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Knightmare è il titolo di un fortunato gioco televisivo inglese, in onda nei primi anni ‘90, dove un team di ragazzini si trovava a risolvere dei (difficili) enigmi in un castello medievale, nel tentativo di portare a casa la vittoria. Presentatore e giudice del gioco, è la misteriosa figura di Treguard di Dunshelm, cavaliere o nobile il cui ruolo viene espanso nelle serie successive, e il cui background è invece contenuto nei libri di Dave Morris collegati allo show televisivo. Anche questi volumi – sei in tutto – seguono la struttura già vista nella trilogia di Heroquest del medesimo autore: la prima (e maggior) parte del libro è occupata da una novella o racconto breve, mentre nelle ultime pagine è presente un breve librogame. Il primo volume (scritto a quattro mani da Morris e da Tim Child, il creatore del gioco televisivo) si apre con una rapida introduzione sull’origine della famiglia di Dunshelm. Di origine Sassone, venne incaricata direttamente dal figlio di Guglielmo il Conquistatore, nuovo re Normanno di Inghilterra, di costituire la Guardia del Nord, in modo da impedire ogni incursione degli Scoti nel nuovo Regno. Con il passare del tempo, però, le mire dei nuovi governanti Normanni sui possedimenti Sassoni si fecero sempre più marcate, sino a quando, durante il regno di Giovanni Senzaterra, il barone Vetran di Bretagna attaccò il castello dei Dunshelm, uccidendo tutti i membri della famiglia tranne il giovane Treguard, che al momento si trovava lontano da casa. Al ritorno, di fronte ai nuovi stendardi che sventolavano sul castello di famiglia, il giovane non poté che abbandonare l’Inghilterra, diventando un mercenario. Dieci anni dopo, durante il Sacco di Costantinopoli, le parole di un inglese morente risvegliano la coscienza di Treguard: non si addice all’ultimo membro della Guardia del Nord essere un volgare mercenario. Treguard torna così in Inghilterra a reclamare la propria eredità, ignaro che nel frattempo il castello dei Dunshelm è stato conquistato da un potente stregone, il Gruagagh, che tiene in pugno il barone Vetran e tutti i suoi sottoposti. Il castello è stato rinominato Knightmare (gioco di parole tra cavalierato, knighthood, e nightmare, incubo): in esso si cela un dungeon, ricco di trappole e creature mostruose, perversione di ogni valore della cavalleria, che il Gruagagh vuole usare per abbattere l’ordine e la giustizia fra gli uomini. Sulla via del ritorno, Treguard salva una strega dall’agguato di alcuni predoni. La vecchia, ormai morente, rivela al cavaliere di conoscere il suo obiettivo: tuttavia, al momento l’ex crociato non è degno di riprendere ciò che gli spetta di diritto. Dovrà prima superare alcune prove che dimostrino il suo valore: dovrà ripulire il sangue che macchia la sua spada lavandola nel sangue di un drago, trovare uno scudo magico al torneo di giostra di Nottingham (c’è davvero bisogno che vi dica in quale altro personaggio si imbatterà Treguard in quella città?) e infine assicurarsi l’aiuto del giullare Folly, che mi risulta essere un altro dei personaggi dello show televisivo. Avrà così inizio il viaggio di Treguard dalle paludi dell’Est Anglia ai confini settentrionali del regno, ancora lacerato dal silenzioso conflitto fra Sassoni e Normanni. Il racconto, come tutta la prosa di Morris, è splendidamente scritto e presenta la sua personale visione della cosiddetta “merry England”, che mischia sapientemente aspetti storici e fantastici in un racconto cavalleresco alla “Dragonheart”. Il tono e le vicende narrate sono decisamente più adulti di quello di uno show per bambini, anche se mai si spingono oltre a quello che siamo abituati a vedere anche in un librogame. La brevità dell’opera – sono in fondo solo 100 pagine – costringe a risolvere alcune situazioni di pericolo in modo affrettato e con qualche cliché di troppo, ma anche questa volta Morris si preoccupa di fornire sempre le necessarie spiegazioni, evitando ogni sorta di plot hole (magari altri autori, anche più recenti, si preoccupassero di fare altrettanto!).
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Non c’è dubbio che il racconto sia qualitativamente molto superiore alla parte interattiva di soli 105 paragrafi.Il regolamento è semplicissimo e, data la natura del gioco, prescinde assolutamente da qualsiasi casualità. La nostra unica statistica è la nostra Forza Vitale, che non è indicata da un punteggio, ma semplicemente da tre colori: VERDE, AMBRA (dire semplicemente giallo no?) e ROSSO. Ogni volta che attraverseremo una porta, un cancello o un portale (ma non quando passeremo da un livello del dungeon all’altro), la nostra Forza Vitale, all’inizio verde, passerà al colore successivo. Quando diventerà rossa, dovremo per forza trovare nella stanza successiva un oggetto che ci permetterà di ripristinarla, altrimenti avremo perso. Il resto del regolamento è curiosamente indicato come il Codice dell’Avventuriero, un decalogo di regole e suggerimenti che dovremo tenere bene a mente se vogliamo avere successo dentro Knightmare. Ad esempio, quando proprio non abbiamo indizi su dove svoltare, ci viene detto di affidarci alla mano destra di Dio; ancora, siamo avvisati che l’ostilità genera altra ostilità e che le armi hanno spesso effetti dannosi. Potremo portare con noi, su ogni livello del dungeon, solo due degli oggetti che recupereremo nelle cosiddette Stanze degli Indizi e potremo portare da un livello ad un altro solo gli oggetti magici, scartando tutti gli altri. Le magie che dovessimo imparare potranno essere usate solo una volta, ma potranno essere portate anche in altri livelli del dungeon. Con attenzione, queste regole di comportamento ci guideranno per gran parte del dungeon, ma una stretta aderenza alle stesse non è certo sufficiente per la vittoria. All’ingresso del dungeon di Knightmare troviamo Treguard, il nuovo signore del castello, che ci accoglie invitandoci a scegliere la nostra missione per essere degni del titolo di cavaliere. Potremo scegliere fra tre diversi gradi di difficoltà, ma francamente non saprei dire quale sia la differenza fra le tre missioni. Gli obiettivi finali sono senza dubbio diversi, ma le lunghezze simili, dato che in ogni caso dovremo scendere dal Primo Livello del dungeon al Terzo. Anche gli enigmi e le prove che si affrontano non paiono avere uno specifico coefficiente di difficoltà, dato che sul percorso in teoria più facile ho trovato un enigma che mi ha messo sinceramente in difficoltà. Il librogame non è altro che un enorme true path, dato che c’è un solo modo giusto di superare ogni prova: anche se apparentemente in alcuni casi sembrano esservi delle alternative ugualmente valide, proseguendo si scoprirà che l’oggetto che abbiamo usato diveniva invece vitale più avanti. Il librogame verrà quindi superato a tentativi, avanzando ogni volta un poco più avanti e imparando dai propri errori (e soprattutto seguendo il Codice dell’Avventuriero). Molti degli indizi necessari per superare le prove – alcune identiche a quelle affrontate da Treguard – sono contenuti nella novella ad inizio libro, rendendo quindi necessario, o almeno consigliato, leggerla. Un espediente, questo, che forse avrebbe dovuto venire utilizzato anche nella trilogia di Heroquest, in modo da dare maggiore continuità tra racconto e librogame. Una volta terminata con successo la missione, avremo la possibilità di concludere la lettura o procedere con la missione di difficoltà crescente (tuttavia, se prendiamo le regole alla lettera, è impossibile completare una missione dopo l’altra, dato che la nostra Forza Vitale non viene ripristinata al momento opportuno). Peccato che non ci sia molto altro di positivo nel dungeon, completamente anonimo e privo di ogni descrizione. Anche i personaggi che incontriamo e che non sono presenti nel racconto breve, sono presentati senza alcuna caratterizzazione e con giusto un paio di righe che ne inquadrano il ruolo: ovviamente chi conosce Knightmare ha ben presente chi siano, ma per tutti gli altri sono nomi che non vogliono dire nulla. La natura del librogame, poi, lo rende estremamente lineare: non ha senso rigiocarlo una volta completato. Sicuramente ciò è coerente con la realtà del gioco televisivo, di cui il librogame non è altro che una trasposizione su carta; tuttavia, rimane la sensazione che Morris non si sia trovato a suo agio con tale medium, o che abbia dovuto seguire delle regole imposte dalla produzione che ne abbiano in qualche modo limitato la creatività. Il librogame, quindi, difficilmente potrà essere apprezzato da chi non sia cresciuto con Knightmare. Al contrario, il racconto è un’ottima storia fantasy, che merita di essere letta almeno una volta.
Longevità 6:
Una singola missione si conclude in una manciata di paragrafi. Giocare tutte e tre le missioni (e non vi è motivo per non farlo) triplica la durata di una partita, che in ogni caso sarà comunque più lunga dato che superare ogni ostacolo al primo colpo sarà molto improbabile.
Difficoltà 6:
Altalenante. Il gioco presenta tre missioni con tre livelli di difficoltà differenti, ma cosa renda più complicata una missione rispetto ad un’altra è poco chiaro. Inoltre, ad alcuni indovinelli che richiedono di avere letto il racconto, se ne affiancano alcuni la cui soluzione è di cultura generale (ma che non tutti potrebbero conoscere).
Giocabilità 5:
Il librogame altro non è che un true path: il nostro obiettivo è quello di trovare l’unico modo che ci permetterà di lasciare la stanza in cui ci troviamo senza problemi e ripetere questa azione sino a giungere in fondo al dungeon, completamente privo di descrizione e trama.
Chicca:
Alcuni dei personaggi già visti nella novella rifanno la loro apparizione qui. Tra questi il Giullare Folly e il temibile Catacombita, il mostruoso agglomerato di ossa umane in copertina. Ma non mancano anche tocchi di humour inglese: ad esempio, tra i nomi con cui è possibile chiamare un drago a due zampe, compare anche l’opzione “Stephanie”!
Totale 6:
È palese come il breve librogame presente sia rivolto in primis al giovane pubblico del programma TV, il quale non potrà che apprezzare i numerosi riferimenti alla stessa. Per un profano, il librogame altro non è che un’opera che potrebbe essere interessante per la sua peculiare natura, ma non può che essere un antipasto per chi mastica ben altre opere.
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