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Muscoli d’acciaio, spada sanguinaria e nome da amichetto di Winnie Pooh, il selvaggio Rupert, reduce dalla sua prima, entusiasmante avventura, raggiunge il regno della regina Tarsha, una volta fiorente e ora in rovina, per via di una maledizione piombata sulla sua principale e cospicua fonte di reddito: una sconfinata miniera di diamanti.
Draxun, corteggiatore respinto, l’ha fatta popolare di mostri dall’ancor più temibile stregone Murgle e le estrazioni sono terminate, mandando in rovina il reame. Carestia e morte l’unico futuro possibile, a meno che il coraggioso eroe solitario non accetti di entrare lì dentro, sconfiggere le creature e predare quanti più diamanti gli sarà possibile.
Su questa trama costituita da un cliché annodato a un cliché attraverso un cliché, il prolifico, ma non sempre a proposito, autore inglese Stephen Thraves ha costruito la seconda e, salvo apocalissi, ultima avventura del suo barbaro preferito. La trama si dipana placida sulla base di un presupposto del tutto errato: quello che per salvare il regno sia sufficiente recuperare i diamanti quando sarebbe come ovvio più proficuo sconfiggere il cattivo o il suo stregone.
A rialzare l’encefalogramma piatto, esplorando il dungeon, e in realtà anche appena prima di addentrarcisi, solo una serie di perle per la verità di rilievo assoluto che andranno ad arricchire la sezione “Chicche”. Parte che non può che essere, nel caso di specie, clamorosamente soperchiante rispetto al resto della recensione.
I vizi del sistema di gioco sono stati sviscerati già nell’abstract della serie e nella rece del primo volume, e qui vengono replicati in tutto e per tutto senza mutamenti, che a pensarci bene di per sé è un altro difetto: su tutti, il ricorso totale e sovrano alla sorte per determinare scelte di successo o insuccesso, alcune tra l’altro decisive per la risoluzione della vicenda, come per esempio la scoperta di artefatti magici o la conquista di poteri speciali per orientarsi.
E ancora, la decifrabilità fin troppo elementare dei sistemi criptati studiati per semplificare alcune di quelle scelte. Parziale (e unica) attenuante, il fatto che nell’edizione originale ci fossero codici veri e propri, da decifrare con cifrari a griglia fisici, e altri supporti come conta-tesori e dadi personalizzati, sfiziosa peculiarità della serie inopinatamente azzerata dalla EL, che del resto pubblicando questo Rupert 2 nel 1993 stava già abbondantemente raschiando il fondo del barile e ha optato per edizioni low cost.
Infine, il sistema di combattimento basato solo ed esclusivamente sui dadi, sulla carta a favorire il protagonista che, tuttavia, deve colpire tutte le volte il nemico, le cui potenzialità sono difficilmente valutabili se non quando è troppo tardi, fino a portare a zero la sua energia, mentre gli basta ricevere un colpo singolo per essere dichiarato sconfitto e doversi per forza ritirare dallo scontro con la coda tra le gambe. E questo avendo solo 6 miseri punti vita.
Quel poco che piace di questo Rupert, oltre alle “Chicche” che seguiranno, sono le illustrazioni, caratterizzate sulla base della fervida inventiva dell’autore: una trentina e passa di mostri ognuno davvero minaccioso e ripugnante in tanti modi diversi, tanto da costituire un bestiario di apprezzabile valore.
Insomma, un disastro di librogame, da giocare una volta, e difficilmente più, con azioni sia di raccolta sia di lotta che diventano via via una noiosa routine, tanto che si riemerge alla luce del sole sbadigliando, con o senza i maledetti diamanti.
Longevità 4:
Come su detto, una volta acquisiti i poteri speciali, la sequenza esplorazione-combattimento diventa talmente monotona, mononota e ripetitiva da far passare la voglia, sia se si centrano gli 8 diamanti, sia se, tanto più, ci si ferma a meno. Senza poteri speciali, invece, è meglio lasciar perdere perché si è destinati a perire.
Difficoltà 4:
Eccessiva nei check al buio, eccessiva nel sistema di gioco, senza equilibrio, senza motivo, senza alcun senso.
Giocabilità 4.5:
Nell’ambito del contesto noioso detto in premessa, le variazioni sul tema in qualche modo sono assicurate dai manufatti magici-poteri speciali, dalle figure talora buffe (i tre minatori, due carogne e uno onesto, l’ennesimo mago - dev’esserci un raduno in zona - amante dei tessuti) e dagli oggetti (la pagnotta domina su tutti) che si incontrano lungo la via.
Chicca:
Va usato il plurale. Chicche.
1. Appena arrivati il servitore della regina, Uvane, infama senza alcun motivo con un “Aprite sciocchi!” gli addetti all’apertura del cancello che stavano, pensate un po’, aprendo il cancello.
2. Come detto, la missione non è liberare la miniera dai mostri o il reame dal tiranno, ma prendere 8 diamanti per salvare il regno. E quando li avranno finiti?
3. Rupert, vecchio filibustiere, si accorge che la regina è di straordinaria bellezza, ma tenendo lo sguardo a terra, con il caratteristico “terzo occhio” alla Magic Johnson.
4. Nel donargli il potere della preveggenza, il mago gli traccia sulla fronte “la forma di un diamante”, ma l’autore non specifica se sia un taglio a stella, a gradino, a mogul, a vecchio minatore (che sarebbe anche coerente!), a marquise, a fancy, a baguette e così via.
5. Prima di entrare nella miniera, Rupert vorrebbe donare del pane a dei cani malnutriti, ma poi glielo nega perché maggiormente impietosito da dei bimbi moribondi. Ai quali, comunque, non dà il pane.
6. I mostri che custodiscono i famosi diamanti non lo inseguono perché non possono abbandonare le preziose gemme, dovesse arrivare un altro avventuriero barbaro.
7. Al cifrario magico si arriva dopo non uno ma ben due check, a tripla e a doppia scelta, entrambi basati sul puro cXXo. La ricompensa è ritrovarsi a parlare con un mago che sa già tutto della storia di Rupert, senza dovergli riepilogare nulla. Dopotutto, è un mago.
8. Ci si imbatte in un minatore rimasto coraggiosamente a presidiare la “sua” miniera (d’altronde il suo tenore di vita sibaritico ne dimostra con chiarezza la proprietà) anche a dispetto dei mostri. Chissà che bei lauti pranzi fa ogni giorno. E chissà che succede se il mostro, tra le tre corde per salire al suo rifugio, invece che le due sabotate sceglie quella salda. Dopotutto ha il 33% di possibilità di riuscire ad arrampicarsi e farlo a dadini.
9. Qui si comincia a salire di livello e si entra in una “top 3” da K.O. tecnico, con il paradosso fondamentale: si apprende che lo stregone Murgle è evidentemente più potente di Draxun ma è comunque soggiogato al suo volere e si fa, anzi, minacciare perfino di taglio della testa, piegandosi alla umiliante volontà del suo re.
10. Lo spietato Murgle obbliga Rupert a sottoporsi a una serie di prove mirabolanti con il disclaimer: potrei ucciderti quando voglio, ma è più divertente farti scegliere a caso tra tre caverne, tre spade, tre sosia e così via. Il problema è che non lo uccide neanche quando il barbaro sta per uscire dalla miniera, e magari con tutti gli 8 diamanti in saccoccia. Chissà come sarà contento Draxun.
11. Capolavoro finale: ci sarebbe la possibilità di prendere un diamante comodo comodo, freddando un mostro che si è malauguratamente addormentato, ma sul più bello Rupert tiene fede al suo nome da orsetto di peluche e si fa prendere da scrupoli morali: uccidere a sangue freddo è troppo barbarico, perfino per un eroe barbarico. Sipario. Applausi.
Totale 4.5:
Errare è umano. Perseverare è diabolico. Qualcosa da salvare c’è, ma siamo molto lontani dalla sufficienza.
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