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- Se l’uomo è un lupo per l’uomo, […] che cos’è un uomo per un altro uomo?-Con questa domanda degna del conte Mascetti si apre il libro del bravo Antonio Costantini. Ancora devo capire il senso di questa frase, perché letta così non ha molto senso, più o meno come dire “Se la mamma è sempre la mamma, allora cos’è la mamma?” Ma non perdiamoci nella critica di una singola frase a mio avviso poco sensata quando di fronte abbiamo un intero libro nel quale, per fortuna, non ci sono altre frasi retoriche come quella sopra esposta. Where is the wolf è, per ammissione stessa dell’autore un gioco al massacro e come tale va inteso se non si vuole che la storia rimanga sul gozzo, cosa che a me, ammetto, è capitata nelle prime letture. Il protagonista non ha un nome, o comunque non ci viene mai rivelato, nonostante si sia partecipi dei suoi pensieri, ma non è neppure un “uomo dell’Analand qualsiasi”. Egli ha una storia che, anche se sbrigativamente, ci viene introdotta ed è importante per delinearne il carattere. Ha un figlio, un’ex moglie, un lavoro manuale non particolarmente gratificante e dei brutti trascorsi con l’alcool. Così la caratteristica che più contraddistingue il nostro alter ego è proprio una dipendenza dalla quale si è faticosamente e recentemente tirato fuori e nella quale la situazione assurda in cui viene a trovarsi, minaccia di farlo ricadere. Infatti, il protagonista si sveglia legato ad una sedia, vestito di una tuta arancione e con una maschera da lupo che gli copre il volto. Un personaggio misterioso da uno schermo gli comunica che è stato prelevato per partecipare a una sorta di gara a eliminazione diretta. Nei tre giorni successivi dovrà uccidere ogni altro partecipante presente nella struttura in cui si trova, oppure essere ucciso da loro. Come? Sento qualcuno borbottare che sembra la trama di Squid Game. E, in effetti, è esattamente quello che ho pensato anch’io. L’evoluzione della storia poi ci porterà a dimenticare le analogie con la serie koreana. Tanto per cominciare il protagonista non si è offerto volontario ma è stato rapito e poi le motivazioni che stanno dietro a questo “gioco al massacro” sono profondamente differenti da quelle della serie tv; però devo ammettere che le similitudini sono davvero troppe per passare sottogamba. Infatti, anche qui spesso le prove che determinano la morte dei partecipanti sono una versione sadica d’innocui giochi per bambini, come “un-due-tre-stella!” o “sasso-carta-forbice”, insomma davvero troppe aderenze perché la parola “plagio” non si formi prepotentemente nella mente del lettore. Sulla storia in se non posso dire molto d’altro, per non rovinare la sorpresa ai giocatori, e anche perché non c’è moltissimo da dire. Ci troviamo in una struttura con pareti e pavimento in metallo, illuminata da freddi neon. Ci spostiamo tra diverse stanze e, quando incontriamo un'altra vittima dell’esperimento, dobbiamo (quasi sempre) ucciderlo o essere uccisi. Certo ci sono alcuni enigmi e la necessità di dover tornare spesso sui propri passi, ogni tanto potremo anche interagire in modo non violento con gli altri esseri umani. Ma davvero la storia è molto, molto… asciutta. La prima volta che l’ho letta l’ho definita “povera”; approfondendo un po’ l’opera mi sono trovato a dovermi correggere: la storia è perfettamente adeguata a quel che l’autore voleva raccontare, ossia, come detto in apertura, un gioco al massacro in cui la narrazione passa in secondo piano rispetto al gioco in sé. Essendo questo Libro Game molto gioco e poco narrazione, occorre avventurarsi nell’analisi delle meccaniche. E qui Costantini dà davvero il meglio di se. La scheda di gioco presenta due parametri mobili, Ferite e Stress, che aumentando rendono più ardue le prove fisiche (tra cui il combattimento) e quelle psicologiche. Il resto della scheda è costituito da vari spazi in cui segnare Stati, Abilità, Armi e Oggetti che potremo sviluppare e/o trovare durante la lettura. Una manciata di codici da spuntare. Due peculiari spazi denominati “Dado Bianco” e “Dado Nero” concludono la scheda del personaggio. Nella pagina a fronte è presente la mappa della struttura in cui ci troveremo a muoverci. Il primo istinto è quello di inarcare un sopracciglio con profondo scetticismo. Infatti, la mappa in questione presenta appena un corridoio e sette locazioni. Evidentemente troppo poche perché gestiscano un volume di 270 paragrafi, giusto? Sbagliato! Innanzitutto le nostre azioni andranno a modificare profondamente quello che troveremo in queste poche stanze, infatti, sotto la mappa c’è uno spazio in cui sono riportati i paragrafi da leggere ogni volta che si entra in una determinata locazione, ma questi rimandi verranno cancellati e sostituiti da altri a seconda delle nostre azioni. L’ho trovata un’alternativa molto valida e veloce alle classiche parole chiave (che comunque non mancano). Inoltre a seconda del risultato del Dado Bianco e Dado Nero, di lettura in lettura, cambieranno proprio gli incontri che potremo fare nelle varie stanze. Infatti, prima dell’inizio del gioco il testo ci chiede di lanciare i due dadi e segnare sulla scheda i risultati, anche se ciò che ci interesserà sarà solo il dato binario: pari o dispari. Tali valori resteranno immutati durante l’intera partita e andranno a determinare quali incontri e pericoli ci troveremo a fronteggiare. Questo semplicissimo escamotage consente una notevole variabilità e rigiocabilità al titolo. Ho trovato singolare e non contestualizzata la regola per cui se incappiamo in un bad ending e desideriamo ricominciare la lettura, dovremo azzerare l’intera scheda ma non le Abilità acquisite; quindi se durante la prima lettura sblocco, che so, la capacità di scassinare (abilità di fantasia, non c’è nel libro) e poi muoio male, mi trovo a ricominciare da capo con già quest’abilità disponibile. Perché? Come si giustifica narrativamente questa regola? Se muoio e ricomincio, visto che il protagonista è uno e ben definito, non è che comincio con un altro personaggio, e, magari per semplificare le successive letture, posso dire che quel personaggio parte già sapendo scassinare…ÂÂ ÂÂ ÂÂ Non esiste nemmeno nessuna giustificazione per cui a ricominciare sia sempre lo stesso individuo. Che so, magari gli viene resettata la memoria, oppure viene clonato o in qualche modo riportato in vita, per cui è sensato (o quanto meno giustificabile) che le abilità permangano tra diverse letture. No, no, qui se si muore si muore proprio, quindi questa regola devo dire che non mi ha per nulla convinto. Non mancano gli enigmi, anche se personalmente li ho trovati un po’ avulsi dal contesto. Non brutti, per carità e nemmeno troppo difficili (e, se lo dico io, allora la media dei lettori dovrà considerarli semplici) ma poco calati nella vicenda. Perché, mi sono chiesto, inserire questo tipo di enigmi? Nulla accade nella struttura senza che il misterioso uomo con cui abbiamo parlato a inizio libro non voglia; quindi devo dedurre che gli enigmi siano voluti espressamente da lui. Siano parte integrante dell’esperimento di cui siamo parte involontaria. Mi sta bene, ma non sono riuscito a vedere nessuna attinenza tra il tipo di enigmi proposti e la finalità ultima dell’esperimento, almeno per come ci viene svelato durante la lettura. Potrebbe esserci qualcosa che il protagonista, e quindi anche il lettore, ancora non sa, mi si potrebbe obbiettare. Ma se così fosse uno scrittore capace come Costantini immagino che mi avrebbe dato un indizio in tal senso. Magari anche solo mettendo il lettore a parte dei dubbi che tali enigmi fuori contesto possono far sorgere nel protagonista. E invece niente! Per il protagonista è tutto normale. Quindi, fino a prova contraria, rimango dell’idea che gli enigmi siano poco calati nella storia e appiccicati lì, perché l’autore voleva metterli. L’ultima parte di cui vorrei parlare è il “sentiment”, giusto per far finta di essere anglofono. Insomma, l’impatto emotivo che mi ha provocato la lettura (e rilettura, e poi ancora…) di questo libro gioco. Nonostante l’evidente abilità dello scrittore nel costruire il sistema di gioco e nel narrare le vicende all’inizio ho provato un fastidio irrazionale, dovuto al fatto che il libro mi mettesse di fronte a evidenti scelte etiche, ma ogni qual volta io propendevo per quelle decisioni in linea con la mia personale morale esse si dimostravano inutili, nel migliore dei casi, o più frequentemente dannose al punto da precludermi l’unico finale positivo. Ci ho messo un bel po’ prima di capire che la cosa non era certo dovuta a un diverso sistema valoriale tra me e Costantini, ma era assolutamente voluta. Questo non è un libro per buonisti, per coloro che pensano che “se fai la cosa giusta” infine sarai comunque premiato. Questo è un gioco al massacro e se si vuole vincere (o quantomeno arrivare al paragrafo finale) è necessario comportarsi di conseguenza. Occorre immedesimarsi nella situazione e mettere da parte umanità, buoni sentimenti e scrupoli morali. Esattamente come se la situazione fosse reale e non frutto di una fiction. Per concludere, consiglio di comprare, leggere e conservare in libreria questo volume? La risposta è sicuramente un sì convinto alle prime due domande, visto che, nonostante tutte le cose magari non proprio entusiastiche che ho detto in questa recensione, Where is the Wolf è un’esperienza e consiglio a ogni lettore di narrativa a bivi di viverla. Chissà, forse grazie ai miei consigli riuscirete a non dover rigiocare infinite volte il volume e ad apprezzarlo fin da subito. Per la terza domanda sono in bilico sul 50 e 50. Ma la recente notizia dell’uscita del seguito: Where is the Lamb, mi riempie di speranze per la qualità complessiva dell’intera serie.
Longevità 8:
La trovata del Dado Bianco e Nero la cui combinazione determina numerose combinazioni di possibili incontri e la bravura dell’autore nella progettazione del libro ne garantiscono una discreta longevità. Certo, l’ambiente è quello, è il finale è unico, ma non di meno questo volume consente numerose riletture.
Difficoltà 7:
Pochi enigmi e non troppo complessi, forse un po’ avulsi dal contesto e una difficoltà generale alta ma non eccessiva lo rendono molto ben bilanciato. Certo, quando si cominciano a subire danni e questo riduce il numero di dadi a disposizione la situazione si complica, ma senza mai diventare proibitiva.
Giocabilità 7.5:
Una volta capito “come gira il mondo” il titolo si fa giocare con gusto.
Chicca:
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Totale 7.5:
Un titolo crudo e adrenalinico che porta con sé un’esperienza che rimane a lungo nella memoria del giocatore.
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