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Anno 1 n°1 - Intervista a Giulio Lughi - SETTEMBRE 2006

«NEL WEB IL FUTURO DEI LIBROGAME»

Il prof. svela i segreti della storia dei libri gioco e dice la sua sulle prospettive per i prossimi anni

di Alberto Orsini (Dragan10)

Non c’è un solo appassionato di librogame E.L. che non sappia rispondere alla domanda: «Chi è Giulio Lughi?». La risposta è: «Il direttore della collana dei libri gioco, naturalmente». In effetti, la dicitura “Collana diretta da Giulio Lughi” era la seconda cosa che si leggeva una volta aperto il volume appena acquistato, e ancora oggi lo si continua a leggere negli ultimi librogame rimasti in catalogo, quelli di Lupo Solitario. In verità Lughi, anzi, il professor Lughi, è anche molto di più. Docente dal 1999 di Editoria multimediale e Cultura dei nuovi media presso l’Università degli Studi di Torino, vanta anche più di due dozzine di pubblicazioni.
In ogni caso, per gli amanti doc dei libri gioco Lughi è soprattutto quello che dal 1985 in poi ha curato personalmente la redazione di tutti i 186 volumi italiani di tutte le 34 serie della collana, con un occhio di riguardo all’uso di una lingua giovane, svuotata dagli orpelli eppure espressiva, adatta al pubblico che per i librogame andava (e va ancora) matto. Ed è proprio in questa veste che il prof. si è prestato volentieri ad un’intervista che spazia sul passato, il presente ed il futuro di questa forma di editoria oggi messa un po’ in ombra dai più appariscenti (ma meno romantici) videogiochi, eppure ancora nel cuore di migliaia di lettori.
Quanti librogame ha letto e quanti ne possiede?
«Curando l’editing dell’intera collana, li ho necessariamente dovuti leggere tutti. All’inizio avevo nella mia libreria la collezione completa, ma da allora ho affrontato tre traslochi e poi i miei nipoti si sono impadroniti di alcuni volumi. Oggi mi sono rimasti quelli a cui sono più affezionato: tra gli altri, i primi Lupo Solitario e quelli in cui si giocava in due, i Faccia a Faccia».
Ha scritto numerose pubblicazioni, ma ha mai scritto un librogame?
«No. Ci avevo pensato, ma non a scrivere un librogame in sé quanto piuttosto una sua evoluzione, sul modello di quanto poi messo in atto dal sito projectaon.org. Una forma tipica del web, insomma, che apre scenari di conservazione di questi “beni culturali”; lo può scrivere tra virgolette, ma in fondo anche senza».
Quando e come ha scoperto i librogame e come è diventato invece il direttore della collana?
«Le due cose andarono di pari passo. Collaboravo già con la E.L. nel settore della narrativa per bambini. Già tra il 1982 e il 1983 Stefania Fabbri aveva pubblicato qualcosa di simile, ma si trattava di un solo libro. I libri gioco li conoscemmo un paio d’anni più tardi a Francoforte; la E.L. aveva già un certo peso e ricevette numerose offerte di traduzione di serie come Lupo Solitario. L’operazione fu varata valutando soprattutto due fattori, in primis il fatto di affrontare le tematiche fantasy, un settore che all’epoca non esisteva eccetto Tolkien; in secundis, il fattore di novità rappresentata dall’interattività di quelle pubblicazioni. Io già svolgevo attività di ricerca su quelli che poi diventarono gli ipertesti, dunque spinsi molto per investire in quelle inedite pubblicazioni. E i librogame ebbero subito un forte impatto. Conservo ancora rassegne stampa degli anni ’85-’86, la novità aveva suscitato estremo interesse. I librogame ebbero il merito di far entrare per la prima volta i ragazzini in libreria ad acquistare da soli».
È sua l’idea delle fascette di colori diversi per distinguere le serie?
«C’era la volontà di proporre un’offerta costante ma diversificata; volevamo insomma serie separate, ma riconoscibili come “sorelle”. Su queste indicazioni, la grafica è stata realizzata dello studio Tassinari-Vetta».
Come venivano scelte le serie da importare e pubblicare in Italia, tra le tante?
«All’inizio in effetti le abbiamo prese quasi tutte. Dopo un po’ ci rendemmo conto invece di alcune tendenze, ad esempio che il genere “rosa” di Realtà e Fantasia non andava; piacevano abbastanza i gialli pedagogici, in cui contava l’osservazione e l’attenzione, il mainstream però era comunque costituito dall’avventura non necessariamente fantasy, anche se con una robusta vena di quel genere. Anche le avventure del prete Gianni nella serie Misteri d’Oriente, e quelle del mondo classico della serie Grecia Antica riscossero molte preferenze».
Qual è la difficoltà maggiore nel tradurre un libro gioco?
«Personalmente sono intervenuto pesantemente sul piano linguistico, con l’obiettivo di semplificare il linguaggio senza togliere però gli elementi emotivi della versione originale. La difficoltà redazionale nel tradurre era quella di evitare fraintendimenti e buchi nel sistema di gioco, e quest’aspetto è stato curato al massimo: forse ci sono solo un paio di sviste in tutta la collana, non abbiamo mai ricevuto proteste su questo. Sul piano della lingua, come detto, ho cercato di far fuori l’italiano orpelloso spesso usato in quegli anni perfino nella narrativa per ragazzi».
Perché alcuni nomi delle serie e dei personaggi sono stati tradotti in maniera totalmente differente?
«Fu una mera questione di fonìa musicale. Ad esempio, in Lupo Solitario, “Kai” non suonava bene, così decisi di cambiarlo in “Ramas”. Si trattava in fondo di mio gusto personale, ma feci un sacco di prove leggendo ad alta voce e cambiando dove serviva con alternative consone ai lettori italiani eppure coerenti con l’opera originale».
L’assenza di opere di autori italiani è una casualità o fu frutto di una scelta precisa?
«Qualche proposta italiana ci fu, ma non era all’altezza del resto del materiale che avevamo. Oggi comincia ad esserci una certa tradizione nella letteratura di genere, ma all’epoca certamente mancava. E poi, avere un testo in italiano avrebbe significato non poterci mettere le mani e lasciare il taglio così come voluto dall’autore. Invece puntavo molto all’impatto semiotico dei librogame, come ho spiegato nella risposta precedente. Quindi posso dire che escludere gli italiani fu una scelta precisa, anche se non a priori».
Quante copie dei librogame si stampavano e vendevano in Italia?
«Non conosco i dati di vendita nel dettaglio, ma ricordo che per le prime uscite ci fu una tiratura di 20 mila copie per ogni volume di ciascuna collana. Con il tempo le uscite poi sono diminuite, fino a concludersi del tutto dopo il 1992».
Quando e secondo lei per quale motivo è andato in crisi il settore dei librogame? Perché soprattutto in Italia?
«Innanzitutto non credo che all’estero il comparto vada molto meglio rispetto allo scenario italiano. La crisi è stata generale e si può spiegare principalmente con lo sviluppo dei videogame. Negli anni del boom i libri gioco appagavano un desiderio di interattività insoddisfatto dai videogiochi, che erano basati o sulla reattività pura, come gli sparatutto, oppure erano interattivi ma testuali e dai contenuti molto banali. Una volta che i videogame assunsero un carattere cinematografico e televisivo, il primo della serie fu Prince of  Persia, ci fu un passaggio e i librogame furono pian piano abbandonati».
Piuttosto che cessare in toto la pubblicazione delle serie, a posteriori avrebbe optato in alternativa per una riduzione della collana abbinata a una maggiore promozione? Oppure resta convinto che sia stato giusto operare un taglio drastico?
«Premetto che sulle scelte commerciali non sono mai intervenuto personalmente. Dall’azienda fu fatta una valutazione di quanto restava del mercato, la caduta era stata sostanziosa e si optò per un taglio netto. Per conto mio è stata la scelta, se non migliore, meno peggiore. Il fenomeno si era esaurito e mancavano inoltre nuovi prodotti che potessero almeno tentare di rompere la crosta».
Perché è stato tenuto in vita proprio Lupo Solitario?
«Quella di Dever era la serie che teneva di più, per due ragioni. Innanzitutto era un prodotto giusto: il protagonista era azzeccatissimo, una figura in formazione ma che si prende le prime responsabilità, l’ideale per il pubblico a cui ci rivolgevamo. Anche la grafica era ottima, semplice ma d’impatto, e sostanzialmente molto colta. La seconda ragione è il diritto di primogenitura: Lupo Solitario era visto da tutti come... il capitano della squadra! Girando l’Italia, per dire, spesso ho visto associazioni culturali intitolate ai Ramas. Insomma era pronosticabile che il prodotto tenesse è infatti così è stato, tanto da essere ancora in catalogo».
Perché è stata cambiata la veste grafica, peraltro dall'ultimo numero?
«Si è trattato di un estremo tentativo di ridare fiato alla collana, rinfrescandone l’aspetto».
I diritti per l’Italia delle vecchie serie sono ancora di proprietà della E.L.? E quelli di Lupo Solitario?
«Sì, la casa editrice detiene i diritti di tutte le 34 serie».
Quanto costerebbe come investimento la pubblicazione di nuovi numeri? Pensa che sarebbe un’operazione logica sul piano commerciale?
«Non ho idea dei costi. Ho sondato il terreno qualche anno fa con la casa editrice, quando mi sono accorto che sul web cominciava a muoversi qualcosa, suggerendo alla E.L. una sorta di “operazione vintage” anche impostata diversamente rispetto al passato. Però li ho visti poco convinti, e anch’io non sono molto lontano dal pensare che sia Internet il luogo più adatto per un’operazione di questo tipo».
Avete mai pensato di contattare Joe Dever per far completare Lupo Solitario sotto il marchio E.L.?
«Sinceramente no. Si sarebbe trattato di un’operazione “di sartoria”, un investimento grosso ma forzato. La fine dei librogame l’abbiamo invece presa serenamente, come la conclusione di un ciclo che anzi rispetto alle previsioni dell’inizio ha avuto negli anni uno sviluppo impensabile ed imprevedibile».
La casa editrice ha ancora in magazzino librogame delle vecchie serie rimasti invenduti?
«Se si eccettuano le copie d’archivio, no. L’intera produzione è stata smaltita. Del resto, in giro in Italia di librogame ce ne sono tanti. Un paio d’anni fa li vidi in vetrina il giorno dell’inaugurazione di una nuova libreria a Torino, qualche giorno dopo erano finiti».
Come giudica la compravendita di librogame su ebay? Sa che i prezzi a volte superano anche i 100 euro per singolo volume?
«Non lo sapevo e la cosa mi sorprende. Fa anche un po’ piacere, è una conferma dell’aver confezionato un prodotto che ha dato un contributo forte al processo di svecchiamento nell’ambito della letteratura giovanile. Oggi si distingue tra prima e dopo i librogame, e la cosa non può che far piacere».
Secondo lei i librogame hanno un futuro? Cartaceo o sul web?
«Credo di sì, anche se non so dire in quale forma. Chiaramente il mercato dei videogiochi è di un’altra dimensione, ma continuandomi ad occupare dell’evoluzione della narratività posso affermare tranquillamente che il libro gioco anche nei prossimi anni potrà continuare a costituire una delle componenti di un’esperienza di narrativa avanzata».
L’intervista è finita. Si iscriverà alla nostra community?
«Mi farebbe piacere! Ho grossi limiti di tempo disponibile ma in discussioni sulle tematiche dei librogame sarebbe un piacere fare da interlocutore. Appena posso farò un giro sul web dalle vostre parti».
(29 settembre 2006)

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