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L’Invasione degli Androidi ci riporta di nuovo a vestire i panni di un agente cosmico dell’organizzazione Nebula, spalleggiato dal suo fedele robot tuttofare, Tor-2. Al contrario di quello che accade nel primo volume in questo secondo capitolo non entreremo in contatto con il capitano Polaris, impegnato in una serie di mansioni che lo obbligano a non affidarci personalmente la nuova missione, ma del suo vice, una giovane donna che, a inizio avventura, ci spiegherà brevemente che da giorni non si ha più alcuna forma di contatto con i pianeti esterni del sistema stellare. Nessuno sa spiegarsi cosa sia successo, e toccherà a noi indagare e cercare di dipanare il bandolo della matassa. Immediatamente però l’obiettivo della nostra missione cambierà: non appena infatti ci appresteremo a partire, la stazione spaziale sarà attaccata da un possente esercito di Androidi; sia che si decida di rimanere a combattere per difendere la nave, sia che ci si risolva a intraprendere lo stesso la missione affidataci, il nostro percorso, al contrario di quanto accadeva in Pianeti in Pericolo, non si distaccherà più dal confronto con le creature robotiche del titolo. La struttura del libro è diversa rispetto a quella del predecessore: piuttosto che costruire solide storie e rinunciare a qualche bivio in più Black ha preferito in questo secondo capitolo aumentare le diramazioni e i possibili finali che l’avventura ci può offrire; tale risoluzione, se da un lato regala al lettore più possibilità di scelta, dall’altro finisce per rendere quasi tutti i percorsi poco profondi, e quindi noiosi. Paradossalmente, al di là del gran numero di bivi e di epiloghi, quello che maggiormente manca ne L’Invasione degli Androidi è la varietà: le storie si sovrappongono una sull’altra senza eccessivi guizzi, e molto spesso finiscono per essere piuttosto banali e ripetitive. Le scelte sono logiche, molto più che nel volume precedente: forse talvolta si rasenta la linearità, tanto da rendere facilmente individuabili, fin dalle letture iniziali, i percorsi che conducono alle conclusioni migliori. Esaurite queste l’opera perde un po’ del suo mordente, e la longevità finisce per risentirne. Al contrario di quanto accadeva nel primo libro della saga infatti non si avrà molta voglia di sviscerare a fondo il titolo alla caccia di tutti i possibili finali. Discutibile, anche in questo caso come era successo nella prima storia della collana, il sistema di valutazione del nostro comportamento durante la missione: l’epilogo di pagina 79, quello che ci consente di conseguire il punteggio più alto, è un concentrato di buonismo e banalità; convinceremo con un discorso semplicistico e anche piuttosto rapido il capo degli androidi che gli umani finiranno di sfruttarli e cominceranno a rispettarli. Di fronte al nostro impegno l’intero esercito deporrà le armi senza colpo ferire. Forse l’autore ha inteso premiare la capacità diplomatica di porre fine alla guerra senza ricorrere alla violenza, ma se questa era la sua intenzione avrebbe dovuto curare di più la conclusione, migliorandone la profondità e la complessità. Non mancano peraltro finali che colpiscono, seppur chiaramente ispirati a classici della fantascienza. In uno di questi l’intera guerra sarà condizionata da un gigantesco bambino alieno, che muove i suoi giocattoli, perfettamente identici alle controparti esistenti nella realtà: una struttura onirica che, pur non essendo particolarmente innovativa, stupisce e induce alla riflessione. In un altro invece ci imbatteremo in un enorme mostro a tre teste che galleggia nello spazio, futuristica incarnazione di Cerbero: a seconda delle nostre scelte potremo inseguirlo nella sua tana e scoprire che, anche se gigantesco (ci dice infatti lui stesso di chiamarsi Gigantus, in un tripudio di scarsa fantasia), è minuscolo in confronto alla moglie, che finirà per schiacciarci come insetti (nel finale più trash e demenziale dell’opera), oppure accorgerci che in realtà si tratta di un ologramma, sfruttato da una troupe cinematografica per girare un film. Allo scopo di renderlo più realistico il regista ha scagliato un vero esercito di androidi contro Nebula, senza peritarsi di avvertire precedentemente nessuno a proposito delle sue intenzioni… Piuttosto fantasioso, indubbiamente, ma poco solido e non certo lo stato dell’arte per quanto riguarda la vena creativa e l’intreccio. L’Invasione degli Androidi non convince: troppo lineare e spezzettata la struttura, troppo semplice raggiungere gli epiloghi migliori, noiosa l'evoluzione della trama, priva di spessore la vicenda, molto pochi i colpi di genio o le idee innovative. Non bastano certo a risollevare le sorti di un lavoro insufficiente la qualità di qualche finale più vario e godibile della media: l’impressione generale che lascia questo volume è quella di un’opera raccogliticcia, di scarso spessore, che non aggiunge nulla al genere fantascientifico, e anzi cerca di sfruttarne i più biechi cliché per mettere insieme una manciata di paragrafi e completare il compitino. Anche Maelo Cintron sembra risentire del clima di decadenza generale: gli ottimo disegni del primo capitolo lasciano il posto a lavori frettolosi e meno curati. Alcuni sono comunque molto buoni, ma in taluni casi si fermano a livelli davvero mediocri, come nella rappresentazione grafica del già citato Gigantus, raffigurato in modo grezzo e poco dettagliato. L’Invasione degli Androidi è un titolo ben poco accattivante, che rappresenta un passo indietro rispetto al predecessore; certo non siamo a livelli disastrosi, ma dopo le buone premesse del primo volume è un peccato trovarsi innanzi a un’opera così insipida e priva di mordente. Deludente, ma per fortuna la collana saprà regalarci qualcosa di meglio nei capitoli successivi.
Longevità 5:
Facile individuare fin dalle primissime partite i percorsi che conducono agli epiloghi più valutati in termine di punteggio. Esauriti questi l’interesse ad approfondire la lettura del volume difficilmente resterà vivo.
Difficoltà 4.5:
Molto diretto e lineare. Si termina agevolmente nel migliore dei modi, e le concatenazioni che portano alle scelte corrette sono evidenti, a volte anche troppo. Probabilmente si è optato per un taglio più infantile rispetto al predecessore.
Giocabilità 5.5:
La struttura semplice è la solita della serie, ma in questo caso non è neanche sorretta da una buona verve narrativa o da trovate intelligenti. Risolleva un po’ il quadro qualche epilogo più fantasioso della media, ma il piatto resta povero.
Chicca:
Il finale che conduce al paragrafo 59 non è riportato nella tabella dei punteggi, nelle pagine conclusive del testo. E' un errore dell'autore, non del traduttore: manca infatti anche nella versione originale del libro.
Totale 5:
Un volume poco interessante, che finirà nel dimenticatoio dopo due o tre letture. Solo qualche accanito fan della serie (o della fantascienza classica) potrebbe sviscerarlo più a fondo.
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