, ma non fate finta di averlo valutato come avete valutato e valuterete gli altri. Lo avete dovuto "capire", e già questo ha alterato in buona misura la vostra percezione. Se questa fosse un'opera di Jackson, avreste detto che c'era da aspettarselo. Se fosse opera di Dever, direste che è impazzito o che è finalmente maturato, a seconda dei gusti. Se fosse opera di Livingstone, l'avreste fatto a pezzi
Che vinca pure se i numeri lo vedranno in testa, ma non avrà vinto il migliore: avrà vinto l'outsider. Sempre una vittoria rimane, beninteso.