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Il bis fa “esplodere” le Fabled LandsLe potenzialità di una serie “open world” come Terre Leggendarie di Dave Morris e Jamie Thomson si scatenano, e vengono comprese per la prima volta in pieno dal lettore interattivo, in un momento molto preciso. Accade quando, muovendosi tra gli snodi come nella mappa di una vecchia avventura punta e clicca per pc, il testo rimanda sì a un altro paragrafo, ma di un altro libro: e il lettore è davvero in possesso di quell’altro volume e, seguendo le indicazioni, abbandona il primo per tuffarsi nel secondo, e proseguire, così, la sua avventura da tutt’altra parte.
È proprio in quel momento che, abbandonata la mera teoria del “liberamente esplorabile” per trasformarla in pratica, tutto quanto assume un senso: la mancanza di una vera e propria trama orizzontale, perché tali e tante sono le storie di ogni genere che si possono imboccare; la prosa essenziale, perché talmente tanto vasto è l’universo che si può, e un giorno futuro si potrà ulteriormente, attraversare; la blanda caratterizzazione del protagonista, che gli autori lasciano al lettore perché, in un’ambientazione così smisurata, le possibili vite a bivi che si possono imbastire sono virtualmente infinite.
Questa è la magia delle Fabled Lands, che si fa reale quando - ipotizzando che si proceda ad acquistare i libri in ordine di pubblicazione - per terra o per mare, su mezzi propri o in affitto, ci si muove verso Ovest, passando dal lacerato Regno di Sokara, scenario del volume d’esordio, agli infidi territori di Golnir, teatro del secondo capitolo intitolato “Città d’oro e di gloria” nell’edizione localizzata in Italia da Edizioni Librarsi.
Val giusto la pena ribadire che questo passaggio ordinale, dal primo a secondo, pur apparendo il più logico, è tutt’altro che obbligatorio: in base alle caratteristiche della serie, si potrebbe procedere in senso inverso, e più in generale cominciare da qualsiasi volume e ricollegarsi a qualsiasi altro tra quelli già pubblicati.
Cionondimeno, a prescindere dalla straordinaria libertà concessa da tali regole, è abbastanza palese, per il lettore esperto, come l’avventura contrassegnata dal numero 1 abbia comunque più i crismi di un battesimo del fuoco per chi si avvicina alla saga. Questa seconda scorribanda, invece, denota già qualche sfumatura in più di “in corso d’opera”. Sia perché, in generale, ha carattere molto più esplorativo che narrativo, sia perché propone sfide nascoste meglio o comunque richiedenti un livello di gioco già superiore a quello del novellino.
Non illuda il titolo: di biondo metallo ce ne sarà ben poco, tanto più nei posti in cui dicono essere presenti inesauribili filoni. L’oro del titolo sembra riferirsi, piuttosto, alla agricoltura che costituisce il fiore dall’occhiello dei territori qui presi in esame. Quanto alla gloria, starà al lettore procacciarsela, con le sue gesta da compiere in uno scenario che non pochi commentatori hanno definito da “Merry England”: la cara vecchia Inghilterra agrosilvopastorale, stereotipata dalla cultura anglosassone che adora il periodo tra la fine del Medio Evo e l’avvento della rivoluzione industriale.
Non potendo descrivere una trama unitaria del volume, non stona evidenziare i fili che annodano fin qui le vicende del citato reame di Sokara protagoniste dell’esordio. Non sono moltissimi i collegamenti, perché quell’arco narrativo si sviluppa di più, per la verità, muovendosi verso Nord, tra le pagine del quarto librogame, ma comunque ci sono. E in particolare, a seconda che nei primi passi si siano prese le parti del legittimo erede alla corona, Nergan Corin, oppure quelle dell’usurpatore, il generale Grieve Marlock, qui si potrà condurre per il proprio leader, quale che sia, una missione diplomatica tesa ad assicurargli l’appoggio dell’altezzosa nobiltà di Golnir. E ovviamente si dovrà tornare al “Regno lacerato”, libro 1, per scoprirne i munifici, ancorché parziali, effetti.
Ma imbattersi nel drappello diplomatico, che può rappresentare ognuna delle due fazioni a seconda di quanto si è combinato nel primo volume, è tutt’altro che scontato. E questo porta a disvelare la principale differenza nel “motore” della seconda avventura del duo Morris-Thomson. A zonzo per Golnir, infatti, gli incontri che si possono fare non sono mai gli stessi, perfino ripassando per la medesima strada. Molto più che a Sokara, è la sorte a farla da padrona, e muovendosi da una tappa all’altra nei più disparati modi, sono i dadi a stabilire in chi e che cosa ci si imbatte: cose e persone buone, neutre, cattive, cattivissime, o anche solo nulla.
Questo, com’è evidente, moltiplica la già sconfinata longevità del volume (come se ce ne fosse bisogno!) ma dall’altra parte impone il dominio del caso sulle scelte e assesta un ulteriore colpetto alla solidità della trama orizzontale. Poco male, in verità, dando per assodata l’autosufficienza della serie a prescindere dalle vicende di Corin e Marlock. Si può giocare anche infischiandosene di quella disputa politica e conducendo la propria vita da mercenario, con missioni da svolgere sia entro questo volume sia spostandosi in altri (se li si possiede); o anche solo da mercante, grazie al raffinato sistema di compravendita di merci tra porti, anche qui tutti di queste pagine oppure di territori e libri differenti.
Sempre allo scopo di garantire la compatibilità tra capitoli, rimane immutato, naturalmente, il sistema di gioco: le caratteristiche di Carisma, Combattimento, Magia, Santità, Esplorazione e Ladroneria, che qui avranno la possibilità di espandersi e salire di livello con facilità molto maggiore che all’inizio; la Stamina che stabilisce la vita e la morte del personaggio; il denaro, che può crescere fino a farsi milionari, e lo zaino, di contenuto sostanzialmente infinito come il fantasy vecchia scuola; le case da acquistare nelle varie città, dove lasciare equipaggiamento e quattrini in eccesso per recuperare realismo, e le gilde dove investire le proprie sostanze, nonché i templi dove pregare i più disparati dei per assicurarsi protezioni e punti di rinascita dalla morte.
Completano il motore di gioco le caselline da barrare, praticissimo “segnaposto” per sbloccare eventi differenti quando si ripassa per lo stesso posto e paragrafo. E poi, le parole chiave, che segnano missioni accettate e compiute e risultati positivi, negativi o neutri. Con un meccanismo semplice e geniale, se nell’opera introduttiva le keyword cominciavano tutte per A, nella successiva avranno tutte come iniziale la B, e così via nei libri seguenti, facendo intuire immediatamente al lettore qual è la porzione di mappa da raggiungere, e il rispettivo tomo da leggere, per far partire il prossimo pezzo dell’avventura.
Nella selvaggia Golnir, le città sono più piccole e meno brulicanti di Sokara. Le missioni urbane molto più rarefatte, mentre il “sale” del libro secondo è nei trasferimenti, nella varietà di personaggi, accadimenti e opportunità che si incontrano, sempre a seconda del volere dei dadi, quando ci si muove da una tappa all’altra. Non mancheranno villaggetti in cui si può sostanzialmente solo dormire, pregare e maneggiare quattrini, prima di andarsene.
Come già accaduto in Sokara, l’idea di un’esplorazione al cento per cento del libro e del suo contenuto appare peregrina. E quando, dopo aver toccato ogni possibile destinazione e svolto la maggior parte delle missioni, perfino quelle provenienti da altri volumi, si deciderà di averne abbastanza e di considerare arbitrariamente “chiusa” la partita, capiterà che, sfogliando a caso tra i 786 paragrafi, se ne troverà uno che sblocca una piega gustosa e non considerata nella propria run. Oppure, rimandati qui da un altro libro, si svelerà un passaggio fino a quel punto rimasto celato. E non si potrà che correre dietro a quello sviluppo, inseguendo un altro brandello di avventura.
Longevità 8:
La mappa di Golnir sembra di ridotte dimensioni eppure all’atto pratico, grazie anche alle varianti garantite dai dadi e dallo sblocco di porzioni dovute all’interazione con gli altri volumi, percorrerla in maniera esaustiva e soddisfacente garantirà moltissime ore di spasso.
Difficoltà 7.5:
Si opera meno da soldati e più da furfantelli, qui. I combattimenti ci sono e anche complicati, molto più semplice sarà evitarli e condurre imprese probe o infide ma che non richiedano di imbracciare le armi e lanciarsi à la guerre.
Giocabilità 8:
Con l’esperienza di un volume precedente a rodare il meccanismo interno di funzionamento del singolo capitolo, ci si stupirà, piuttosto, di quanto sia facile, intuitivo e divertente spostarsi da un libro all’altro facendo deflagrare il punto di forza di questo progetto.
Chicca:
Quando parlavano di serie esplorabile “in piena libertà” in qualsiasi ordine e direzione, gli autori facevano dannatamente sul serio. E lo dimostrano al paragrafo 570: imprigionati e trascinati sottoterra da quegli strani personaggi che corrispondono al nome di trau, si viene rimandati al paragrafo 50 di un altro librogioco, intitolato “Nel sottomondo”. Che volume è? Il DODICESIMO, ossia l’ultimo. Che non è ancora stato scritto. A livello contenutistico, è assolutamente imperdibile l’incontro per intero con i sette pazzi del 653: sia per omaggio all’unico Pazzo originale che non ha bisogno di presentazioni; sia perché, qualunque sarà tra le tante la loro “impresa assurda”, decretata anche qui dal lancio dei dadi, assistervi sarà assolutamente irresistibile. Anzi, conviene barare e godersele tutte!
Totale 8:
Un libro di contenuto meno gargantuesco del primo ma più snello e forse più godibile. Meno spiattellato e più da scoprire paragrafo per paragrafo. Agile eppure molto solido, tale da conferire tutt’altra credibilità e fascinazione alla serie.
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