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Re: I Corti 2015 - Legami di sangue
Aloona ha scritto:L'aggettivo "terreo", invece, mi meraviglio che non l'abbiate mai sentito, è piuttosto comune nei racconti di questo genere. Ripeto: un po' desueto, forse.
Ma infatti ci riferivamo al fatto che avrebbe dovuto essere associato a un oggetto concreto. Penso che tutti lo conoscano.
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Re: I Corti 2015 - Legami di sangue
Trafelato arrivo a votare anche io, dopo aver saltato un turno.
Partiamo da quello che mi è piaciuto: le doti narrative dell'autore. E' bravo, dipinge bene l'ambiente che ci circonda, sa caratterizzare il personaggio (evidentemente si ricorda bene i tempi dell'università) nella sua fragilità. Piera è una ragazza che studia, che non eccelle negli studi (mira a prendere 24 in un esame in cui è già stata bocciata) ma che ce la mette tutta per fare il suo dovere.
Non ha troppi grilli per la testa, non passa le nottate fuori a rimorchiare e ubriacarsi, vuole finire l'università soprattutto perché farcela la farebbe sentire più realizzata.
Non ha soldi e in qualche modo vuole affrancarsi da questa situazione, e le sue priorità nella vita sono tutt'altro che frivole: tuttavia non rinuncia a quel tocco di femminilità civettuola (quando ruba gli zoccoli con il tacco a Monia per esempio). E' fragile ma quando è messa con le spalle al muro sa essere forte e trovare le risorse per cavarsela.
Lo scrittore è un uomo ( e si nota anche da certi passaggi, come la concetrazione che dedica alle tette della coinquilina ) ma ha saputo caratterizzare benissimo una controparte femminile: riuscire a fare questo quando si dipinge un personaggio di fantasia è assai difficile (ma siamo sicuri poi che la fanciulla sia davvero fittizia? E se la narrazione si basasse su un racconto un po' noir, ovviamente estremizzato, fatto da qualche parente, per esempio la madre dell'autore?).
E allo stesso tempo lo ha reso umano e reale: per salvarsi la nostra deve sfruttare le sue capacità di ragazza giovane (e come tale resistente e con più fiato degli assassini attempati e panciuti che la inseguono), ma non può certo metterla sul piano della forza fisica né compiere salti mortali. Inoltre quando decide di fare trekking nei boschi con scarpe inadatte ci mette un tempo abnorme per fare un kilometro, come è naturale che sia.
Può sfruttare questa sorta di preveggenza che ha per riuscire a captare in anticipo da dove viene il pericolo, ma alla fine della fiera tale capacità non ci serve più di tanto. I personaggi non sono molti e quelli in "eccesso" muoiono dopo pochi paragrafi: capire dove si celano le insidie non è difficile anche senza doti extra-sensoriali.
Nonostante questo la tensione del racconto regge, e la narrazione prende molto, inchiodando il lettore alle pagine con la curiosità di sapere come riuscirà a salvarsi, o a non farlo, l'eroina.
Di contro il comparto interattivo è forse troppo ridotto: oltre ai 25 paragrafi privi di scelta citati in un precedente commento, ce ne sono altri in cui i bivi sono solo teorici (per esempio tutti quelli intorno alla croce della madre defunta: in realtà in questa fase la strada percorribile è una sola, e le altre opzioni ci conducono dritti alla tomba).
Questa rigidità strutturale è compensata in parte dalla possibilità di raggiungere l'epilogo migliore anche perdendosi oggetti o parole chiave per strada: si è deciso di rinunciare al true path ed è stata una scelta saggia, perché l'approccio selezionato non solo aumenta la rigiocabilità del corto garantendo molti percorsi diversificati, ma evita il sopraggiungere della noia e della frustrazione.
Tuttavia rimane una sensazione di fondo di limitatezza, amplificata anche dalla mancanza di varianti ludiche di contorno (nessun dado, no enigmi, un registro di gioco ridotto al minimo, utilizzo delle parole chiave come mero contorno, al punto che nessuna di queste è decisiva, e lo stesso si può dire per i vari oggetti che reperiamo, anche se l'impiego di alcuni di essi è davvero intelligente e non banale).
Insomma si è optato per un taglio semplice fino all'estremo, con tutte le conseguenza, positive e negative, che una scelta simile comporta.
Una cosa che mi ha infastidito è il finale alternativo: procurarsi un oggetto aggiuntivo (le chiavi della vespa) e avere la capacità di conquistare la fiducia della nostra conterranea Mary Ann (quindi riuscire a portare a termine un percorso più complesso e ostico) ci propone un bivio ulteriore in cui, se incappiamo in una scelta errata, perdiamo la possibilità di imporci a un passo dal traguardo migliore. Mi è sembrata una decisione un po' cattiva e forse gratuita, anche se ho apprezzato molto la presenza di un doppio epilogo.
Magari avrei invertito le evoluzioni, premiando quella che comporta un passaggio in più e abbinandola alla conclusione maggiormente soddisfacente.
Ottima la tematica horror che fa da sfondo alla storia, e ottimo anche l'utilizzo degli elementi nebbia e locanda: proprio quando avevo perso le speranze mi imbatto in un autore capace di sfruttarli in pieno, e soprattutto di cogliere al meglio le allusioni angoscianti e grandguignolesche (almeno a livello ideale), che uno spunto simile può offrire. Mi sarei aspettato molti più corti con un taglio simile nel concorso di quest'anno.
L'ambientazione anni '60 ci può stare (anche se ci sono alcune note stonate e ne cito un paio che mi vengono in mente al volo: Piera ha solo 1000 lire in tasca e non può fare colazione, ma 1000 lire nel '70 avevano un potere di acquisto pari a circa 20 euro odierni; possibile che nel 1966, prima del 68, fosse così facile e naturale per delle ragazze del sud andare a fare l'università fuori sede e vivere da sole?), e tutto sommato è gradevole, garantendo anche quel pizzico di mistero aggiuntivo legato a un'epoca in cui il mondo era molto meno globalizzato di oggi, e quindi anche una gita in un bosco non lontano da Firenze poteva prendere connotati oscuri. Citazione forte, sebbene indiretta, rispetto ai delitti del Mostro, che proprio negli anni del racconto iniziava la sua escalation di violenza: la tematica del posto quieto e ameno che ha molto da nascondere, e sotto le cui pieghe di apparente tranquillità cela l'orrore, è resa davvero bene e strizza l'occhio ad alcuni registi nostrani che hanno reso grande il genere (Bava, Fulci, Argento e anche l'Avati de La casa dalle finestre che ridono).
Credo che Legami di Sangue sia un corto veramente valido a livello narrativo, di atmosfera e ambientazione, che paga un po' dazio dal punto di vista ludico. Se tale parametro fosse stato un minimo più curato, e di conseguenza lo scritto fosse risultato maggiormente articolato e arioso sarebbe stato un autentico capolavoro, e mi sarei trovato davvero in imbarazzo a non assegnargli la prima piazza nella mia personale classifica.
Così com'è rimane un'opera encomiabile e secondo me merita il podio: non però la vittoria finale.
Narrazione: 9
Divertimento: 7
Giocabilità: 6
Voto Globale: 7,5
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Re: I Corti 2015 - Legami di sangue
Charles Petrie-Smith ha scritto:
Piera è un nome bruttissimo, e proprio per questo è perfetto.
Sono abbastanza sicuro che hai insultato la mamma o la moglie dell'autore (o tutt'e due, a giudicare dal tema freudiano e hitchcockiano del racconto).
Aloona, non ti è piaciuto Mucchio d'ossa? :-(
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Re: I Corti 2015 - Legami di sangue
EGO ha scritto:Charles Petrie-Smith ha scritto:
Piera è un nome bruttissimo, e proprio per questo è perfetto.
Sono abbastanza sicuro che hai insultato la mamma o la moglie dell'autore (o tutt'e due, a giudicare dal tema freudiano e hitchcockiano del racconto).
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Re: I Corti 2015 - Legami di sangue
Prodo ha scritto:(ma siamo sicuri poi che la fanciulla sia davvero fittizia? E se la narrazione si basasse su un racconto un po' noir, ovviamente estremizzato, fatto da qualche parente, per esempio la madre dell'autore?).
EGO ha scritto:Sono abbastanza sicuro che hai insultato la mamma o la moglie dell'autore (o tutt'e due, a giudicare dal tema freudiano e hitchcockiano del racconto).
Io ed Ego abbiamo avuto la stessa idea...
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Re: I Corti 2015 - Legami di sangue
Prodo ha scritto:possibile che nel 1966, prima del 68, fosse così facile e naturale per delle ragazze del sud andare a fare l'università fuori sede e vivere da sole?
Più volte sollevata questa obiezione. Io credo di sì. Facile no, ma ragazze particolarmente volitive e caparbie lo facevano e nel numero di qualche centinaio non di unità.
In genere tuttavia si sceglieva/poteva andare come ragazza alla pari o in un ospizio religioso dove le monache ti "gestivano" e dovevi tornare a casa alle 7, senza mai poter ricevere estranei... o cose così.
CMQ la ragazza intraprendente andava a fare la au pair / bambinaia per una famiglia di Roma e passava la paura... Anzi, si emancipavano mentalmente ancora più di prima.
"Un velo nero ti impedisce di vedere altro. La tua vita termina qui: nel campo di battaglia, con la mitica Blood Sword tra le mani, felice per la sconfitta dei Veri Maghi." Adriano, Blood Sword PBM http://www.caponatameccanica.com
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