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Oltre l’incubo c’è... un vecchio librogame
Avere un ricordo impressivo di un’opera, perché letta in giovane età, alle volte è determinante per conservarne una valutazione positiva, indulgente, che tende a soppesare con una lente di bonomia difetti anche evidenti e massimizzare le qualità pur presenti. Al contrario, approcciarsi per la prima volta a un librogame storico in età adulta può ingenerare da un lato aspettative eccessive e dall’altro delusioni brucianti, che portano inevitabilmente a giudizi poco lusinghieri.
È quanto accaduto a chi scrive con il primo volume della serie EL Oltre l’incubo, intitolato “Il Regno dell’Ombra”, realizzato in tandem da Ian e Clive Bailey e portato in Italia nel 1987, due anni dopo l’uscita originale, in una fase di piena maturità del fenomeno librogamistico nostrano. Un’opera che ha riscosso grande successo di pubblico, oltre che nei voti nell’enciclopedia di questo portale e nelle recensioni sia su Lgl che altrove, ma un’avventura che, vista con gli occhi del 2020, non riesce a suscitare lo stesso genere di entusiasmo, con i pregi sovrastati dai difetti e di narrazione e di gioco.
Alla luce di questo avvio che preannuncia (e almeno in parte motiva) un giudizio di forte criticità, non si può non partire dalla migliore prerogativa che sembra avere questo volume: quella di creare fin dalle primissime battute un’atmosfera cupa, opprimente, da incubo per l’appunto, con pochi eguali nell’ambito di tutte le altre opere interattive del periodo e successive.
Un azzecatissimo mood che, tuttavia, e siamo già ai rilievi negativi, ha il difetto di durare troppo poco: permea le prime, serratissime battute, che mettono subito alla prova i nervi del lettore e la tenuta del suo personaggio; torna prepotente nel finale del volume, a prefigurare ulteriori pericoli nel sequel; ma l’atmosfera manca, clamorosamente, nella parte centrale dell’opera, condotta spesso in un tono fin troppo piatto e routinario, perfino nella descrizione degli orrori più incommensurabili.
Tutto il contrario del Lovecraft più ispirato, cui pure qualcuno ha azzardato paragonare quest’opera: se lì tutto è emozione e terrore, qui mostruosità, escrescenze, nebbie malefiche, creature deformi, umani degenerati, cadaveri e chi più ne ha più ne metta vengono descritti alla stregua di una classificazione atona da gabinetto di scienze naturali.
Quanto alla trama, il protagonista viene convocato da una lettera che occupa l’intero primo paragrafo (bella soluzione, invece questa) da un suo amico, lo studioso Charles Petrie-Smith, preoccupato da avvenimenti inspiegabili cominciati a partire da un terremoto in uno sperduto villaggio di una remota valle del Galles. Il timore è che la scossa tellurica abbia scatenato “oscure forze” rimaste sopite per un tempo mai troppo lungo e che qualcuno è andato a ridestare.
Di chi si vestono i panni? Nel testo non viene dato nome (ma lo spazio per le generalità nel registro c’è) né occupazione, solo in un punto del regolamento il lettore viene frettolosamente informato di impersonare un “investigatore nel Regno dell’Ombra”. Pertanto, si può cristallizzare questo, si tratta di un’indagine.
Ebbene, i timori della vigilia trovano conferma immediata, nel giro di un paio di paragrafi, in cui la volontà di andare “oltre l’incubo” viene sbattuta senza indugi in faccia al lettore, costretto a misurarsi con un terribile doppio di se stesso e una nebbia soprannaturale più assimilabile a creatura viva. Prima di cominciare la missione vera e propria, una notte tormentata da incubi (ci risiamo) porta a tuffarsi nella cultura ancestrale gallese e britannica, incontrando lo spirito di Myriddin (inopinatamente associato a Mago Merlino) e una serie di fantasmi di guerrieri che vanno prima domati qui per poter essere usati, poi, come “arma finale”. Un sogno piuttosto reale che lascia, a memoria di ciò, un sigillo runico impresso nel proprio bastone da passaggio.
L’esplorazione successiva della miniera fornisce ulteriori indizi. “Qualcosa” è tornato in superficie e ha condizionato ogni forma di vita nelle circostanze, generando mostri e raccapriccio. Come se non bastasse, la casa di Petrie-Smith viene presa d’assalto, rigorosamente di notte, e si capisce che “qualcuno” sta cercando manodopera forzata per continuare a scavare nelle viscere della terra. Un secondo passaggio nel sottosuolo consente di sciogliere la vicenda, eliminando o meno la minaccia e salvando i valligiani dalla servitù e dalla contaminazione. Una trama con qualche buco e qualche ingenuità, ma che tutto sommato sta in piedi.
I problemi sorgono nell’affrontare le dinamiche di gioco. Punto di partenza, l’utilizzo ossessivo dei dadi per qualsiasi cosa, peraltro non particolarmente imputabile, vista la moda dell’epoca che strizzava fortemente l’occhio ai giochi di ruolo. Il personaggio ha punteggi di Forza e Intelligenza che fissano le soglie da non superare con i dadi per avere successo nelle prove. Chiaro che un lancio iniziale particolarmente sfortunato renderà semplicemente impossibile finire l’avventura. I primi due punteggi generano (raddoppiati) rispettivamente quelli di Resistenza e Volontà, che non devono mai esaurirsi per non ritrovarsi morti o folli, due ipotesi cui vengono riservati paragrafi dedicati.
Il combattimento “semplice” pure si basa sul confronto di punteggi e applicazione a turno dei danni, quello “complesso” si appoggia a una tabella di confronto con righe e colonne da incrociare come in tante altre serie; il vero problema della lotta è nella sostanziale macchinosità con cui viene spiegata, con l’assenza di parametri di riferimento certi e la necessità di interpretare di volta in volta il regolamento, i lanci da fare e il comportamento dei nemici, descritti spesso in termini differenti e con soluzioni grafiche astruse.
E comunque la scelta di combattere si rivela quasi mai premiante, non garantendo oggetti bonus, rivelazioni particolari e perfino neanche un po’ di semplice soddisfazione guerresca. Al contrario, si capisce quasi subito che la strategia migliore è scappare e nascondersi, a dispetto della grande varietà di armi bianche, da fuoco e perfino esplosive, ciascuna con capacità di danno diverse, che vengono messe a disposizione.
Altra cosa che non va dannatamente è la struttura stessa del libro, che a occhi minimamente esperti si rivela ben presto essere così lineare da rasentare la presa in giro. Palesi sono i paragrafi singoli che rimandano ad altri paragrafi singoli senza bivi. E quando i bivi ci sono, entrambi riconducono a uno stesso filone principale, con le uniche variazioni costituite dall’incontro o meno di avversari e di diversa entità.
Variazioni sul tema appena confortanti sono un paio di vicoli ciechi, uno addirittura con doppia instant death. Ma queste ultime, purtroppo, spesso vengono causate da scelte “alla cieca” che tanto hanno fatto gridare allo scandalo in altre serie (vedi Rupert), come andare a destra o a sinistra in una biforcazione senza nessuna possibilità di elementi che possano fungere anche da minimo indizio.
L’unico vero snodo sarebbe nel finale, quando si potrà concludere la missione con successo o meno nell’eliminare la minaccia che ha provocato tutto questo pandemonio. Ma anche in questo caso, che ci si riesca o meno è equipollente, ed entrambe le diramazioni si riuniscono poi nel concitato epilogo che lancia l’assist al volume numero due. Comunque la si giri, in definitiva, troppo poco per avvicinarsi anche a lunga distanza alle opere meritevoli di menzioni di eccellenza.
Longevità 5.5:
Ci si possono concedere un paio di partite per esplorare a fondo il disordinato e mal descritto dungeon escogitato dagli autori, ma solo per acquisire la snervante consapevolezza che le presunte alternative conducono, in verità, tutte in uno stesso punto.
Difficoltà 7:
Tutto sta nell’avere buoni punteggi iniziali ai dadi, così le cose si mettono in discesa anche se, per crudeltà degli autori, gli avversari sono quasi sempre di forza almeno pari del protagonista, perciò averne la meglio è logorante e le possibilità di recupero previste sono molto avare.
Giocabilità 4.5:
Regolamento mal spiegato, dinamiche ripetitive, bivi alla cieca, falsi bivi, scelte ovvie, qualche passaggio traballante nella trama. L’atmosfera soffocante da maestri del genere copre una buona parte delle magagne, ma lascia comunque il prodotto ben lontano da un’accettabile sufficienza.
Chicca:
Dopo aver quasi perso la vita e la sanità mentale a esplorare una prima volta la miniera, il buon vecchio Petrie-Smith ha l’accortezza di tirare fuori una mappa dai suoi cassetti. Peraltro anche questo viene liquidato in poche battute senza fornire aiuti pratici o nuovi indizi a questa strampalata indagine poco dopo, quando nella miniera si dovrà tornare.
Totale 5.5:
Se tutti i librogame meritano di essere letti, questo merita di essere letto poco e velocemente messo in archivio. A meno di non averne un invidiabile e splendido ricordo d’infanzia, quando mostri nell’oscurità, miniere abbandonate e nebbie maledette facevano battere forte il cuore di bambini coraggiosi, troppo impegnati a emozionarsi per dissezionare freddamente un libro a uso recensione.
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