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La waterloo del fantasy: UNIKA!

Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

Dunque continuiamo a guidare sul lastricato romano e a leggere traduzioni, evitando di compiere atti sacrileghi... bene cosi'...

Un' idea, un concetto, un' idea, finche' resta un' idea e' soltanto un' astrazione.
Se potessi mangiare un' idea avrei fatto la mia rivoluzione.

Yaztromo
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

Beh... non parli mica col fautore del fenomeno... Io scrivo libri che possano risvegliare l'interesse, provo a restituire il senso del meraviglioso con i giochi di parole come ti dissi sull'altro thread... se poi si preferiscono le sedicenni non ne ho colpa.
Provo anche con Velia a fondere nordico e med; da parte mia mi sento co' la coscienza più che a posto... A 'sto punto spero l'abbiano anche pubblico, critica ed editori -anche se visti gli andazzi nutro seri dubbi in merito.

Questo pensando a 'casa nostra'; pensando invece a chi di queste cose non gliene frega un tubo, c'è da dire che risvegliare l'antico nell'anglosassone è cosa molto più semplice... In Italia, anni e anni di cultura, di continuo progresso artistico e tecnico hanno prodotto un disincanto sulle cose folcloristiche che fa paura, tanto che se andiamo a rimestare nel fantastico, pigliamo sempre altrove...
Il cristianesimo ha soppiantato completamente la nostra tradizione pagana, per la quale si avverte un senso di colpa che non si percepisce pensando al nord -dove in effetti non si hanno fonti in merito ad orge propiziatorie, ad esempio.
Insomma: quella nordica ci pone in uno stato di colpevolezza minore, e riscopre zone dell'essere legate all'infanzia, come ben vediamo ad esempio ne La Storia Infinita.
Io sono uno dei pochi che tenta di rompere queste barriere, a parte Zeferina (sulla cui scrittura però preferisco non esprimermi).

Danilo Baldoni
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

Non facciamo confusione: assolutamente niente di personale!
Tanto piu' che ho scritto poco sopra che se Tolkien fosse stato Italiano non credo avrebbe avuto lo stesso impatto sul mondo.
Non cerchiamo alibi, pero'...

Un' idea, un concetto, un' idea, finche' resta un' idea e' soltanto un' astrazione.
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Yaztromo
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

E.A. Coockhob ha scritto:


Sono 500 anni che in Italia fanno dei libri scopiazzati dall'estero solo scritti un po' peggio.

Capisco la figura retorica dell'iperbole, ma qui viene male perché 500 anni fa era proprio il contrario: all'estero scopiazzavano quello che era stato scritto in Italia...

Ho vinto È un gioco da ragazzi E In cerca d'avventura al primo tentativo.

Charles Petrie-Smith
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

Va bene, togliamo pure lo sfogo personale... ripeto però gli stessi concetti: e cioè che Tolkien in Italia sarebbe poco convincente per una serie di motivi... rimanderei sempre a quel post che scrissi per Longo.
Un attimo che lo cerco, poi mi dici cosa ne pensi...
Eccolo:
Nel post precedente riflettevo un attimo su questo mancato senso dello stupore che l'italiano medio ha -dunque non parlo esattamente di noi, appasionati di Fantasy, ma in generale- e cercavo di stabilire delle motivazioni valide... L'argomento potrebbe essere coerente e non esattamente OT (perché garantisco per Mornon che la sua intelligenza valica il problema con delle pronte soluzioni :-).
Forse ci sono ricerche approfondite, in tal senso, ma non saprei quali e dove...
Una delle riflessioni che m'è capitato di fare, è che questo mancato stupore per la fantasia -e anche per il Fantasy, dunque- sia da ricercarsi nella stretta convivenza che l'Italiano esercita con il suo Passato: l'italiano non vive, ma convive con lo storico... La convivenza a volte (come per me e non solo) è tanto stretta che, potremmo dire, egli smarrisce il dato temporale: il prima o il dopo in città come Roma perdono del tutto significato...
Sai che tutto passa e che tutto è caduco, e che la contemporaneità non è altro che il frutto di eventi più o meno casuali che possono coincidere con l'edificazione d'una struttura colossale come il Colosseo, o il frenare di botto davanti a un semaforo rosso; quando acquisisci questo tipo di rapporto, o di familiarità, con lo storico, tutto t'è più o meno indifferente...
Anche l'arte che si respira in tutta Italia, non fa dell'italiano un soggetto dedito allo stupore o potenzialmente suscettibile allo stupore.

In termini narrativi, aldilà di quale sia il ruolo che ci vede investiti, questo si traduce con una fascinazione minore di fronte allo storico; mi chiedo, cioè, se un SdA possa mai essere concepito in Italia con quel fervore patriottico di cui Tolkien si fa carico, scegliendo popolazioni più o meno celte per identificarsi o stabilire un contatto con il proprio passato.
Per noi questo sarebbe impossibile: si sono succedute così tante etnie, in Italia, che risalire ad una cultura e ad un gusto comuni sarebbe impresa da folli.
Nondimeno, non avremmo poi quello stupore per l'antico che si subisce tanto bene fuori dell'Italia, e specie in America.

Credo che l'argomento centri eccome perché Mornon stabilisce un contatto col suo passato di tipo empirico, cioè basato sull'esperienza di un passato che si rende manifesta nell'uso del linguaggio: lo stupore di cui si fa carico il lettore, è uno stupore destinato a perdurare per via d'un idioma ad egli meno familiare.
Non so se vi sarebbe più stupore in una visione realistica e di ricostruzione degli ambienti, come forse vale per il romanzo storico, ma questo farebbe cadere la finzione di chi si dice 'contemporaneo' a qualcosa, e dunque eterogeneamente indifferente al quotidiano...
Invece vale la pena riflettere su ciò che Mornon ci dice anche senza volerlo: e cioè che la lingua italiana, è veramente la nostra bandiera e il nostro modo di interagire nella diversità di regioni, costumi e usanze...
Anzi: l'apporto che ogni regione, tradizione, dialetto ha offerto per la composizione d'un vocabolario del quale si smarriscono confini di spazio e di tempo, è tanto generoso che non si potrebbe nemmeno misurare.
In questo senso, Mornon stabilisce un forte contatto con la sua origine, poiché la Scuola Siciliana vien prima di Dante, e al contempo direi che affratelli gli italiani in un vero senso storico, l'unico possibile: l'intendersi comune attraverso un linguaggio che ci costringe a non essere 'ignoranti', cioè a non ignorarci vicendevolmente... perché ignorare l'etimologia di una parola regionale o addirittura locale, significherebbe togliere qualcosa che fa parte della nostra stessa ricchezza.

Credo cioè, in conclusione, che lo stupore per la lingua sia davvero l'unico possibile, l'unico in grado di stabilire un rapporto col lettore legato a quel senso del meraviglioso che ogni buon Fantasy deve assumere.

Danilo Baldoni
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

E.A. Coockhob ha scritto:


Fino al 1550 avevamo una letteratura d'intrattenimento all'avanguardia.
Nel 1600 c'era ancora qualche eccellenza a livello europeo tipo Gian Battista Marino e Gian Battista Basile [...]

Ah, appunto: vedo che tu stesso poi lo dici. Per altro io invece il XVI secolo lo metterei tra quelli in cui l'Italia è ancora pienamente al livello europeo, è dal secolo successivo che le cose cambiano, fino ad arrivare alla ben nota non esistenza del romanzo italiano.

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Charles Petrie-Smith
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

In altri termini, dacché nel contesto la prima parte è la più interessante, cosa voglio dire?
Che le etnie italiane -dacché non si può parlare dell'Italiano- non permettono un'identificazione comune, come può avvenire con una figura mitologica eticamente e sociologicamente plausibile come lo Hobbit.
Quando espongo Velia, infatti, non lo faccio con senso patriottico e retorico, ma rendendo il personaggio egualmente simpatico e antipatico per tutti gl'italiani, dal Piemonte alla Sicilia.
E quello che ha fatto Mornon, o che fa Forlani, è molto importante, è qualcosa nella quale mi riconosco: lavorare sul linguaggio, è l'unico modo, o il più convincente, per stabilire un punto di contatto eterogeneo col nostro passato, e restituire così quel senso del meraviglioso che ci manca, e che fiutiamo solo nel 'reperto storico', per intenderci...
Poi esistono invece milioni di libri che vanno direttamente sullo storico, come quelli di Manfredi... ma a me non interessano e non piacciono.

Danilo Baldoni
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

Charles Petrie-Smith ha scritto:

E.A. Coockhob ha scritto:


Fino al 1550 avevamo una letteratura d'intrattenimento all'avanguardia.
Nel 1600 c'era ancora qualche eccellenza a livello europeo tipo Gian Battista Marino e Gian Battista Basile [...]

Ah, appunto: vedo che tu stesso poi lo dici. Per altro io invece il XVI secolo lo metterei tra quelli in cui l'Italia è ancora pienamente al livello europeo, è dal secolo successivo che le cose cambiano, fino ad arrivare alla ben nota non esistenza del romanzo italiano.

Pensando a questo, è noto ormai che la scrittura e dunque la lingua che s'è imposta sulle altre sia l'inglese, e questo a partire dal '700... e non è un caso che questa egemonia sia da affiancarsi ad una nuova tipologia di lettore, cioè il medioborghese, e all'incalzante sviluppo dell'industria cittadina.
Il paese del bel canto non poteva reggere per una questione di interesse al bello: caduto quello, e cioè il Rinascimento, l'Italia ha subito la fascinazione e l'adeguamento perdendo di vista la propria tradizione del bello.
La dice lunga se pensiamo al Dickens e ai suoi personaggi innocenti in una Londra caotica: quello è il modello da seguire, ora, la scrittura linda, opulenta e sfarzosa, non può più reggere il confronto.
Però è il nostro passato, e se vogliamo stabilirvi un qualche contatto, è da lì che dobbiamo prendere, è questa fascinazione che dobbiamo recuperare... E questo non può certo avvenire con le sedicenni scrittrici.

Danilo Baldoni
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

Danilo Baldoni ha scritto:

Credo cioè, in conclusione, che lo stupore per la lingua sia davvero l'unico possibile, l'unico in grado di stabilire un rapporto col lettore legato a quel senso del meraviglioso che ogni buon Fantasy deve assumere.

Forse hai ragione, forse e' un alibi.
Il Signore degli Anelli e' stato pubblicato integralmente in Italia solo negli anni '70 - prima ci hanno provato ma nessuno se lo filava.
Adesso pero' in Italia si vende qualunque mainstream internazionale (anche fantasy) e non viceversa.
Lo stupore viene suscitato solo dai "maestri" d'oltralpe? (tradotti tra l'altro, perche' in lingua originale si vende pochissimo...)

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Yaztromo
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Re: La waterloo del fantasy: UNIKA!

Danilo Baldoni ha scritto:

Pensando a questo, è noto ormai che la scrittura e dunque la lingua che s'è imposta sulle altre sia l'inglese, e questo a partire dal '700...

Si e no.
In Francia e Germania producono, leggono ed esportano con successo i loro autori. Sono certo che la stessa cosa accade anche in altre nazioni, anche se ho minore conoscenza diretta.
Essere un autore italiano sembra quasi essere un demerito se non una penalita', in Italia.
Non pretendo di rovesciare il mondo, ma mi piacerebbe che ci fosse un po' piu' bilanciamento. Giusto un pochino.

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Yaztromo
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