Questo racconto non è nelle mie corde. Non posso non considerare che possiede delle indubbie qualità: è ben strutturato, e l'autore si è sforzato molto per introdurre elementi che lo differenziassero da un lavoro canonico, sia dal punto di vista narrativo che da quello relativo al comparto ludico.
Ha curato l'ambientazione, cercando di dettagliarla minuziosamente in modo da consentirci di vestire i panni (e gli zoccoli) di Stephanié con totale immedesimazione.
Ha lavorato sui personaggi, sia quelli francesi che quelli austriaci, provvedendo a renderli credibili e allo stesso tempo coerenti con il contesto ucronico che fa da base alle nostre vicende. Ha curato il sistema di gioco, introducendo tanti elementi per renderlo vario e coinvolgente: non solo la possibilità di guidare un "meca" in piena rivoluzione francese, ma anche quella di potenziarlo, di renderlo più versatile e più adatto ad affrontare certi tipi di sfide, introducendo tanti elementi di combattimento classico quanto parecchie innovazioni.
Nel suo sitema troviamo un po' di casualità che non guasta, ma anche tante altre trovate: il puzzle dei potenziamenti, la variabile della tensione, i codici che ci consentono di passare e ripassare per determinati luoghi spingendoci a un'esplorazione accurata e allo stesso tempo garantendo rigiocabilità e coerenza, e gli add-on legati all'evoluzione del nostro robot, senza i quali risulta impossibile scovare altri pezzi e, alla lunga, anche terminare il racconto raggiungendo uno degli epiloghi vincenti.
Possiamo perfino risorgere, una volta fatti a pezzi, sfruttando la scappatoia estrema aggiunta nell'appendice IV: un autentico tocco di classe.
Insomma concettualmente, davvero, questo racconto non solo è ricco, ma anche molto vario e ben congegnato.
Ma non fa per me. Anche se l'autore ci ha detto più volte (pure intervenendo in maniera anonima sul forum) che il regolamento va gustato poco alla volta, e che se ne possono tranquillamente ignorare delle parti, per come sono fatto io ho sentito la necessità di inglobarlo completamente e cercare di vivere il corto nella sua completezza.
Questo fatto mi ha portato a una tensione intellettuale non indifferente per riuscire a padroneggiare tutti gli elementi (e probabilmente al momento di verificare la tenuta del mio cervello con l'apposito check ho finito per fallire il lancio di dadi). Mi sono trovato con il fiato corto e sotto pressione a girare per Parigi, tenendo conto delle parole chiave che non dovevo perdermi per accedere ai paragrafi nascosti, incasinato nel tentativo di far entrare tutti i pezzi nel puzzle del riquadro, bisognoso di rammentare tutti i power-up che gli stessi garantivano, disperso nel dedalo di vie sempre uguali che continuavano a ripetersi, con il ragno che non mi dava tregua, teso nello sforzo di trovare il passaggio necessario per uscire dal loop e conquistare l'epilogo vincente. Tutto questo pregando che i dadi mi dessero una mano e che, soprattutto nelle prove di resistenza, non mi portassero a spaccare tutto nel giro di tre o quattro combattimenti (eventualità fin troppo probabile se si sceglie un valore medio come 7 per il parametro), e affidandomi allo stellone che mi consentisse di non sbagliare o dimenticare di segnare un codice, situazione che, se si verifica, stravolge completamente il prosieguo della storia.
In tal modo mi sono trovato nell'impossibilità di:
1) Immedesimarmi nel racconto e nel personaggio. Ero talmente affannato che non recepivo alcunché di quello che leggevo a livello di atmosfere e coinvolgimento emotivo.
2) Godermi l'esperienza di gioco: la complessità delle situazioni era così "pesante" che dovevo dedicare tutte le risorse a livello di attenzione e memoria a gestirle, fatto che mi ha impedito di apprezzare le varie possibilità offertemi dal racconto e le sue molteplici evoluzioni.
3) Divertirmi. Venuti meno gli elementi di cui sopra Falkenstein è diventato una sorta di palestra attrezzistica: tanta fatica per perseguire il risultato al prezzo di ben poco sollazzo e anche una punta di noia in certi passaggi.
4) Considerare il titolo come un corto. La complessità e gli elementi sono talmente tanti, e il lavoro è così variegato che il format tipico delle storie brevi è totalmente inadatto a nobilitarlo. E lo è a tal punto che l'ideatore ha dovuto ricorrere all'escamotage dei codici per allungare le nostre peregrinazione e dare un senso a tutta l'imponente struttura che le circonda. Più di ogni altro concorrente in gara quest'anno, le vicende di Stephanié e Herle sono quelle che mi hanno fatto pensare a un'opera lunga presentata in questa veste per adattarsi quanto più possibile alle restrizione dettate dal bando e dalla natura del concorso. E chi legge i miei commenti sul forum sa come la penso, e cosa ripeto da anni, al riguardo.
Non me ne voglia l'autore: sono perfettamente in grado di comprendere tutto il massiccio lavoro che c'è dietro la sua opera, e anche di cogliere l'alto livello intellettivo e la grande fantasia che ci sono voluti per realizzare questo corto. Le capacità che ha espresso e l'enorme quantità di variabili che è stato in grado di padroneggiare mi lasciano ammirato. Ma Falkenstein non fa per me: probabilmente è un mio limite, ma questo racconto mi ha divertito, meravigliato e coinvolto meno di molti altri. E, anche se mi sento comunque di assegnargli un voto più che sufficiente, perché mi rendo conto di quanto impegno abbia presupposto e quante qualità abbia richiesto per essere realizzato, non lo considero in lizza per la vittoria finale né, probabilmente, per il podio.
Voto inviato a Babacampione