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Il solito, vecchio Fighting Fantasy Come dovrebbe essere scritto un Fighting Fantasy verso la metà del terzo decennio del Duemila, dando per assodati l’invecchiamento del sistema di gioco di una serie nata ai primordi della narrativa interattiva e una certa ripetitività di trame che molte volte, troppe, han visto il solito avventuriero senza nome farsi strada tra i soliti nemici alla ricerca del solito tesoro? La risposta prova a darla Charlie Higson, autore fantasy lineare di buona fama nel Regno Unito, chiamato dalla premiata ditta Jackson & Livingstone a corredare di un intrigante inedito la nuova edizione Scholastic della loro saga. Con tanto di citazione di nome e cognome del nuovo autore in bella evidenza, cosa che con “quei due” in passato è capitata di rado, anzi mai.
Una risposta che, tuttavia, senza voler parafrasare il Quelo di Corrado Guzzanti, è sbagliata. Almeno in parte, perché, di fronte a trovate alquanto interessanti, una trama innovativa e - ahimè - attuale, nonché una certa freschezza generale che indiscutibilmente permea queste pagine, al contempo nella progettazione e poi nell’esecuzione stona una fila di topiche che impediscono al volume di entrare a pieno titolo nell’eccellenza. Meglio andata alla versione italiana griffata Salani, dove un team di editor e curatori tra i massimi esperti di libri a bivi ha provato a smussare le asperità dell’opera, spingendosi al massimo consentito senza poter riscrivere com’è ovvio interi passaggi. La versione italiana porta a casa, inoltre, la copertina per intero, non confinata in un ovale circondato da colore piatto come misteriosamente e cervelloticamente stabilito al di là della Manica.
La storia prende le mosse quando nel mondo di Titan, nel continente di Allansia, citazioni dell’ambientazione classica molto gradite, l’ordine delle cose viene sconvolto da una terrificante pandemia (di qui l’attualità) con un virus contagiosissimo che trasforma gli esseri umani, gli animali e le altre creature in temibili demoni. I guerrieri possono poco, sono i monaci a dover mettere a disposizione un po’ della loro risicata scorta di olio-fumo distillato dal giglio, capace di curare il morbo, e portarlo al tempio di Throff dove la locale sacerdotessa potrà riprodurlo in massa dando il via all’immunizzazione. E nei panni di uno di questi monaci, o meglio, di un accolito in principio senz’arte né parte, il lettore dovrà calarsi.
Le cose andranno ben diversamente dai programmi iniziali. La missione di speranza andrà a finire dritta nel malfamato approdo di Port Blacksand, già nota come la città dei ladri; l’accolito si troverà ben presto senza la sua guida, se tutto va bene inseguito da lestofanti demonizzati, se non addirittura tradotto alla corte del famigerato Lord Azzur. Dovrà assumere su di sé l’onere della missione, non già la mera consegna dell’olio-fumo ma anche la risoluzione complessiva della vicenda e stroncare il tentativo di invasione da parte dei demoni e della loro sovrana Ulrakaah, tenendola al di là dei Cancelli della Morte che danno il titolo a questa lettura. È il più classico viaggio dell’eroe, che parte da sprovveduto e acquisisce mezzi e capacità inizialmente non proprie, cambiando per sempre la sua vita.
Alcune peculiarità fanno parte dell’edizione Scholastic e sono, per contratto, da replicare fedelmente nella localizzazione italica, quindi impossibili da mutare e meritevoli solo di una veloce carrellata. Come al solito, dà ai nervi il regolamento piazzato alla fine dell’avventura invece che all’inizio, ma almeno stavolta nell’incipit si aiuta il lettore inserendo i numeri di pagina ove recarsi; stranezza, questa, qui aggravata da un capitolo inedito, tutto dedicato alla spiegazione delle varie tipologie di armi e dei bonus/malus di ciascuna, pure inserito alla fine invece che presentare i vari strumenti d’offesa sul momento, quando vengono trovati.
Come al solito ci sono, poi, lo zaino infinito tipo gonnellino di Eta Beta, le illustrazioni piatte grigie, un true path strettissimo in più punti dell’avventura che porta a rimanere bloccati o morti anzitempo se non si superano tappe molto precise o non si raccolgono oggetti apparentemente insignificanti, nonostante i lodevoli tentativi da parte dei curatori italiani di inserire quanto meno dei suggerimenti per imboccare le mosse più opportune nelle biforcazioni più infide. Non manca l’esplorazione con una parte “a mappa” per soddisfare i gusti degli amanti di questa particolare progettazione.
Diversamente dal solito ci sono gli errori palesi di inesperienza di un autore, Higson, al quale possiamo ipotizzare che, per via della fama che lo circonda, sia stata concessa carta bianca - ossia lo hanno lanciato allo sbaraglio, verosimilmente senza una curatela o un editing di spessore: buona prassi tutta nostrana che all’estero farebbero meglio a studiare e implementare. Solo così si spiegano gli errori anche grossolani che costellano qui e là i 470 paragrafi in questione, facendo spegnere il sorriso e abbassare il voto.
Si comincia già all’inizio quando, dopo appena cinque righe, si perdono in modo del tutto gratuito ben 5 punti di Resistenza senza motivazioni valide. Per non dire dei bivi secchi destra-sinistra privi di qualsivoglia indizio, che richiamano molto gli esordi dei librigioco ma sono ormai universalmente considerati inaccettabili nelle opere moderne. Completano il quadro delle cose che assolutamente non vanno i “grappoli” di paragrafi che si trovano di tanto in tanto per dare... un tocco di librogame a una narrazione che, altrimenti, sarebbe dannatamente lineare. Dopo un rapido girovagare tra gli snodi di queste propaggini, si torna dritti nella strada principale.
E insomma l’alchimia nel complesso non entusiasma eccessivamente. L’opera si dipana via via senza far battere i cuori e si arriva a dama con la sensazione di una grossa occasione persa. Perché lo spunto di partenza era buono, come anche alcune declinazioni di trama. Perché era buona l’idea del protagonista per caso che si difende con armi di fortuna, dal coltello da pane arrugginito fino alla mannaia del Pazzo. Perché alcuni snodi di “interrogatorio”, con una scelta di domande da rivolgere ad amici e nemici, sono brillanti e centrati. Perché il family feeling dato da citazioni geografiche come Port Blacksand e da camei come Azzur o il mago Nicodemus dà proprio la sensazione di giocare in casa, di Ff puro.
C’è una splendida architettura messa in campo da una penna sicuramente di spessore, quella di Higson, ma a tradire stavolta è proprio l’ingegneria, la struttura: gli esperti del mezzo, se non proprio i canuti creatori della serie, avrebbero potuto e dovuto dare una mano a un autore noto ma comunque matricola nel campo del librogame. Alla domanda di partenza, come si scrive un Fighting Fantasy con i controfiocchi nel 2025, dovrà quindi rispondere qualcun altro.
Nota sulle valutazioni: nella Longevità, chi scrive valuta quanto sia ben progettata l’opera in modo da essere giocata più volte, con nuovi percorsi e scenari e la possibilità di svolgere più partite senza esaurire filoni narrativi e ludici. La Difficoltà stima quanto sia complessa un’opera tra gioco e snodi: più il voto sale, più sarà complicato approdare alla fine. La Giocabilità è la summa di un sistema di gioco ben funzionante e non oppositivo verso il lettore e di una storia ben scritta e priva di errori. La “Chicca” accende una luce su un aspetto curioso, singolare o spesso simpatico. Il Totale, infine, non è una media delle tre votazioni precedenti (sebbene raramente vi si discosti troppo), ma un giudizio complessivo tarato anche sui gusti personali, sensibilità e fascinazioni del recensore.
Longevità 7:
Gli snodi alternativi non mancano, ma il percorso di per sé è un’autostrada dritta come un fuso che conduce dal punto di partenza al punto di arrivo.
Difficoltà 7.5:
Non sarà troppo difficile concludere l’avventura di per sé, ma il ricorso a un true path infame fa salire di mezzo punto il coefficiente.
Giocabilità 7:
Il sistema è quello rodato e un po’ liso di punteggi di Resistenza, Abilità e Fortuna, da confrontare con gli avversari per combattere e con dei massimali per superare le prove.
Chicca:
Ci sarebbero scene serie ben tratteggiate, passaggi scherzosi da applausi, dialoghi sfiziosi da mettere in evidenza, ma tutto viene completamente e ineluttabilmente eclissato dall’uomo-chiappa del paragrafo 420, personaggio semplicemente inspiegabile degno di uno Squilibrio Fantasy, aggravato dal nome italiano che gli viene attribuito di “Dueretano” per giustificare le due facce, una per natica naturalmente.
Totale 7:
L’impegno di Magazzini Salani a realizzare volumi ben fatti e di pregio editoriale meriterebbe la possibilità di immettere sul mercato italiano prodotti di qualità letteraria e ludica migliori di questo. Ma i vincoli stretti dell’edizione Scholastic ci portano a mettere in libreria l’ennesima chance sfumata di un rilancio in grande stile della solita, vecchia serie.
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