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Tris in salsa Lovecraft La fortunata serie “The Necronomicon Gamebook” di Officina Meningi fa tris! Dopo “Dagon” e “Carcosa”, con “Kadath” torna l’universo orrorifico che vede abbinata la firma di Valentino Sergi alla griffe prestigiosa di Howard P. Lovecraft. Nuovo passo avanti in termini di ingombro (116 paragrafi, 10 euro: più ampio dei predecessori) e qualche novità intrigante anche nelle dinamiche di gioco.
La prima innovativa peculiarità è che questo libriccino si presenta in una duplice veste: da un lato può essere giocato da solo, come seguito dei primi due o come avventura a sé stante. Dall’altro lato, strizzando l’occhio a chi è fidelizzato, dei volumi precedenti può andare a costituire un’espansione, o meglio, un’estensione, allargando l’esperienza di gioco delle cosiddette “Terre del Sogno”, in cui il giocatore piomba quando cerca riposo per recuperare punti di Resistenza.
Proseguendo il rito di questa serie, Sergi fa da “sarto” per confezionare un vestito a bivi che riunisca stoffe provenienti da diversi racconti. Trattandosi di sogni, a guidare la vicenda, e dare il titolo, è “La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath” di Lovecraft, pubblicato postumo nel 1943. Ma non può mancare il gancio con “Il richiamo di Cthulhu”, dello stesso autore, del 1928, e un nuovo, spericolato collegamento con “Un cittadino di Carcosa”di Ambrose Bierce (1893).
Il protagonista resta senza nome, generico. La sua missione, più che essere indicata, la deve dedurre, e forse è meglio così. Attraverso una breve sezione introduttiva viene subito introdotto nel Reame dei Sogni, dove incontrerà misteriose creature, dovrà combattere, esplorare la misteriosa città di Ulthar, e poi su, su fino a Kadath. Ma con una variazione sul tema della storia originale di Lovecraft: la presenza della città di Carcosa e del suo indiscusso Re Giallo, che il nostro sarto “cuce” senza troppi patemi sulla trama iniziale.
Come finire, come svegliarsi dal sogno, starà alla volontà, alla psiche e agli incontri di questo sconosciuto. Che potrebbe uscire maciullato dall’incrocio a triangolo tra tra Re Giallo, Nyarlathotep e il buon vecchio polipone Cthulhu, e tutti i loro adepti e seguaci.
Il sistema di gioco è confermato dai precedenti, con punteggi classici di Vigore, Volontà e Resistenza. Non manca un indicatore di Follia, che si sposta tra vari status da Equilibrato a Delirio. Canonico pure l’uso dell’Equipaggiamento e delle Armi. Il combattimento avviene con regole familiari per gli esperti, sommando al proprio Vigore bonus armi e lancio dadi e confrontando il punteggio con quello del nemico, sottraendo, a chi viene colpito, la differenza come danno.
Un peccato è il capitolo “giustificativo” del regolamento che ammette che nell’avventura si potrà tornare indietro e imbattersi in personaggi e oggetti già incontrati, e si dovrà considerarli semplicemente non più esistenti qualora rispettivamente affrontati o raccolti. Una soluzione non raffinatissima: da “In cerca di fortuna” a oggi numerosi autori hanno ideato meccanismi più eleganti di questo per ovviare al problema dei doppioni. Su tutti le parole chiave, peraltro pure presenti nel libro, ma non usate in questo caso.
Va invece lodato lo sforzo progettuale nel garantire al lettore rigiocabilità attraverso diverse strade: sono due le vie, per terra e per mare, per approdare a Ulthar, e ben tre i percorsi per giungere a Carcosa. Non poco in un’opera di ridotte dimensioni che punta a un gioco snello.
Un ultimo cenno merita il comparto illustrativo. Riconoscibilissima e sempre di sicuro fascino la cover “all grey” di Alberto Dal Lago, che firma anche le tavole interne assieme a Francesco Biagini e Jacopo Schiavo. Tre stili molto diversi, tutti orrorifici, tutti gradevoli, che non sbattono per niente tra loro.
L’edizione, invece, non trova pace: vengono confermate cover e carta lucide come nel secondo volume (e a differenza del primo, che aveva copertina opaca e carta porosa), ma sulla costa il font viene inspiegabilmente troppo rimpicciolito, e il logo posizionato troppo in alto. La “fascetta” in basso spostata rispetto alle altre due. Peli nell’uovo, forse, ma la cura editoriale si vede anche da questi piccoli particolari. Poco male, comunque.
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Nota sulle valutazioni: nella “Longevità”, chi scrive dà un giudizio di quanto sia ben progettato il librogame in modo da essere giocato più volte, con nuovi percorsi e scenari e la possibilità di svolgere più partite senza esaurire filoni narrativi e ludici. La “Difficoltà” stima quanto sia complessa un’opera tra gioco e snodi: più il voto sale, più sarà complicato approdare alla fine. La “Giocabilità” è la summa di un sistema di gioco ben funzionante e non oppositivo verso il lettore e di una storia ben scritta e priva di errori. La “Chicca” accende una luce su uno o più aspetti con un punto di vista curioso, singolare o spesso simpatico. Il “Totale”, infine, non è una media delle tre votazioni precedenti (sebbene raramente vi si discosti troppo), ma un giudizio complessivo tarato anche sui gusti personali, sensibilità e fascinazioni del recensore.
Longevità 7:
Si nota lo sforzo per migliorare l’esperienza che, nei capitoli precedenti, a certe condizioni poteva concludersi addirittura in modo fulmineo.
Difficoltà 6.5:
La sfida è poco più che elementare, specialmente per giocatori esperti. A meno che non si incontri, peraltro al primo scontro, la tremenda Progenie di Dagon: roba da Sultano Kimah di Lupo Solitario, un combattimento quasi impossibile da vincere senza barare.
Giocabilità 7:
Il sistema “taglia e cuci” dell’autore è ormai rodato e chi prende un “Necronomicon Gamebook” sa esattamente che cosa aspettarsi.
Chicca:
Tutta la parte relativa ai gatti e alla loro faida con gli zoog è davvero notevole, come anche il tratto urbano, breve ma splendidamente descritto, della città portuale di Ulthar.
Totale 7:
Sono tre buoni librogame, i lovecraftiani (e altro) di Sergi, hanno venduto molto e quindi all’autore-editore deve andar bene così. Ma ci sarebbe margine, e potenzialità, per un volume più ampio, strutturato, sfidante e qualitativo, a parere di chi scrive.
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