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Un giovane detective alle prime armi, cugino del dottor Watson, si trova alla stazione di polizia, dove ha condotto un ladro che ha appena acciuffato. Gongolante si chiede quando potrà lavorare a un nuovo caso… Subito l’ispettore Lestrade richiede il suo aiuto per una vicenda d’omicidio cui Holmes non ha voluto collaborare : quando si dice trovarsi al posto giusto al momento giusto… o in quello sbagliato al momento sbagliato? Lo capiremo presto... Un ricco uomo d’affari, con il vizio di ricattare la gente, tal Augustus Milverton è stato infatti trovato assassinato nella sua villa. Rispettando uno schema d’indagine classica, ci recheremo subito sul posto per ispezionare la magione e interrogare la servitù. Ci troveremo impelagati in una serie di interrogatori lunga e snervante e non potremo, leggendo, non annuire, quando Lestrade dirà: “vedete perché detesto le indagini in case con molti domestici?”. In effetti non tutte le deposizioni saranno utili: una però sarà invece preziosissima (a voi il piacere di scoprire quale) e comunque ci vorranno molto tatto e diplomazia, poiché tutto il personale si rivelerà suscettibile e tenderà a difendere l’onore proprio e del padrone, in primis la feroce governante che tratterà male persino Lestrade. Dopo questo estenuante tour de force potremo andare da Holmes a chiedergli consiglio: lui, invece, ci fornirà una possibilità mai vista prima nella serie: rinunciare alle indagini in cambio della sua soluzione! Queste indagini, infatti, solleveranno un dubbio etico di non poco conto: “E’ sempre giusto arrestare un assassino? E’ possibile aver avuto una buona ragione per aver ucciso una persona?”. Se decideremo di rifiutare l'offerta del grande detective continueremo ad indagare per alcuni giorni, interrogando nobili vittime del ricattatore, per poi magari andare, di sera, ad ispezionare la casa di una di loro, alla ricerca di una prova definitiva. Ma ciò non sarà obbligatorio, anzi, potrebbe essere controproducente, perché potremmo essere scambiati per dei ladri ed arrestati da Lestrade stesso! Se non finiremo comunque tra le maglie della giustizia correremo a Baker Street per raccontare tutto ad Holmes e scoprire che, in effetti, l’assassino aveva ottime ragioni per fare ciò che ha fatto: era stato rovinato dai ricatti del perfido Milverton e aveva perso una persona cara. Inoltre non avrebbe potuto far ricorso alla giustizia, consapevole che il prestigio del suo vessatore gli avrebbe garantito una condanna lieve e una pena simbolica. Resta perciò al lettore chiedersi cosa rispondere alla domanda di Holmes, e meditare sul fatto che forse il nostro mentore ha avuto ragione quando ha detto che: “Molte volte ho fatto più danno ad arrestare un delinquente che non a lasciarlo libero”. Il Caso Milverton è probabilmente l'unico volume della serie ove il denaro serve davvero a qualcosa, e segue lo schema classico del giallo d'autore, formando una sorta di dittico con il successivo volume “Watson sotto accusa” dato che lo schema è identico: sopralluogo, lunghi interrogatori, scoperta dell’uomo dietro alla finestra, ulteriori indagini, sopralluogo risolutivo nella casa del colpevole. Lo stile del terzo volume è però sicuramente migliore, con paragrafi più lunghi, che non costringono a saltare continuamente da una parte all’altra dello scenario d'indagine, anche se con molti lanci di dado in più. Certo, non è necessario ascoltare tutti o superare tutti i check di abilità, il che rende l’opera ben più facile da completare di molti altri capitoli della serie, però alcune delle prove che affronteremo sono davvero importanti, fondamentali per la riuscita della nostra ricerca: ovviamente non si sa mai quali siano in anticipo. La storia, per quanto equilibrata, è davvero più lunga della media e ci vorrà una certa dose di pazienza per concluderla. Dominante è il tema etico, con la domanda sulla necessità di punire il colpevole da una parte e di difendere un innocente dall’altra. Risolvere il caso Milverton è stata una piacevole sorpresa: molti che lo avevano già letto me ne avevano parlato male, invece si è rivelato a mio parere un ottimo libro, il più equilibrato tra quelli della collana Sherlock Holmes recensiti finora, probabilmente il migliore della serie. Ho ritrovato infatti l’ottimo dosaggio di indizi e difficoltà che caratterizzava Omicidio al Diogenes Club, volume però, purtroppo, troppo breve. Certo, la longevità non è mai il massimo in un libro di investigazione, però consiglio di leggerlo, una volta completato, un’ulteriore volta, dando per scontato il superamento delle varie prove: solo così la storia si rivelerà in tutta la sua bellezza, consentendoci di gustarne ogni sfaccettatura. Certo, Intrigo a Buckingham Palace resta migliore come storia, ma questo capitolo è più equilibrato come a livello di giocabilità e fornisce anche qualche bel dettaglio di costume, come la differenza tra interrogare i nobili e la servitù. Confrontandolo con Watson sotto Accusa, infine, emerge la prosa peggiore di quest'ultimo, dovuta ai paragrafi troppo brevi e, soprattutto, la mancanza di una certa dose di carisma che appassiona il lettore, e che è massicciamente presente durante le nostre scorribande a caccia dell'assassino di Milverton.
Longevità 7:
Non molto complesso, un paio di letture sono sufficienti per sviscerare a fondo una storia non troppo lunga.
Difficoltà 7.5:
Ben calibrata: non eccessiva ma nemmeno troppo bassa. Ottimo per i giocatori esperto, rappresenta una sfida abbordabile anche per i meno smaliziati.
Giocabilità 8.5:
Un magnifico stile narrativo accompagnato dalla possibilità di interagire con molti personaggi e situazioni diverse. Ottimi anche gli scenari, mai noiosi e molto realistici.
Chicca:
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Totale 8:
Forse il più valido volume della serie: richiede un po’ di pazienza per essere concluso al meglio, ma comunque l'ottimo epilogo ricompensa degnamente chi ha la costanza di perseverare.
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