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Child Wood di Fabio Antinucci e Gianpaolo Razzino è un Librogame che racconta un'unica storia divisa in tre volumi. È dunque un’opera che va letta tutta d’un fiato, progredendo tassativamente dal volume primo fino al terzo e, a mio avviso, senza pause tra l’uno e l’atro, visto che gli elementi della trama si intersecano fra i tre libri e gli indizi trovati nel primo libro potrebbero tornare utili nel secondo o nel terzo. Ciò non di meno ho deciso di fare una recensione per ogni volume, visto che ognuno di questi presenta abbastanza peculiarità da meritarsi una breve recensione individuale. Per quanto riguarda i pregi e i difetti dell’opera nel suo complesso, invece, mi limiterò ad analizzarli qui, senza ripetere tale analisi nelle successive recensioni. La storia di Child Wood si presenta subito come un'indagine. Un investigativo dalle forti tinte mistery e horror. Fa dunque specie non trovare alcuna scheda del personaggio, nessun punteggio o tabelle in cui riportare indizi, deduzioni o parole chiave. In effetti quest’opera non ha alcun tipo di regolamento, fatto salvo l’uso sporadico del lancio di uno o due dadi a sei facce, di cui dirò a breve. Il racconto viene goduto senza intoppi regolamentistici, si passa rapidamente da un paragrafo all’altro, si effettuano delle scelte e si continua a leggere. Questo aiuta a immergersi nel modo oscuro di Child Wood, senza mai spezzare il ritmo della lettura e la tensione via via crescente. In effetti di indizi ce ne sono molti, sparsi in vari punti della lettura, ma il gioco non ci aiuta minimamente a tenerne traccia e starà al lettore armarsi di matita e taccuino per prendere appunti. Purtroppo non sono tutte rose e fiori. Anzi. Anche questo aspetto, come tutti gli altri di questa serie presenta luci e ombre. E tanto sono luminose le prime, altrettanto fastidiose le seconde. Ad esempio diventa presto chiaro che molti bivi nei quali ci troviamo a dover operare una scelta, sono in realtà dei falsi bivi. Infatti il più delle volte si tratta di scegliere tra A e B, ma poi da A potremo recarci comunque in B e viceversa, per poi confluire in ogni caso verso C. Insomma, nella maggior parte dei casi si tratta di false scelte che sono messe lì solo per darci l’illusione di poter decidere cosa fare, quando l’unica libertà consta nel leggere un paragrafo prima di un altro oppure dopo. Ma quello che maggiormente intristisce, dal punto di vista strutturale sono i lanci di dado e le loro conseguenze. In momenti particolarmente concitati l’autore potrà chiedere al lettore di lanciare un paio di dadi e ottenere un risultato superiore ad una certa soglia. Peccato che l’uso dei dadi non è mai evitabile, esso è sempre settato su una probabilità sfavorevole per il giocatore (mediamente si ha sempre il 60% di fallire) e non esistono sistemi per bilanciare in qualsivoglia modo un risultato negativo. La cosa grave però è che otto volte su dieci una prova fallita conduce alla morte del personaggio e alla fine della storia. Questo sistema non è divertente e tanto meno sfidante, risulta in brevissimo tempo semplicemente noioso, tanto che ogni volta che toccherà fare un lancio di dado sarà necessario non perdere il segno, controllare se, come al solito, il fallimento conduca a morte certa, quindi andare d’ufficio al paragrafo relativo al successo. Inoltre queste istant death sono molto forzate. Va bene che il nostro alter ego è una persona tutto sommato normale, un guardaboschi americano, anche se ranger fa molto più figo come termine, ma trovo assurdo scivolare per una scarpata e morire! Cadere da una scaletta in biblioteca e morire! Perdermi nel bosco e morire! Ricevere una bastonata e morire! Infine menziono rapidamente la presenza di pochi ma discreti disegni di Erica Rossi. Non sono abbastanza esperto da disquisire sullo stile ma, da profano, ho trovato i disegni di buona fattura e decisamente adeguati come stile all’ambientazione, soprattutto quando ritraggono inquietanti scorci del bosco, o oggetti, meno quando si cimentano con figure e, soprattutto, volti umani. Tolte di mezzo le questioni tecniche parliamo di quel che conta in questa serie: la storia e la narrazione, dato che è evidente che il focus dell’autore è tutto concentrato su questi due aspetti. La storia è davvero coinvolgente. Si susseguono colpi di scena spesso inaspettati e, almeno per i primi libri si ha sempre il dubbio che le cose misteriose in cui si incappa siano il frutto di una follia incipiente del personaggio, anziché reali. Il ritmo è incalzante e spinge a leggere un paragrafo dietro l’altro per capire dove la narrazione voglia andare a parare… … Il contraltare di quanto appena detto risiede nel grande difetto di questi libri: la prosa. ÂÂ ÂÂ ÂÂ Lo stile usato nel raccontare questa bella storia è quanto mai piatto, pieno di frasi dal significato poco chiaro e dell’utilizzo improprio di molti termini. Sia chiaro, non ci sono effettivi errori grammaticali, ma un modo di scrivere che invece di mostrare le scene al lettore, accompagnando la sua fantasia nel visualizzarle correttamente, fa l’esatto contrario, creando spesso dubbi interpretativi e portando il giocatore a chiedersi: “Ma cosa voleva dire in realtà l’autore?” Questo a mio avviso è un peccato ben più che veniale. La prosa incerta, a tratti infantile, piena ti termini inutili quando non fuorvianti vanno a rovinare quella che altrimenti sarebbe stata una esperienza di gioco di notevole spessore. Peccato.
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