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Non sono mai stato un amante dei giochi di ruolo, un po’ perché la recitazione non è il mio forte, un po’ perché nei giochi cerco soprattutto una sfida – e un po’ anche per esperienza traumatiche giovanili che preferisco non rivangare. Per questo motivo per me Kata Kumbas è sempre stato “il gioco con il tizio con la maschera di Venezia in copertina” e poco altro. Tuttavia essendo un fan dei librogame EL quei grossi manualoni in fondo ai cataloghi han sempre stuzzicato la mia curiosità; ragion per cui quando è stata annunciata la pubblicazione di un librogioco ambientato nell’universo di Kata Kumbas la mia reazione è stata di relativa diffidenza.
Oggi posso dire che, se il mio primo contatto con Uno Sguardo nel Buio è stato anticlimatico (massimo rispetto per chi lo ama, ma il nome tutto italiano di “Atlantide” mi aveva fatto pensare a un’ambientazione decisamente diversa e più originale rispetto a quella effettiva), l’atterraggio a Laitia, ossia il mondo in cui è ambientato Kata Kumbas, è stata un’esperienza positiva non da poco.
Cominciamo dal nome: Laitia, Italia. Sì, nel catalogo c’era scritto che Kata Kumbas era “il primo gioco di ruolo ambientato in Italia”, tuttavia non era specificato che quell’Italia non sarebbe stata la nostra, bensì una sua trasfigurazione fantasy maccheronica ed esilarante in cui tutto appare distorto da una buona bevuta di vino rosso. La storia che si andrà a leggere ne Il Cavaliere della Porta sarà ambientata in uno stivale storto simile alla nostra patria, attraversando città che ricordano con il loro nome quelle reali, ma ciò che caratterizzerà davvero il libro – così come il gioco di ruolo a cui è ispirato, ovviamente – non saranno tanto i riferimento all’Italia quanto alla sua tradizione.
Quindi: niente fantasy urbano, nulla di paragonabile a cose come la saga del Demone di Terry Brooks e neppure Landover, sempre a proposito dello stesso autore, nonostante il protagonista sia un uomo dei nostri giorni catapultato a Laitia (il lettore per essere precisi, che vestirà i panni di Ugger, il cavaliere del titolo). Il riferimento sarà piuttosto alla commedia dell’arte, a L’Armata Brancaleone, ai poeti dialettali, alle fiabe popolari, tutti uniti con il fantasy classico e celtico che ben conosciamo, creando un minestrone assurdo che riuscirà tuttavia a risultare credibile grazie al non prendersi mai troppo sul serio e all’ottima caratterizzazione dei personaggi.
Si tratta di pregi che Il Cavaliere della Porta ha in comune con Alla Corte di Re Artù di J.H. Brennan, serie più volte omaggiata all’interno del volume: il mago Maugrigio, l’introduzione che lo vede protagonista, il cavaliere con un pessimo senso dell’orientamento, le stalle… Le influenze ci sono e l’autore non fa nulla per nasconderle (anzi, le cita esplicitamente nella postfazione), sebbene rispetto a Brennan si noti il tentativo di mantenere il divertimento entro i limiti del realistico – per gli standard laitiani – evitando di cadere nel demenziale e nel citazionismo, scelta che contribuisce a rendere Il Cavaliere della Porta un’avventura originale.
Diciamolo chiaramente: Kata Kumbas 1 narra una gran bella storia di dame, cavalieri, armi e amore, anche esplicito, creando un intreccio che saprà tenervi incollati al volume dal primo all’ultimo paragrafo. Lo stile di scrittura di Umberto Pignatelli dà il meglio di sé soprattutto nei dialoghi, sempre realistici e mai posticci; meno valide le parti descrittive, in cui il libro alterna periodi scorrevoli e piacevoli da leggere a frasi che procedono a singhiozzo, soprattutto a causa degli incisi e della punteggiatura (ad esempio: “silenzioso e rapido, riesci a liberarti i piedi, e dopo poco, anche le mani”, ma anche cose come “le capre, infatti appartengono a suo padre”, chiaramente sfuggite all’occhio degli editor), o per un abuso dell’espediente di rivolgersi al lettore chiamandolo “Ugger”, simpatico richiamo a Brennan ma utilizzato troppe volte in certe sequenze di paragrafi.
I pregi del libro sono amplificati all’ennesima potenza dagli eccezionali disegni di Francesca Baerald, giustamente accreditata come coautrice, che diventano loro stessi parte del gioco: quasi tutti infatti nascondono uno o più numeri, veri e propri bivi alternativi da prendere oltre a quelli indicati nel testo, se si riesce a individuarli.
Si tratta di un gioco-nel-gioco divertente e che, come dimostrato dai fumetti-gioco della Makaka Editions, può essere utilizzato sia per aumentare la longevità del titolo sia per presentare al lettore degli enigmi: anche ne Il Cavaliere della Porta è così, sebbene la complessità degli indovinelli non vada mai oltre il semplice, forse troppo semplice nella maggior parte dei casi.
Ne approfitto quindi per passare alla parte “gioco” del titolo. Nonostante sia uscito nel 2016 e sia targato GG Studio, casa che ha pubblicato la più moderna serie Ultima Forsan, Kata Kumbas è un librogioco “vecchio stile” che non si preoccupa di far finire il lettore in loop senza senso, ritornando più volte negli stessi paragrafi, né di andare oltre alla consolidata struttura a “punti di controllo” resa popolare da Joe Dever. L’aspetto più moderno è dato dal sistema di gioco, chiamato Venture System, che è in comune con un altro titolo targato GG Studio (Golgota Blues) e di cui esiste una versione liberamente utilizzabile, seguendo alcune linee guida.
In poche parole si tratta di un sistema senza dadi che prevede alcune caratteristiche (in Kata Kumbas sono tre: Forza, Astuzia e Saggezza) a ciascuna delle quali devono essere associati dei punti (18 in totale nel nostro caso), potendo così creare un personaggio forzuto ma poco sveglio e così via. La somma dei punti nelle tre caratteristiche corrisponderà all’Energia iniziale, ossia i punti vita, a cui si assocerà il Fato, risorsa preziosa e difficile da recuperare. Nel corso del gioco il testo presenterà delle prove che potranno essere superate solo avendo un certo punteggio in una determinata caratteristica, ma con la possibilità di potenziarla solo per la prova in corso spendendo punti Energia (1 punto in più per Energia spesa) e punti Fato (4 punti in più per Fato speso).
Questa struttura funziona a metà tra il sistema della serie Realtà Virtuale, che a seconda delle scelte sottopone a un check su un’abilità adeguata quel tipo di scelta, punendo se non la si possiede, e a quello tipico di serie come Lupo Solitario, in cui il check sulle caratteristiche viene usato per aprire strade differenti e/o come ultima chance per risollevarsi da determinati errori. Un’altra caratteristica particolare del Venture System è data dal fatto che fallire una prova non significhi necessariamente la sconfitta: è anzi possibile che un fallimento permetta di raggiungere piccole strade alternative, anche se mai fondamentali per la riuscita della missione.
Sulla carta si tratta di un ottimo sistema di gioco che riesce a bilanciare l’assenza dell’alea con la gestione dei punti Energia e Fato, evitando di cadere nell’eccessivo determinismo e nella caccia alla “giusta via” di Realtà Virtuale, in cui non avere l’abilità corretta significava spesso la morte. Questo è un bene, visto che la mole narrativa de Il Cavaliere della Porta (con paragrafi che possono superare le 20 o addirittura le 30 righe) mal si sposa con la necessità di dover ricominciare a leggere più e più volte dall’inizio per arrivare alla conclusione.
Nel libro però l’applicazione del sistema non è perfettamente riuscita, per due ragioni. In primo luogo l’abbondanza di occasioni per recuperare Energia e soprattutto Fato rende quasi sempre fattibile superare ogni prova. È comunque possibile affrontare la partita con punteggi complessivi più bassi di quelli standard, come ad esempio 15 o addirittura 12 punti Energia: questo imporrà scelte più oculate impedendo di far tutto a ogni lettura, specie se si deciderà di creare un personaggio esageratamente sbilanciato in una caratteristica a favore di un’altra.
Il secondo motivo è legato alle scarsa incidenza generale che avranno le scelte del lettore nei momenti “clou” dell’avventura. Ci saranno occasioni in cui potremmo reagire a un evento in modo diverso, scappando se sappiamo di esser abili in Astuzia o combattendo fidandoci della nostra Forza, ma ci saranno anche occasioni in cui la struttura di gioco sarà sui binari, con poche reazioni previste e un’unica conseguenza impossibile da evitare.
Quanto sopra è particolarmente percepibile nella prima parte della storia, strutturata in snodi collegati da strade alternative nascoste dietro a semplici bivi “destra-sinistra”. In un certo senso si può dire che l’interazione ne Il Cavaliere della Porta sia più legata a questi snodi, e che si concretizzi nell’attivare gli “interruttori” nascosti per accedere a una strada secondaria invece che a un’altra, piuttosto che a far immedesimare il lettore nel personaggio di Ugger all’interno dei paragrafi stessi. Il protagonista avrà una sua identità e delle caratteristiche precise che raramente saranno influenzate dalle scelte, o dall’avere 1 punto di Astuzia invece che 10, dando molto spesso la sensazione di essere più spettatori della vicenda che protagonisti – in altri termini, più lettori (a bivi) che giocatori.
Trattandosi di un libro che punta più sulla narrativa che sul gioco non è un peccato mortale, anzi è una precisa scelta dell’autore che può essere condivisa o meno. Tuttavia a lungo andare ho avvertito la sensazione che il libro avrebbe funzionato allo stesso modo rinunciando del tutto al Venture System e mantenendo unicamente Note di Gioco (le buone vecchie Parole Chiave di Dave Morris e compagni) con caratteristiche fisse, aprendo ogni volta strade alternative in base ad esse come un Scegli la tua Avventura potenziato.
Tutto quanto sopra è cambiato superata la metà del libro, in un crescendo di importanza della parte “gioco” fino all’ultima zona, in cui troverete un volume radicalmente diverso, un vero tributo a Brennan labirintico e sorprendente. Il cambiamento continuerà fino alla fine con una sequenza interattiva più che mai (con addirittura la possibilità di approcciare la battaglia finale in più modi radicalmente diversi!) e che mi ha fatto terminare la lettura col sorriso sulle labbra e la voglia di ripartire subito, alla caccia di qualche storia secondaria mancata.
A ben vedere si tratta di un cambio di rotta così percepibile, per quanto da me gradito, da far sembrare Il Cavaliere della Porta un titolo incostante, indeciso su dove posizionarsi nell’ampio spettro che c’è tra le sezioni “libro” e “gioco” nella parola “librogame” (curiosità: è uno dei pochi libri italiani non EL a definirsi apertamente così nell’introduzione). La stessa indecisione è percepibile nel voler da un lato abbracciare la modernità con enigmi visivi, i rimandi non esplicitati e l’assenza di alea, mantenendo però retaggi del passato con una struttura per certi versi abusata come quella dei “punti di controllo”, o la presenza di loop e incongruenze temporali nel testo tipiche degli anni ‘80.
Al netto di queste indecisioni e dei difetti di bilanciamento, non si può negare che la storia de Il Cavaliere della Porta sia davvero interessante; ed anche la parte gioco, quando funziona, riesce con poche regole e pochi appunti a coinvolgere il lettore in un’avventura per una volta matura nel vero senso del termine (e non certo per le poche immagini di nudo sparse nel libro!), in cui si vorrà arrivare a tutti i costi alla fine. Non a caso il libro dà il meglio di sé nelle letture successive alla vittoria, in cui si ha più voglia di esplorare le tante stradine alternative che gli autori hanno nascosto nei 500 paragrafi, senza il timore di incappare in una sconfitta anticipata.
Per queste ragioni ritengo di poter consigliare il primo volume della serie Kata Kumbas a una platea estesa di lettori, in particolare a tutti coloro che nei librigioco cercano soprattutto tante piccole storie e magnifiche illustrazioni. Stiano invece in parte attenti gli amanti del gioco e dell’interattività, specie alla luce del prezzo di vendita abbastanza elevato (€ 19,90): approcciatevi al libro consapevoli dei suoi limiti o potreste restare delusi.
Venendo alle caratteristiche del volume, si tratta di un libro di grandi dimensioni (170 x 240 mm), brossurato, con copertina morbida e carta di ottima qualità. Le scritte sono estremamente piccole e potrebbero crear problemi a lettori ipovedenti, mentre le immagini (in bianco e nero) sono di grandi dimensioni, spesso a tutta pagina. La stampa e la rilegatura sono perfette e in generale l’opera trasmette una sensazione di “grandiosità” anche solo prendendola in mano. Una partita completa senza sconfitte dura intorno alle 3/4 ore a seconda della velocità di lettura.
Longevità 8:
E’ possibile arrivare in fondo a Il Cavaliere della Porta già al primo tentativo, complice un livello di difficoltà molto basso, ma il libro dà il meglio di sé nelle letture successive alla vittoria, in cui si ha più voglia di esplorare le tante stradine alternative senza il timore di incappare in una sconfitta anticipata. Tra le pagine sono nascosti svariati oggetti che potranno essere trasferiti nel volume successivo, pur non essendo fondamentali per la buona riuscita di questa missione. Il fatto che le scelte del lettore abbiano poco peso nella prima parte, soprattutto nelle sezioni obbligatorie, può limitare la voglia di ricominciare a leggere ogni volta dall’inizio.
Difficoltà 6.5:
Molto bassa: applicando alla lettera il regolamento è possibile perdere solo a causa della poche morti improvvise, mai per esaurimento di Energia. Questo difetto si rivela tuttavia anche un pregio, visto che la mole narrativa de Il Cavaliere della Porta (con paragrafi che possono superare le 20 o addirittura le 30 righe) mal si sposa con la necessità di dover ricominciare a leggere il libro più e più volte dall’inizio per arrivare alla conclusione.
Giocabilità 6.5:
Il sistema di gioco è estremamente innovativo e interessante, ma la sua applicazione pratica in questo primo volume è deludente, finendo per rendere fastidioso il dover tener traccia di punteggi e oggetti di cui si sarebbe potuto fare a meno ottenendo lo stesso risultato. La meccanica dei numeri nascosti nelle illustrazioni è molto interessante e ben sfruttata, così come la possibilità di accedere a piccole sezioni alternative fallendo certe prove. Giocare con 15 o 12 punti di Energia complessivi migliora la giocabilità, rendendo le partite più diversificate, ma il libro non prevede esplicitamente di poterlo fare (lo farà dal volume 2 in poi).
Chicca:
Il libro è una sequenza di chicche e di personaggi memorabili. Tra i tanti voglio citare Grunf, il Maiale da Combattimento, anche se ciò che resterà nella memoria dei lettori, specie i maschietti, sarà la splendida ninfa disegnata da Francesca Baerald e una notte in locanda indimenticabile.
Totale 7.5:
Al netto di alcuni difetti di bilanciamento della parte “gioco” e di uno stile di scrittura più convincente nei dialoghi che nelle parti descrittive, Il Cavaliere della Porta riesce con poche regole e pochi appunti a coinvolgere il lettore in un’avventura per una volta matura nel vero senso del termine (e non certo per le poche immagini di nudo sparse nel libro), in cui si vorrà arrivare a tutti i costi alla fine per poi ripartire subito, alla caccia di altre strade minori nascoste. Lo scarso peso delle scelte e una propensione per la narrazione “vecchio stile” a discapito dell’interazione impone tuttavia di approcciarsi al libro consapevoli dei suoi limiti: il rischio, anche alla luce del prezzo di vendita abbastanza elevato (€ 19,90), è di aspettarsi troppo da questo mastodontico volume e restare delusi. Il voto finale tiene conto anche delle eccezionali illustrazioni ad opera di Francesca Baerald, tra le migliori mai viste in un’opera interattiva e loro stesse parte del gioco.
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