Sono partito da un'idea che mi era balzata in testa non appena avevo letto le prime righe del Corto: il linguaggio multiplo, la mescolanza di tutti i linguaggi. Un progetto utopistico che aveva portato a ipotizzare la realizzazione di un linguaggio universale, l'esperanto, composto da termini mutuati da tutti gli idiomi del mondo. Ma che affonda le radici in epoche molto più antiche. Mi è venuta in mente Fra Dulcino e l'atteggiamento di alcune eresie tardo-medievali che proponevano linguaggi composti da termini recuperati dalle più svariate lingue e da molteplici dialetti. Lo cita anche Umberto Eco nel Nome della Rosa, quando fa parlare Salvatore così.
L'idea di partenza è stata questa, e ha trovato conferma nell'individuazione di parole presenti in tante lingue e dialetti: italiano, inglese, francese, tedesco, latino solo per citare quelli che riesco a riconoscere più facilmente. Non mi avventuro nell'elencazione dei casi specifici, perché non voglio scrivere un pallosissimo trattato, ma ci sono molte evidenze in questo senso.
Già il titolo comunque spinge in questa direzione: Osseans Wanderr secondo me è il vagabondo degli oceani (o dell'oceano): Ulisse appunto, come già detto da Ggigassi.
Fin dall'introduzione il rimando ai venti è costante, il che fa pensare che Ulisse stia parlando con Eolo, come accade davvero nell'Odissea, quando incrocia il signore dei venti e gli racconta parte delle sue avventure. Eolo lo interroga, lui risponde, e su questa struttura domanda-risposta è costruito il racconto. Arrivare all'epilogo vincente quindi sarà possibile azzeccando la giusta sequenza di risposte e risolvendo un enigma.
Analizzando il Corto si scopre inoltre che ci sono diverse possibilità di completarlo, come se l'autore avesse previsto più percorsi, in uno sforzo di ciclicità che ricorda certe dottrine filosofiche (la più famosa, i corsi ricorsi storici di Vico, almeno qui da noi causa conterraneità, ma sulla ciclicità della storia hanno speculato filosofi ed eruditi dalla notte dei tempi. Lo stesso Cicerone ci insegnava che la storia è magistra vitae).
Senza esaminare ogni percorso racconto quello che ho prescelto io: di fronte alla prima domanda (che ho interpretato come qual'è il tuo nome) ho risposto omen, sia per il rimando al presagio, al vaticinio, che mi sembra estremamente greco-classico come concetto, sia perché al contrario omen diventa nemo, nessuno in latino (e se siamo Ulisse siamo anche nessuno, come ci insegna la vicenda con Polifemo).
La nostra risposta suscita lo sdegno dell'interlocutore (Eolo presumibilmente come accennato) che si accorge che quello non è il nostro vero nome. Sembra conoscere i nostri trascorsi con Polifemo e ci incita a proseguire la narrazione. Ho scelto di raccontare di Circe (episodio che cronologicamente è posizionato poco dopo Polifemo, quindi coerente con la narrazione e la navigazione, anche se Ulisse incrocia Eolo PRIMA di arrivare da Circe e questo crea una discrasia). Sia come sia, il nostro racconto ricco di digressioni sul lungo periodo di ozi e sesso trascorso al Circeo spazientisce il nostro interlocutore, che vuole un resoconto più conciso (ma brevi ecfrasi deltue heaventyre). Ci chiede allora quale sia il nostro più sincero desiderio, accordandoci in cambio di una onesta confessione il perdono. Questo bivio mi ha messo in difficoltà: cosa brama davvero Ulisse? Non la donnalp, Penelope, che abbandona sistematicamente al primo pretesto in più occasioni, non Itaca da cui, come ci racconta la tradizione classica, fugge anche dopo essere tornato da Troia fra mille peripezie, non Venteolo, che credo sia Eolo stesso (un tentativo di arruffianarcelo?), non eccleros, che mi appare come una commistione tra l'eros, i piaceri della carne, e l'ecclesia, ovvero in greco antico l'assemblea. Ulisse indulge nei piaceri della carne, ma non è il suo obiettivo principale e non ne è schiavo, e di certo non è uno che prende decisioni in gruppo o si affida alla collegialità per esternare il suo ingegno.
La risposta corretta qui secondo me manca: Ulisse anela una sola cosa, la conoscenza. Questa è la sua grandezza e la sua rovina. Tra le opzioni disponibili le uniche percorribili sono la prima e la quarta. Solo una però ci conduce verso l'epilogo vincente, se ammettiamo con Eolo che ci manca Penelope. Il dio sembra essere colpito dalla nostra confessione e riassume la situazione di pericolo in cui si trova la moglie, insidiata dai proci in nostra assenza. Sembra che la nostra onestà lo bendisponga verso il nostro ritorno, ma vuole un'ulteriore prova di schiettezza: dobbiamo confessargli il nostro peccato. Siamo arrivati qui dopo aver parlato un anno di lussuria presso Circe, mi sembra quindi consequenziale che il peccato a cui allude il signore dei venti sia quello erotico, e non la presunzione legata all'abuso del nostro ingegno che pure caratterizza Odisseo in tante occasioni. Ammettiamo quindi di aver esagerato in Eroiticismo.
Eolo allora decide di aiutarci: riassume che a casa ci attende una situazione difficile, ci incita a essere forti, e ci dice persino che Animo Tiger Roma (letto al contrario Amor regit omina, l'amore decide/governa il destino) e infine ci offre aiuto. Quale aiuto possiamo avere dal dio dei venti? La brezza di Sobriezza, non certo la salvezza che forse neppure Zeus ci può concedere.
Arriviamo quindi all'enigma finale, la cui risoluzione è sorpendentemente facile. Ognuna delle parti mancanti rimanda a venti o al vento. Chiaro indizio che ci instrada al paragrafo venti, dove terminiamo l'avventura. Ulisse riprende il largo spinto dai venti di Eolo e approda su una sponda che non è ancora quella di Itaca. La cosa curiosa è che il paragrafo non si conclude, rimane aperto e l'ultima parola si potrebbe riallacciare idealmente alla prima dell'introduzione (che infatti non è maiuscola) in un'ulteriore conferma di quella circolarità filosofica degli eventi di cui dicevamo prima.
Ho fatto una piccola ricerca in tal senso e ho scoperto che esiste un libro di Joyce, che non ho mai letto, dal titolo Finnegan Wake, che ha proprio questa stessa caratteristica, aggancia la fine con l'inizio a sottointendere il concetto di corsi e ricorsi. Ho colto durante la mia analisi diversi rimandi all'Irlanda e a Dublino, il che mi convince che ci sia molto di questo libro in questo corto, elementi che, causa la mia non conoscenza, mi sono sfuggiti.
Sono altresì convinto che il mio percorso e le mie interpretazioni sono tra le tante possibili. Credo che il corto possa essere letto in molti modi diversi, alcuni dei quali probabilmente ignoti allo stesso autore, e che non ne esistano di più corretti e di meno corretti.
Detto questo arrivo alle mie conclusioni. OW è uno sfoggio di erudizione meraviglioso, e sottointende un lavoro di base e una conoscenza pazzeschi. Credo che, un progetto del genere, per la quantità di impegno che prevede, sia realizzabile solo nell'ambito di un'opera breve come questa, a meno di non decidere di passarci anni e anni sopra. Mi colpisce tantissimo constatare quanta cultura e quanta profondità possa racchiudere un'opera interattiva di base brevissima come questa, e mi riempie di gioia rendermi conto, una volta di più, quanto la letteratura che amiamo possa essere declinata in mille modi diversi, e racchiudere pure dentro ai lavori in apparenza più snelli prospettive profondissime.
Quindi complimenti autore non-misterioso, ancora una volta hai dato prova di tutta la tua classe e delle tue capacità. Anche se, come era già accaduto in precedenza, la tua opera verrà apprezzata solo da pochi.
Detto questo ed elargiti i giusti encomi, non mi scosto dalla mia decisione iniziale. Questo racconto non lo voto. E non lo faccio per due motivi. Si tratta di qualcosa di profondamente diverso da tutti gli altri cortissimi. L'interattività è quasi un pretesto, non rispetta realmente i parametri di brevità (moltissimi dei termini riportati sono allusioni di concetti molto più ampi e se l'ideatore avesse scritto l'opera in Italiano sarebbe stata molto più lunga e non sarebbe mai rientrata nei termini del bando) e ha un format, proprio per questo approccio, che ha poco a che fare con un vero cortissimo. Quest'anno, per scelta e per esperimento, valutiamo i cortissimi, e non credo abbia senso mettere nel calderone e votare un'opera che del cortissimo non ha nulla.
Inoltre è decisamente fuori concorso: non è scritta in italiano, come ha fatto notare Federico. Il linguaggio usato è qualcosa di molto diverso e come tale non rispetta i parametri del bando.
Ti stimo e ti rispetto oggi ancor più di ieri autore e ammiro il tuo genio: sei l'unico in grado, da anni, di farmi perdere ore e ore dietro i suoi corti. Perciò, ne sono certo, non ti arrabbierai se per questa volta non ti valuterò.
P.S.
Ho colto nel testo una citazione ad Autolico: non so se hai letto i due libri di Autolico o meno negli ultimi mesi, ma in ogni caso mi ha fatto piacere trovarla, ti ringrazio anche per questo
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