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Anno 1 n°2 - Intervista ad Andrea Angiolino - OTTOBRE 2006

 

CREATORE DI LIBRI-GIOCO

Un viaggio nell'universo del "papà" di innumerevoli giochi di ruolo e libri interattivi


di Francesco Di Lazzaro (Prodocevano)

Andrea Angiolino è un nome che non può passare inosservato agli occhi di chiunque abbia seguito, negli anni, lo sviluppo dei libri-gioco e dei giochi di ruolo in Italia. Oltre ad essere un valente scrittore infatti, Andrea ha all'attivo una produzione ludica di primissimo piano, comprendente tra l'altro uno dei role-game più fantasiosi e innovativi mai scritti, "I Cavalieri del Tempio". Ma l'inesauribile Angiolino nel corso della sua carriera ha prodotto molto altro, spaziando nei più svariati campi, dall'enigmistica ai giochi da tavolo, dalle consulenze alle conferenze, passando per corsi di formazione e collaborazioni nell'ambito della pubblicità. In tutte le sue attività però non ha mai smesso di strizzare l'occhio al gioco, inteso nel senso più lato del termine: e non è un caso che lui stesso ami definirsi un autore ed esperto di giochi a tutto tondo. In un epoca in cui trionfa la specializzazione Andrea Angiolino non rinuncia alla tendenza che, fin da ragazzo, lo ha portato ad abbracciare il mondo ludico a 360 gradi, provando e facendosi affascinare dai prodotti più svariati. E di fronte a una tale passione non si può fare a meno di constatare, scorrendo il nutritissimo elenco dei giochi da lui ideati, come il fare di una passione un mestiere, quando si ha davvero talento, sia possibile. E il talento ad Andrea non manca, ma è soprattutto la poliedricità a caratterizzarlo, come risulta evidente dall'intervista che segue.

 

Chi è Andrea Angiolino?

Classe 1966, cresciuto a giochi di carte, giochi da tavolo, giochi con carta e matita... Nel 1980 scopre i wargame, pochi mesi dopo i giochi di ruolo. Nel settembre 1982 inizia una rubrica sui giochi di ruolo sul mensile Pergioco, a quattro mani con Gregory Alegi: da allora è giornalista ludico, ma anche autore di giochi di ogni tipo. Da solo ma anche con la Cooperativa Un Sacco Alternativa, o C.UnS.A., e con vari altri amici e coautori.

Quando hai iniziato ad interessarti di libri-gioco?

Doveva essere il 1982, stando alle date di pubblicazione... Mi è capitata per le mani "Avventure sull'isola" di Edward Packard, il primo libro-gioco apparso in italiano. Lo aveva dato alle stampe la Nuove Edizioni Romane. Una cosa per bambini, semplici scelte da un paragrafo all'altro riguardanti un ragazzino naufragato in un'isola forse deserta, ma il meccanismo mi ha colpito molto. Pochissimi anni dopo è arrivato "Lo stregone della montagna infuocata", di Steve Jackson e Ian Livingstone (ed. Supernova): un titolo coraggioso ma rimasto unico e senza seguiti, forse anche a causa di funesti errori di stampa... ma era un libro-gioco ricco e intrigante. E poi è stata la volta di Lupo Solitario. Iniziavano così i libri-gioco più "adulti", con le loro schede personaggio e i loro elementi da gioco di ruolo: me li hanno fatti conoscere proprio i giocatori dei miei gruppi di "Dungeons & Dragons", ed è stata una scoperta davvero interessante.

Qual è stato il primo libro-gioco che hai scritto?

Nel 1987 ho pubblicato "In cerca di fortuna" (ed. Ripostes 1987), un classico fantasy che risentiva appunto molto del D&D che giocavo allora, ma anche delle avventure testuali per computer. La molla è venuta proprio da un libro della E.Elle, nella serie dedicata ad Advanced Dungeons & Dragons. C'era un castello con due torri: sono entrato in una delle due e ho toccato delle statue, che con mio stupore (intendo mio come personaggio protagonista della storia) si sono animate. Ho dovuto combattere, poi sono salito fino in cima e non ho trovato nulla. Sono sceso nel cortile, e lì ho avuto di nuovo la scelta tra le due torri in cui entrare. Sono entrato nella stessa di prima e di nuovo, con mio stupore di personaggio (ma non di lettore) ho ritoccato le stesse statue che avevo distrutto prima, che si sono di nuovo animate per attaccarmi... Qualcosa non funzionava: il libro non doveva forse darmi la scelta di rientrare nella stessa torre, o meglio ancora una volta rientrato non doveva dirmi che toccavo di nuovo le statue, anche ammesso che come per magia si fossero riformate: se mai doveva farmi scegliere se toccarle o meno. Abituato alla libertà ma anche alla coerenza delle avventure dei giochi di ruolo, mi sono sentito tradito dall'essere costretto a fare una cosa che sapevo sbagliatissima come toccare quelle statue maledette: tanto più in un libro che proprio al più famoso dei giochi di ruolo si ispirava. Ho pensato che si poteva fare di meglio ed ecco quindi "In cerca di fortuna", un libro-gioco in cui si può (e anzi si deve) tornare più volte negli stessi posti. Ma come non ci si bagna due volte nello stesso fiume (Eraclito docet n.d.r.), così ogni visita in un luogo può essere diversa a seconda delle cose avvenute prima, degli oggetti che si ha con sé e così via. Il tutto era ottenuto soprattutto facendo segnare al lettore delle lettere all'accadere di determinati eventi: alcuni rimandi erano subordinati al fatto che le avesse o meno sulla propria scheda. Ma per evitare che qualcuno facesse il furbetto concentrandosi sul meccanismo anziché sull'immedesimazione, a volte le lettere venivano segnate in punti diversi della storia rispetto ai fatti cui si riferivano, a volte si segnavano lettere inutili, a volte si chiedevano lettere inesistenti. Alcune lettere avevano effetti positivi, altre negativi. C'era perfino un finale irraggiungibile, messo lì al solo scopo di spiazzare chi "bara" sbirciando i paragrafi che non dovrebbe. Il lettore normale, identificatato nel protagonista e preso dalla vicenda, sceglieva i rimandi in base alla storia e non se ne accorgeva: ma chi andava a caccia di lettere da segnare anziché di draghi e scheletri animati ne era senza dubbio depistato.

In questo mi ha aiutato molto anche l'esperienza dei giochi per computer. Avevo giocato da poco "Avventura nel castello", la mitica e pluripremiata avventura testuale di Enrico Colombini e Chiara Tovena che ha introdotto questo filone in Italia e che tra l'altro funzionava assai meglio, nella logica e nella coerenza, di prodotti industriali provenienti dall'estero come "Lo Hobbit". Anche lì ci si aggirava in luoghi abitati da varie creature, si trovavano oggetti, si compivano azioni... "In cerca di fortuna" ne era un po' il parente cartaceo, meno interattivo ma un po' più narrativo. In effetti libri-gioco, giochi di ruolo, avventure per computer sono tutti membri della stessa famiglia: per l'approfondimento di ciascuno di essi e le relazioni tra di loro consiglio caldamente il recentissimo manuale "Il teatro della mente - Giochi di ruolo e narrazione ipertestuale", a cura di Luca Giuliano (Guerini e associati 2006), dove una nutrita pattuglia di operatori del settore (tra cui me per i libri-gioco) approfondisce questo tema da parecchi punti di vista.

"In cerca di fortuna" non è solo il primo libro-gioco che ho scritto io: più in generale, è il primo libro-gioco pubblicato da un autore italiano. E' apparso nel giugno 1987, nelle stesse settimane in cui usciva anche "Il presidente del consiglio sei tu" siglato G&L (Oscar Mondadori). Non ho mai guardato esattamente chi, giorno più giorno meno, abbia tagliato per primo il traguardo degli scaffali: comunque sono i prini due titoli di questo genere scritti e dati alle stampe nella nostra penisola, dopo alcuni anni di sole traduzioni dall'estero.

Andrea Angiolino fa giocare il suo Il Mischiastorie a Corato per la Giornata Mondiale del Gioco, il 27 maggio 2006 (Foto E. Musci)

Quali libri gioco hai creato e quali giochi di ruolo?

Dopo "In cerca di fortuna" ho scritto quattro altri libri-gioco: "Il gobbo maledetto" (Demetra 1993, ripubblicato da Novecento Libri nel 2002), scritto con lo storico aeronautico Gregory Alegi, in cui ci si immedesima in un pilota di un aerosilurante italiano del 1942; "Avventure al campo" (Elle Di Ci 1996), realizzato con l'autore di giochi e capo scout Pier Giorgio Paglia, su un ragazzino al suo primo campeggio scout; "I misteri delle catacombe" (Elle Di Ci 2000), scritto con l'archeologa Francesca Garello e l'autore di giochi Domenico Di Giorgio, su un bambino del terzo secolo che abita nel quartiere romano di Testaccio e a cui spariscono misteriosamente i vicini di casa. Il quarto non è stato esattamente "scritto"... Si intitola "Il Mischiastorie - Osvaldo e i cacciatori" (Lapis 2005) e si rivolge ai bambini che non sanno ancora leggere: a quel che ne so, è il primo al mondo per questa fascia d'età. Non ha pagine ma tessere, interamente illustrate dalla bravissima Valeria De Caterini: non ci sono scritte e i rimandi funzonano con dei simboli da far coincidere, un po' come il domino. Ma è un libro-gioco a tutti gli effetti, con un inizio di storia e sette finali a cui si può arrivare da molti percorsi diversi.

Un'ulteriore curiosità è "Quando protagonista è il lettore", pubblicato da Nexus Editrice e dal Centro Internazionale Ludoteche: un piccolo saggio sui libri-gioco con la rassegna di tutti quelli apparsi in Italia, che per meglio esemplificarne i meccanismi era apunto costruito sotto forma di libro-gioco.

Inoltre ho pubblicato un numero imprecisato di racconti-gioco brevi, su varie testate specializzate o meno: "L'Espresso", "Nuova Ecologia", "Kaos", "L'Eternauta", "GiocAreA", "The Unicorn"... Alcuni sono raccolti nella micro-antologia "Mitico!" (ed. Qualitygame 1995). Altri miei racconti-gioco sono apparsi su siti web, e prima ancora su Videotel. Ho pubblicato un paio di articoli-gioco sul quotidiano "Il Manifesto", nel lontano 1987, e realizzato con Pier Giorgio Paglia e l'illustratore Gianni Peg il cartone animato a bivi "GiòGatto" per la Stream, oggi Sky TV. Ho utilizzato il sistema delle storie biforcate per giochi televisivi, pubblicitari e promozionali, ma anche per alcune avventure di giochi di ruolo. Queste ultime, rivolgendosi magari a principianti, erano costruite a blocchi di scene collegate esattamente come in un libro-gioco, per meglio guidare il narratore inesperto.

Funzionano così le avventure introduttive de "I Cavalieri del Tempio", gioco di ruolo dedicato ai Templari fatto con Giuliano Boschi, Agostino Carocci, Massimo Casa e Luca Giuliano, che la E.Elle ha pubblicato nel 1990 (Rose & Poison lo ha ristampato nel 2005). Ma anche quelle di "Orlando Furioso", scritto con Gianluca Meluzzi e stampato in 1000 copie dal Comune di Roma per distribuirlo in scuole e biblioteche (anche questo è ora, in edizione rivista ed espansa, nel catalogo della Rose & Poison). Gli altri giochi di ruolo che ho fatto sono "Mediterraneo" (Demetra 1991, poi Qualitygame 1995); "C.Y.B.", apparso sulla rivista Kappa e poi ripubblicato in volumetto da Qualitygame; "Il gioco di ruolo di Dragonball + Dragonball Z", realizzato con Paolo Parrucci nel 1998 per la Nexus Editrice. Ci sono poi varianti di "Mediterraneo" apparse in pubblicazioni didattiche e alcune espansioni ufficiali di giochi altrui: per Stratelibri ho realizzato "Basic West" e "Basic Egitto", scritti con Pier Giorgio Paglia e Stefano Pischedda; quando la Nexus ha rilevato "Lex Arcana" ho scritto con Francesca Garello il supplemento "Italia - Terra di antichi sortilegi"; per "On Stage!" ho scritto "Biancaneve e i tre porcellini". A questi si affiancano avventure e regole opzionali pubblicate su riviste, e di una lunga attività di curatore e traduttore... Insomma, credo di essermi dato abbastanza da fare. Ed è stato proprio divertente.

Puoi parlare più approfonditamente di un paio dei tuoi libri-gioco che ricordi con maggior piacere?

Uno è probabilmente "Il gobbo maledetto". Ho sempre avuto una certa passione per gli aeroplani, almeno fin da quando alle scuole medie ho comprato il mio primo modellino da montare nella tabaccheria sotto casa. Nel 1991 è nata la rivista "E giochi", delle edizioni Demetra, con cui ho iniziato a collaborare: l'editore faceva anche libri sul gioco. E così, dopo avergli realizzato due libretti a supplemento della rivista, mi è venuto in mente di proporgli un libro-gioco: nella scelta del tema ha prevalso appunto la passione per gli aerei. Ho coinvolto Gregory Alegi, uno dei più brillanti storici aeronautici italiani, noto in Italia e all'estero: tra l'altro è lui che intorno al 1980, dopo anni che giocavo ai soldatini in maniera assai naive, anche se magari con aspirazioni simulative, mi ha fatto scoprire l'autentico wargame. Accordatici con l'editore, ci siamo lanciati in questa scrittura a quattro mani.

Il libro consente al lettore di immedesimarsi nel comandante di un Savoia Marchetti S.79, a Pantelleria nel 1942. E' il suo primo volo di guerra, e questo permette al lettore di giocare anche se non ha alcuna esperienza del genere... se non ha mai fatto un volo di guerra! Al limite, nel racconto è l'esperto equipaggio a prendere la parola per correggere eventualmente gli errori più eclatanti del lettore. Ma solo quelli più macroscopici: è giusto che ognuno sia libero di fare le proprie scelte senza frustrazioni. Il lettore decolla dal campo di volo assieme a una piccola formazione della sua 278a Squadriglia e subito si pone la prima scelta: uno dei compagni ha un'avaria e deve tornare indietro, per cui si può decidere di accompagnarlo alla base o di continuare la missione con il grosso della formazione. E così di paragrafo in paragrafo, fino a uno dei tanti possibili finali. Un sistema di punteggi consente di confrontare tra loro diverse partite, dello stesso lettore o di un gruppo di amici.

Il bello del libro, a mio parere, è che abbiamo fatto una buona ricerca iconografica e molti paragrafi sono illustrati con autentiche foto d'epoca. Mi ricordo le ricerche presso gli archivi dell'Aeronautica e della Marina, dove sono saltate fuori belissime cose anche quasi inedite, come certe foto di riocognizione aerea scattate dalla Luftwaffe e rimaste chiuse in un armadio per decenni. E così quando il lettore sgancia il siluro vede la foto di un vero "Gobbo maledetto" che sta attaccando un'autentica nave inglese, mentre se viene abbattuto c'è la fotografia di un equipaggio italiano che rema sul suo battellino d'emergenza, e al paragrafo successivo un idrovolante Cant Z.506 bianco con le croci rosse che scende a recuperarlo. La prima edizione comprende 39 foto, la seconda addirittura un centinaio tra cui alcune mai viste prima, provenienti dall'album di famiglia di un reduce. Credo che le foto aiutino molto a rendere l'atmosfera del gioco.

A corredo del testo abbiamo messo dei riquadri informativi sui vari modelli di aerei, la radiotelegrafia, la specialità aerosiluranti... Tutte cose che non c'è bisogno di sapere per giocare, ma che soddisfano le curiosità del lettore eventualmente nate durante il gioco. In effetti, a ben guardare è una potenzialità didattica fortissima: ho mantenuto lo stesso sistema anche negli altri titoli fatti successivamente, spiegando nodi e orme e orientamento nel mio libro-gioco scout, e la cucina, i pompieri, il traffico, il calendario dell'antica Roma in quello lì ambientato.

La prefazione è dell'avvocato Martino Aichner, Medaglia d'Oro al valor militare per le sue imprese nel Mediterraneo a bordo di un S.79: con molto understatement ne approfitta per dichiarare il suo amore per un aereo dai molti pregi e le cui "doti di galleggiabilità" ha sperimentato ben tre volte. Sono lieto che l'idea di un libro su questo tema lo abbia divertito e coinvolto.

Mentre scrivevamo, Gregory partiva spesso perché stava curando l'allestimento del Museo Caproni a Rovereto: tra l'altro, proprio in quel periodo ha recuperato un autentico S.79 in Libano, un pezzo che mancava a quella notevolissima collezione. Scrivevamo di cose che lui conosce benissimo, quindi. Alcuni dettagli sono presi dai manuali tecnici originali, quelli forniti dalla ditta costruttrice assieme all'apparecchio, che lui ha nella sua biblioteca.

Quando "Il gobbo maledetto" è uscito, ne ho organizzato diverse letture pubbliche per alzata di mano, con il pubblico che decide democraticamente a maggioranza quali scelte fare. Ne ricordo una a Villa Albani, la sede dell'Assessorato alla Cultura di Civitavecchia, con la calorosa partecipazione dell'Associazione Culturale Novecentonovanta che aveva organizzato l'evento. Molto interessante anche una a Via Veneto a Roma, in una tensostruttura tirata su per una fiera del libro, dove il pubblico era costituito per lo più da serissimi ultracinquantenni che votavano compiti a maggioranza sulle azioni da fare. Ma la più bella è stata probabilmente a Vigna di Valle, sul lago di Bracciano, nel settembre 2005, durante la manifestazione "Sulle ali del gioco": eravamo nel Museo dell'Aeronautica Militare, proprio accanto a un autentico Savoia Marchetti della 278a Squadriglia, e mentre leggevo i paragrafi al pubblico potevo indicare i punti dell'apparecchio in cui succedevano le cose. Davvero suggestivo! E poi, uno dei presenti ha comprato il libro al negozio del museo e in una delle ultime pagine ha trovato una foto con suo nonno e i suoi compagni di equipaggio.

Un altro libro-gioco a cui sono affezionato è... l'ultimo, ovviamente, il pargolo più piccolo. La collana si chiama "Il Mischiastorie", il primo (e per ora unico) titolo "Osvaldo e i cacciatori". In realtà il prototipo è del 1998: ci sono voluti sette anni per vederlo pubblicato! Come accennavo, si tratta del primo libro-gioco per chi non sa leggere o non ha voglia di farlo. Si parte con una tessera che a sinistra ha una stellina gialla: rappresenta il leprotto Osvaldo che si sveglia di colpo sentendo degli spari, si affaccia tra i cespugli e vede arrivare dei cacciatori. La tessera finisce con un pallino rosso: guardando le altre ci si accorge che ce ne sono due che iniziano con lo stesso simbolo. In una Osvaldo torna nella propria tana e medita sul da farsi, nell'altra fa i bagagli e se ne va in città abbandonando la foresta infestata da uomini armati. Il lettore ne sceglie una e l'affianca alla prima. Ovviamente ciascuna delle due tessere continua con un simbolo diverso: e così, di rimando in rimando si sviluppa la storia fino ad arrivare a una tessera che si chiude con una stellina, e cioè uno dei possibili finali. Nella confezione ci sono anche due tessere, una bianca e una con un accenno di disegno, che servono a far capire che il gocatore può aggiungere i propri episodi, disegnandoli... o magari facendoli disegnare da qualcuno. L'idea della collana sarebbe di fare altri titoli con lo stesso protagonista, del tutto autonomi ma mescolabili in un'unica storia più grande. Ma per ora siamo fermi al primo titolo, anche se sia io che l'illustratrice Valeria ci terremmo a continuare: l'editore sta valutando il progetto. Fra l'altro, anche questo libro-gioco l'abbiamo spesso proposto al pubblico in biblioteche, fiere librarie e feste di piazza: i prossimi appuntamenti saranno a novembre a Lucca Games e a dicembre alla fiera della piccola e media editoria a Roma. Ogni volta che lo presentiamo, il gioco piace tantissimo e va a ruba... Un buon segno, chissà che chi gioca oggi con Osvaldo non riscopra domani i libri-gioco testuali.

Un esempio della struttura di gioco di

Una curiosità è il nome, che io ho tirato fuori per caso scrivendo alla titolare della casa editrice che dovevamo decidere tra un titolo tipo "Il leprotto e i cacciatori" e uno tipo "Osvaldo e i cacciatori": ho detto Osvaldo del tutto a caso. Lei ha risposto che il secondo era più convincente. "Allora scegliamo quale nome dargli", ho detto. E lei: "Qui in casa editrice ci siamo già consultati, Osvaldo è piaciuto." Solo tempo dopo mi sono incuriosito e ne ho cercato l'etimologia: Osvaldo significa "difensore del bosco". Neanche a farlo apposta! Ma questa dei titoli provvisori è una costante. Anche "Il gobbo maledetto" era un titolo provvisorio, di lavoro, scelto nella certezza che nessuno avrebbe mai pubblicato un libro chiamato così se non si rivolgeva a specialisti: era il soprannome dell'S.79, che sopra la cabina di pilotaggio aveva una postazione di mitragliatrice a forma di gobba. Secondo la propaganda italiana, glielo avevano affibbiato gli inglesi trovandolo un apparecchio micidiale. Insomma, era quasi un tecnicismo e doveva essere sostituito a libro scritto, con calma, mentre invece alla fine è rimasto quello.

Mah: sarà che fare un libro-gioco è uno sforzo notevole, tra scrittura e limature e caccia agli errori e collaudo e tutto quanto, ben più impegnativo di un libro normale... Ma sono affezionato a tutti. Ad "Avventure al campo", che racconta anche autentici episodi della vita del branco Roma 28, a cui apparteneva il mio coautore e per il quale ho fatto da cambusiere dalle parti di Scandicci nell'estate del lontano 1987. Mi piace molto ricordare "I misteri delle catacombe", uno spaccato credo piuttosto fedele, in molti dettagli, della vita quotidiana a Roma quasi diciotto secoli fa: ma anche e soprattutto un giallo. Tanto che mi hanno invitato a presentarlo in anteprima a un convegno sulla letteratura poliziesca e le sue potenzialità didattiche, a Bologna nel 1999: un funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione ne è rimasto così impressionato che mi ha fatto nominare "esperto inventore di giochi" con funzioni di consulente, e da quella cosa sono nate varie attività di enigmistica e affini con le scuole di tutt'Italia. E poi "Mitico!", la mini-antologia di racconti-gioco ambientati nel mito greco: era nella collana de "I giochi del duemila", nata quasi per scherzo, che includeva volumetti a duemila lire tra cui libri-gioco, giochi di ruolo, wargame. Un lettore mai visto prima ha comprato "Mitico!" a una fiera del fumetto a Roma e l'anno dopo è tornato con la bozza di un libro-gioco scritto da lui, "Facchetti celo", su un bambino del 1966 che deve completare la sua collezione di figurine entro il tramonto. Era un'idea molto divertente e io, da curatore della collana, ero più che aperto alle proposte di chiunque: per cui lo abbiamo pubblicato. L'autore è Domenico Di Giorgio: in quel modo ho trovato un grande amico, oltre che un coautore e un compagno di tante avventure ludiche.

La copertina del libro-gioco Il Gobbo Maledetto

Una domanda che credo stia a cuore a molti nostri lettori: come si diventa autori di libri-gioco e di giochi di ruolo? Come si fa a trasformare la passione in professione?

Diciamo che ho fatto questi lavori con professionalità, ma non proprio per professione. Rientrano in un mestiere più ampio di autore ed esperto di giochi a tutto campo: ma da soli i libri-gioco e i giochi di ruolo non sarebbero forse riusciti a darmi di che vivere, se non forse nelle loro applicazioni pubblicitarie, formative e televisive. In effetti l'esperienza di libri-gioco e racconti-gioco l'ho anche sfruttata in ambiti più schiettamente lavorativi (e redditizi). Per esempio con "Ultimo Minuto", una trasmissione su Rai Tre dedicata a catastrofi e protezione civile, io e i colleghi della C.UnS.A. abbiamo portato in televisione i racconti-gioco: venivano proposti a vip come Pippo Baudo e Alba Parietti, ospiti della trasmissione, che vivevano così davanti agli occhi degli spettatori situazioni di emergenza in cui dovevano cavarsela al meglio. Poco tempo dopo i comici Chiquito e Paquito ne hanno fatto una parodia ispirata ai grandi misteri d'Italia... Diretti derivati dei libri-gioco sono anche alcuni CD-Rom che ho realizzato su commissione, in cui il meccanismo della storia a bivi era arricchito con filmati, animazioni e altro: per esempio uno ideato per la formazione del personale della Bristol Myers - Squibb, e un altro di investigazioni usato a fini promozonali dalla Polizia di Stato. Ho poi realizzato un racconto-gioco per una postazione informatica usata nelle fiere da un'agenzia della Regione Lazio per l'orientamento professonale dei giovani: serviva ad attirarne l'attenzione e a dargli un accesso mirato alla banca dati. Con un sistema di rimandi, sempre assieme alla C.UnS.A., ho creato nel 1991 un test d'intrattenimento che saltava avanti e indietro per 27 pagine di "Sette", il supplemento del Corriere della Sera, allo scopo di pubblicizzare i Villaggi Valtour.. Insomma, quello del bivio e del rimando è uno strumento che ho utilizzato parecchio anche per autentico lavoro: libri-gioco e giochi di ruolo pubblicati per il mercato degli appassionati, invece, sono nati più per esignenza artistica: alla fine hanno reso il giusto, in termini economici, ma senza poter costituire un lavoro a tempo pieno. Del resto, non doverli fare per lavoro mi ha consentito di scegliere ogni volta che lo volevo uno o più autori con cui mi trovavo in sintonia e che potevano arricchire il prodotto con le loro competenze ed esperienze, senza preoccuparmi troppo di dover poi dividere gli introiti in due, tre o persino cinque.

Comunque, per passare dall'amatorialità alla professionalità si è trattato soprattutto di lavorarci con passione ma anche con molto rigore. E senza risparmiarmi troppo: collaborando a riviste e fanzine, traducendo, facendo lavori editoriali di vario genere nel settore, senza la pretesa di essere un autore puro a tutti i costi. Ai tempi, tra l'altro, di editori di giochi di ruolo ce n'erano diversi, e per uno che chiudeva ne apriva un altro: ho lavorato anche per grossi editori come Hobby & Work che non disdegnavano il gioco di ruolo. Dopo un po' erano gli editori stessi che mi venivano a cercare, o comunque che erano prontissimi ad ascoltare ogni mia proposta: era comunque un mondo abbastanza piccolo, non era difficile notarmi tra i pochi addetti ai lavori. Oggi... beh, oggi temo che il settore assai più ristretto renda il tutto molto più difficile per un esordiente.

Quanti librogame hai letto? Quanti ne possiedi?

Ne ho diversi, qualche decina... Ma non sono un vero collezionista né un avidissimo lettore di questo filone. Ho vari titoli della E.Elle, sia libro-game che prime letture; qualcuno della Mondadori (sia le varie serie degli gli Oscar che i libretti per bambini); un po' tutta la produzione della Giunti; la collana storica della Black Out; quelli allegati a Storia e Dossier; i due titoli a fumetti di Dudley Serious pubblicati dalla Nexus Editrice; il libro-gioco di Lupo Alberto e un paio di quelli dedicati ad Asterix... e vari altri, magari titoli singoli fuori collana. E poi ne ho alcuni in inglese: qualcuno della serie di D&D, certi della Iron Crown Enterprise sulla Terra di Mezzo, uno sul terrorismo contemporaneo. Temo che non mi vengano in mente tutti. In più ho qualche gioco da tavolo ibrido, come "Consulting detective" o "Tales of the Arabian nights", che pur presentandosi in scatola si basano comunque proprio sul meccanismo del libro-gioco.

Qual è la tua serie preferita?

Una che mi pare un'idea assai brillante, lo dico da autore che avrebbe voluto farla lui, è la serie "Sapresti vivere da..." in cui ti immedesimi in una volpe, in un cervo, in uno scoiattolo, in una lontra. Niente di complicato, semplici libri per bambini: ma è tutto illustrato con foto a colori, spesso su doppia pagina, e questo rende moltissimo. E citerei anche un libro singolo, "Life is lottery" di Kim Newman: me lo ha regalato Demian Katz, grande esperto e collezionista nonché ideatore del sito www.gamebooks.org. Mi ha colpito soprattutto il coraggio dell'iniziativa: è un romanzo su un ragazzo del 1959 pubblicato da un normale editore per il grosso pubblico, non un oggetto per specialisti e iperappassionati. Un po' come erano del resto "Il presidente del consiglio... sei tu!" e "Carriere" negli Oscar Mondadori, in effetti: forse anche in questo l'Italia è stata pionieristica.

Hai provato a scrivere un librogame per la E. Elle? Se si, perché il progetto non è andato in porto?

Sì, ho provato a sentirli e a proporre loro "In cerca di foruna" assieme al suo seguito ancora inedito. Non è andato avanti un po' per timidezza mia, che non ho insistito, un po' perché.... Chissà perché, magari dovreste chiederlo a loro. Del resto la nostra collaborazione è passata subito al settore dei giochi di ruolo, per cui ci siamo impegnati più sul fronte de "I Cavalieri del Tempio" e nel nostro rapporto il discorso sui libri-gioco è scivolato in secondo piano.

Credo che uno dei problemi di fondo fosse lo stesso che ha rallentato moltissimo lo sviluppo di un fantasy e una fantascienza italiana. Mi diceva un editore di quel settore, ai tempi degli esordi di Lupo Solitario, che per 400.000 lire poteva comprare i diritti per l'Italia di un'antologia con venti racconti di Isaac Asimov: e quindi non poteva dare a un esordiente italiano più di 20.000 lire per un racconto, pagandolo quanto un divo internazionale, e comunque a quel punto faceva più bella figura a offrirgli una cena. Ecco: credo che la grande facilità con cui si potevano acquistare all'estero libri-gioco magari anche già illustrati a dovere rendesse poco conveniente puntare su autori italiani. E questo forse ha pesato anche nel mio caso. O magari no: più semplicemente, forse "In cerca di foruna" non è piaciuto alla E.Elle.

L'inquietante copertina di In Cerca di Fortuna

Sapevi che intorno ai libri-gioco degli anni '80 e '90, e in particolare ai librogame, si è sviluppato un movimento di collezionisti disposto a pagare in alcuni casi anche più di 100 euro per un singolo libro? Che ne pensi?

No, non lo sapevo. Penso che in soffitta dovrei avere alcune rarissime copie dei miei libri, e che se qualcuno le vuole le dò per molto meno...

Scherzi a parte, il collezionismo nel campo dei giochi è un fenomeno strano. Io ho ricomprato su eBay qualche vecchio gioco di simulazione su mappa esagonata, come usavano soprattutto fino all'avvento dei personal computer... Per alcuni ho pagato piccole follie, per molti cifre ragionevolissime. E' una questione di affezione, di nostalgia, oltre che di qualità del prodotto che magari non sempre c'è, una giocabilità che può mancare: il prezzo più alto l'ho versato per "Campaigns of North Africa" della SPI, un gioco di Richard Berg con quasi tre metri di mappe a esagonini, 1400 pedine, 60 capitoli di regole, che ho giocato una sola volta nello scenario più semplice e che sono certo che non giocherò mai più. Si paga anche per riottenere un pezzo della propria adolescenza. Credo che anche per i libri-gioco sia così, e certi ricordi non hanno prezzo: anche se poi, non essendoci un vero mercato dell'antiquariato ludico, magari su qualche bancarella dell'usato si trovano gli stessi pezzi a molto meno.

"La Battaglia dei Cinque Eserciti" è stato il primo gioco che sei riuscito a pubblicare. Com'è nata l'idea? In cosa consisteva?

Era appunto una simulazione su mappa esagonata della battaglia che Tolkien racconta verso la fine de "Lo Hobbit". Una lettura che mi aveva colpito: le radici fantasy che ho continuato a coltivare in molti miei giochi. La rivista Pergioco, su cui poi mi sono trovato a tenere una rubrica, aveva lanciato un concorso pubblicando una mappa esagonata in bianco formato A3: io mi sono dilettato con quel tema. Ne è uscito un giochino che non era affatto male, a mio parere. Tanto che ha avuto una sua longevità ed è uscito su diverse fanzine, da "La Voce del Drago" a "I Signori del Gioco". Qualche anno dopo la fanzine "T" di Palermo ne ha fatto una bellissima versione a colori, e quando la rivista Kaos è arrivata al numero 50 per festeggiare ha regalato quel gioco nella bella versione palermitana. Insomma, si è trattato di una pubblicazione amatoriale ma poi consolidata da una testata prestigiosa nel settore.

Però, purtroppo, la simulazione di quel tipo è una forma di gioco abbastanza datata, ora ristretta a una cerchia di pochi appassionati. Anche perché non ha la stessa immediatezza dei libri-gioco, che comunque restano un meccanismo agevole a cui chiunque si può accostare con facilità, che non ne esclude in futuro un ritorno in grande stile. Me ne rendo conto anche confrontando "La battaglia dei Cinque Eserciti" con il mio ultimo gioco, anch'esso una simulazione: "Wings of War", ideato con Pier Giorgio Paglia e pubblicato in Italia dalla Nexus Editrice e da vari partner in una decina di altre lingue. Il tema è quello degli assi della prima guerra mondiale. La mappa non c'è: grazie a carte manovra si fa "volare" la propria carta-aereo in giro per il tavolo, o magari per il tappeto, cercando di inquadrare quelle avversarie con le proprie mitragliatrici. "La Battaglia dei Cinque Eserciti" aveva diverse pagine fitte di regole; "Wings of War" ha una paginetta e mezza di regole base, salvo arricchirsi con quelle opzionali. Il primo richiede un certo studio prima di giocare, anche se molte regole sono affini a quelle più convenzionali del filone, mentre il secondo si spiega in due minuti. Di conseguenza il primo è ormai un oggettino da collezionisti, il secondo continua a vedere l'uscita di varianti ed espansioni...

Le pedine di gioco de La Battaglia dei 5 Eserciti

I Cavalieri del Tempio è stato uno dei primi giochi di ruolo ad essere completamente ideato da italiani. Come ha preso piede il progetto? Quando la E. Elle ha deciso di pubblicarlo?

Alla fine degli anni '80 la E.Elle aveva già ripubblicato due giochi di ruolo precedentemente apparsi presso altri editori: "Kata Kumbas" di Agostino Carocci e Massimo Senzacqua, un fantasy favolistico molto italiano, e "Holmes & Company" di Mario Corte e Antonello Lotronto, un gioco investigativo. Aveva affiancato loro anche "Uno sguardo nel buio", tradotto dal tedesco, ma non aveva ancora mai fatto niente di originale. Fu il travolgente Agostino Carocci a convincerli che valeva la pena: poi chiamò altri appassionati, tra cui me, e ci lanciammo nel progetto già certi che avrebbe visto la luce. Ci volle del tempo: c'eravamo per esempio coordinati con Franco Cuomo che nello stesso periodo stava scrivendo il romanzo "Gunther d'Amalfi cavaliere templare", finalista allo Strega, pensando a iniziative promozionali in comune all'uscita dei due volumi. Ma il suo editore fu assai più rapido con i tempi tecnici della pubblicazione...

I Cavalieri del Tempio in edizione E. Elle

Il gioco ultimamente sta attraversando un momento di rinnovata popolarità grazie alla riedizione a cura di Rose & Poison. Cosa l'ha fatto tornare così prepotentemente in auge, oltre al fatto che si tratta di un ottimo prodotto?

Non saprei dirlo. Forse non sarebbe mai scomparso, se l'editore non avesse tirato i remi in barca: ma capisco anche che davanti alle tirature a cinque zeri del Lupo Solitario dei tempi d'oro, poche migliaia di copie di un gioco di ruolo possano sembrare meno interessanti a chi non è del settore. E un gioco di ruolo è faticoso da mantenere vivo: servono espansioni continue, o viene percepito come un titolo "morto" e abbandonato dai negozianti e dal pubblico più superficiale.

Comunque il tema dei Templari e della cospirazione universale è eterno: noi uscivamo ai tempi de "Il pendolo di Foucault" e di "Gunther d'Amalfi cavaliere templare", ora c'è il "Codice da Vinci" che li scimmiotta assai più rudemente. Anche questo forse aiuta. Sicuramente ci ha aiutato ai tempi della prima uscita, accolta con un comunicato ANSA e con articoli a più colonne sulle terze pagine del Corriere della Sera e de Il Mattino.

L'incontro con il compianto Carrocci, autore tra l'altro del grandissimo role game Kata Kumbas, da molti ritenuto il primo mai ideato in Italia, ha influito sulla tua carriera di autore di giochi di ruolo? Che ricordi hai della tua collaborazione con lui?

Anche qui ci vorrebbe una moviola per stabilire il primato tra "I Signori del Caos" e "Kata Kumbas": certo è che sono nati in parallelo e conta poco vedere chi è stato stampato per primo. Con la differenza che "I Signori del Caos" era un fantasy più classico, più nordico, mentre "Kata Kumbas" attingeva a piene mani da miti, leggende e favole tutte italiane. Agostino Carocci e Massimo Senzacqua avevano fatto davvero un bel lavoro, trattando la materia anche con una grande ironia. E mi pare bello e significativo che entrambi i titoli, originali e italiani, abbiano preceduto qualunque traduzione di giochi stranieri nella nostra lingua.

Ho conosciuto Agostino nel 1980 alla Città del Sole di Via della Scrofa a Roma, anch'esso luogo pionieristico in quanto primo negozio della catena assieme a quello di Via Meravigli a Milano. Lì si trovavano anche giochi importati dagli Stati Uniti: i rari giochi di simulazione e anche qualche accenno di giochi di ruolo, anni prima che venissero tradotti in italiano. Il posto era quindi un punto di riferimento per chi cercava altri "carbonari" dediti alle stesse passioni. Con Agostino e altri ci siamo messi a giocare, lui sempre nel ruolo del narratore. E' stato un confronto molto interessante, anche tra due visioni del gioco diverse: io venivo dalla simulazone e per me il gioco di ruolo era appunto simulare un mondo coerente perché i giocatori potessero muovercisi con libertà e realismo, mentre per lui contava soprattutto la narrazione di una storia avvincente e divertente. Incontrarlo è stato un arricchimento, davvero. E poi lui era un trascinatore, con sempre nuove iniziative da proporre: mi ha coinvolto nella fanzine "La Voce del Drago" e poi, anni dopo, ne "I Cavalieri del Tempio". Questo mi ha fatto piacere sul serio: ero assai onorato che lui mi avesse tirato dentro, anche perché ero decisamente il più giovane della squadra di autori che aveva messo assieme per l'occasione. Tanto che quando nel dicembre del 1990 fummo invitati al Maurizio Costanzo Show, dato che all'epoca il conduttore era ancora assai caustico si decise di mandare me perché "un grande" che si occupava di giochi, come i miei coautori, sarebbe stato magari sbranato. Poi mi arrivò la cartolina della leva proprio per quella settimana, obiettore a Praticello di Gattatico, e allo show andò Luca Giuliano: se la cavò benissimo, e ancora oggi mi capita di incontrare ragazzini di allora, magari già lettori di libri-gioco, che grazie a Luca e a quella trasmissione scoprirono il gioco di ruolo.

Agostino ha quindi determinato l'inizio della mia carriera di autore di giochi di ruolo. Era senza dubbio la punta più scoppiettante e fantasiosa della squadra, in quello come in altre cose fatte assieme lui: per esempio "C.Y.B.", un gioco di ruolo che ci ha proposto di realizzare per la rivista ludico-informatica Kappa e che compattammo in sole dodici pagine tra regole e avventura introduttiva. Era lui che, da bravo "commerciale", riusciva a piazzare le idee di progetti in giro. Agostino era infatti un pioniere e un trascinatore: in un mondo come il nostro, dove molte belle idee si scontrano con mille problemi pratici e restano alla fine nel cassetto, lui riusciva a portare a termine parecchi progetti anche perché sapeva contagiare con il suo entusiasmo coautori, collaboratori ed editori.

Il team che aveva messo assieme per "I Cavalieri del Tempio" era numeroso: eravamo in cinque, per cui ci si divideva i compiti e Agostino si gettava spesso sugli aspetti più creativi. Poi magari era qualcun'altro che si preoccupava dei dettagli, della ricerca storica, delle limature finali ai meccanismi. E andava benone così: lavorare a dieci mani non ha senso, se non si è in qualche modo complementari.

Ritirare fuori "I Cavalieri del Tempio" per la Rose & Poison era, nelle nostre intenzioni, anche una bella occasione per ritrovarci al tavolo di lavoro con lui, un bel pretesto per rivedersi. Purtroppo non è andata così.

Hai tratto ispirazione da alcuni giochi di ruolo stranieri nell'ideare i tuoi? Quali sono quelli che consideri i migliori in assoluto?

In realtà nei primissimi anni '80, quando ho cominciato a praticare i giochi di ruolo, ero abbastanza onnivoro: provavamo di tutto. Da "Dungeons & Dragons" a "Runequest", da "Traveller" a "Top Secret", da "Boot Hill" a "Recon", da "James Bond 007" a "Indiana Jones"... L'elenco è lungo e la memoria lacunosa. Ho apprezzato molto le atmosfere di "Warhammer", poi apparso in Italia come "Martelli da guerra", e l'ironia di "Toon". Credo di essere debitore a tutti questi giochi, anche se non mi sembra di averne ricalcato nessuno. In quanto ai migliori... Beh, non mi limiterei a guardare all'estero: in fondo i titoli nati in Italia vengono dal nostro stesso ambiente culturale e si rivolgono proprio a noi. Mi è piaciuta molto "Lex Arcana", di Colovini/De Toffoli/Maggi/Nepitello, un elegante sistema tutto italiano applicato all'ambientazione di un'antica Roma dove la magia funziona davvero. E continuo a gocare volentieri a "On Stage!", di Luca Giuliano, un sistema davvero geniale che a volte mi capita di proporre anche in piazze, teatri, manifestazioni, corsi di formazione aziendale: un titolo adatto ai giocatori quanto a chi di giochi di ruolo non ha mai nemmeno sentito parlare.

Perché il fenomeno dei libri gioco è andato in crisi? Perché particolarmente in Italia, visto che in altri paesi gode di migliore salute, nonostante i tempi d'oro sembrano essere passati un po' ovunque?

Ahimé non so. Certo il mercato si è saturato, con una vastissima offerta da parte degli editori più grandi e tutta una serie di altri operatori che si sono a loro volta accodati: c'è stato un momento in cui le case editrici con libri-gioco in catalogo erano davvero tante. Magari ci sono stati altri fattori, come il sempre maggior diffondersi delle avventure per computer, ma non credo siano stati determinanti: il libro-gioco ha un fascino particolare e una portatilità che nessun computer può eguagliare.

In realtà esistono anche dei fenomeni assai interessanti che si chiamano "prospettive autorealizzanti", la cosa più simile alla magia che io conosca. Detto un po' rozzamente: se tutti si convincono che le banche falliranno, indipendentemente dal fatto che ci siano ragioni effettive di crederlo, le banche effettivamente falliranno perché tutti andranno a ritirare i loro soldi per paura che succeda: è andata così, nel 1929 (ora c'è una legge che evita tale possibilità ipotizzando un intervento statale in caso di bancarotta, per cui tutti sono tranquilli e i soldi restano nelle banche senza nemmeno bisogno che lo stato intervenga davvero). Analogamente, se tutti si convincono che l'economia andrà bene, ciò accadrà davvero perché la gente spenderà di più e terrà meno soldi da parte per i tempi bui, e quei soldi spesi andranno nelle tasche di altra gente che a sua volta li spenderà maggiormente (in un circolo virtuoso che uno dei recenti governi ha provato a innescare con degli spot in cui la gente diceva "grazie!" a un tale che aveva in mano delle borse della spesa: ma per mettere in moto un fenomeno del genere gli spot ovviamente non bastano, serve che la gente si fidi davvero). Allo stesso modo, ho visto proprietari di catene di negozi convincersi che l'era del gioco di ruolo è finita e smettere di ordinarne: in quel modo, ovviamente, hanno contribuito a ridurre il mercato e a generare la stessa impressione in altre persone, a partire dai loro fornitori e dai loro clienti. Magari è successo lo stesso con i libri-gioco: editori e operatori commerciali hanno visto una riduzione delle vendite, hanno pensato che il mercato fosse finito e hanno smesso di farne e distribuirne anziché magari cercare di mantenere una fetta di mercato ridotta. Non so: è un'ipotesi, la mia, ma abbastanza coerente con opinoni sentite qua e là in campo editoriale. Mentre invece continuo a vedere gente che viene alle presentazioni, ad avere richieste di librai e bibliotecari e insegnanti e lettori che mi chiedono dove possono trovare libri-gioco. Segno che ancora oggi una domanda c'è, e a mio parere vale la pena di coltivarla.

Perché solo Lupo Solitario sembra essere sopravvissuto alla crisi?

Proprio perché secondo me c'è ancora spazio per i libri-gioco, anche perché nel frattempo c'è stato un ricambio generazionale e ci sono nuovi lettori pronti a conoscerlo, alcuni titoli possono continuare a vendere: inclusi appunto volumi già pubblicati. In fondo si continuano a vendere "Pinocchio" e "Robin Hood", "Il Piccolo Principe" e "David Copperfield"... Come quei personaggi sono nel cuore di molte generazioni, così Lupo Solitario è ormai in quello di decine di migliaia di giocatori italiani: per questo, in uno sfoltimento (non in un azzeramento) del mercato, lui è potuto soppravvivere. E magari i ragazzini degli anni '80 che lo giocavano allora, assieme anche a un pubblico più adulto di cui la E.Elle era ben conscia, sono oggi padri e zii che regalano Lupo Solitario a figli e nipotini. Chissà...

Hai conosciuto qualcuno degli autori di libri-gioco anglofoni più conosciuti, come Dever, Jackson o Brennan? Che impressioni ne hai tratto?

Ho conosciuto solo Joe Dever, a Lucca Games: una manifestazione che non mi perdo mai e dove si fanno sempre dei begli incontri. Dopo ci siamo anche scritti per email un paio di volte. La cosa che più mi ha colpito è stato il suo stupore a incontrare in Italia così tanti fan dei suoi libri: non se lo aspettava, specie dopo così tanto tempo dall'uscita dei primi volumi. E' una persona in gamba: ha creduto nel suo progetto, ci si è gettato a capofitto rinunciando anche al suo lavoro fisso dell'epoca ed è riuscito a farne un successo internazionale. Un grande!

Attenzione, a proposito! Quest'anno a Lucca Games, il 3 novembre, c'è Steve Jackson: ma non è lo Steve Jackson inglese dei libri-gioco! E' il suo omonimo americano che si occupa di giochi da tavolo e di ruolo (è per esempio l'editore di "Toon"). Peraltro è una persona interessantissima anche lui, che varrà davvero la pena di conoscere.

E' più facile per un autore di giochi e scrittore di libri come te riuscire a lavorare in Italia o all'estero? Che differenze ci sono?

In Italia non mancano gli editori anche piccoli, almeno nel mercato dei libri. E' decisamente faticoso affermarsi, ci vogliono anni e sudore: però gli spazi per pubblicare ci sono, soprattutto se si guarda anche al di fuori del ristrettissimo mercato specializzato del gioco di ruolo e affini. E' anche vero che poi il difficile è portare avanti nel tempo le iniziative, non far morire le collane. Spesso gli editori più piccoli non ne hanno la forza, mentre i più grandi finiscono per disinteressarsi.

Collaborare con editori al di fuori del settore specialistico può portare più lontano, ma non sempre è facile far capire e apprezzare quello che si fa. Ricordo l'imbarazzata telefonata di un curatore di collana a cui avevamo appena consegnato il testo di un libro-gioco in cui alcune serie di paragrafi sviluppavano trame parallele: erano costruite allo stesso modo e con testi analoghi, che variavano nei dettagli a seconda dell'avversario affrontato. L'editore si infuriò, pensando che lo stessimo truffando: forse si sentiva colpito nel portafoglio all'idea che gli stessimo rivendendo più volte le stesse frasi!

Per i giochi di carte e da tavolo il discorso è più facile: se si ha l'accortezza di predisporre materiali con poche scritte o addirittura senza, con codici di icone e colori, la traduzione è facile e si può agevolmente partire dall'Italia per poi farsi tradurre all'estero, godendo dei vantaggi di un mercato più grande. E poi mi è anche accaduto di collaborare direttamente con editori stranieri, saltando passaggi intermedi: per questo frequento spesso le fiere ludiche di Norimberga ed Essen, dove incontro gli operatori professionali di tutto il mondo, o la Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna. In un modo o nell'altro, da solo o tramite i miei editori locali, sono così riuscito a far tradurre alcuni miei libri sul gioco e vari giochi da tavolo in lingue anche inconsuete come il ceco, il polacco, il coreano. Negli anni, anche di libri-gioco e giochi di ruolo ne ho fatti diversi, ma quello che mi dispiace nel loro caso è di essere rimasto confinato in Italia: nonostante le belle recensioni francesi de "I Cavalieri del Tempio", e nonostante l'interessamento per vari miei titoli da diverse nazioni, non è mai successo nulla. Un peccato: forse però libri-gioco e giochi di ruolo si rivolgono ormai a un mercato assai specifico e per un editore straniero lo sforzo di tradurli è eccessivo rispetto ai possibili risultati economici.

Angiolino tradotto in coreano

C'è stato un momento in cui hai pensato di mollare tutto e dedicarti ad altro? E' difficile riuscire a fare il mestiere che fai in una realtà come quella Italiana?

Credo che il mestiere di autore ed esperto di giochi sia tra i più belli che ci sono. Certo, abituato come sono a immedesimarmi in cavalieri erranti e piloti d'astronave, sia pure per gioco, ogni tanto la mente vaga con l'idea, magari nemmeno del tutto originale, di mollare tutto e mettersi a fare altro: che so, aprire un chiosco di piadine sull'Isola di Pasqua o coltivare melanzane DOP sull'Appennino ligure. Non mi spiacerebbe nemmeno dedicarmi di più alla scrittura vera e propria, senza connotazioni ludiche. Ma mi piace quello che faccio, né mi sembra più arduo di tanti altri lavori con cui la gente s'ingegna a vivere nella nostra beneamata penisola.

Il libro-gioco come metodo di apprendimento e avvicinamento alla lettura. Pensi che possano avere reale valore didattico? Come vedresti l'introduzione di questo tipo di letteratura nelle scuole?

Secondo me sì, hanno un valore enorme. Quando ero obiettore alla biblioteca di Gattatico, e poi quando ho collaborato con la Biblioteca Centrale per Ragazzi del Comune di Roma, ho visto vari piccoli lettori pigri, poco propensi a leggere, che iniziavano a giocare con i libri gioco e così si abituavano a sfogliare libri, a godersi storie, a frequentare la biblioteca. Poi tornavano, magari per prendere in prestito un libro con un racconto lineare o un volumetto di approfondimento storico sulle atmosfere medievali evocate da qualche libro gioco. E a quel punto diventavano lettori assidui e utenti affezionati.

Le applicazioni in campo didattico, poi, sono fortissime. Io ho fatto attività di scrittura collettiva nelle scuole e biblioteche usando proprio il sistema del libro-gioco: che è perfetto, perché se scrivi un racconto lineare con quindici ragazzini a ogni svolta della trama devi accettare una loro idea e cassare le altre; facendo un libro-gioco puoi accettare tutti i loro spunti senza penalizzarne nessuno. E poi scrivere un libro-gioco, con la sua vasta gamma di possibilità, spinge i ragazzini-autori a studiare approfonditamente l'ambientazione, molto più che per scrivere una storia lineare che va solo esattamente dove fa comodo all'autore: il che è utilissimo a fini didattici se si scelgono ambientazioni storiche, letterarie o in cui è necessario mettere in campo conoscenze scientifiche e ambientali. Implicazioni logico-matematiche o linguistiche possono essere inserite in occasione di enigmi di vario genere. Inoltre, alcune classi sono passate dalla scrittura all'impaginazione, all'illustrazione, alla messa in linea e di conseguenza anche alla traduzione in inglese dei libri-gioco che hanno scritto: l'intera attività è decisamente interdisciplinare, se lo si vuole.

Un anno abbiamo anche lanciato con il Comune di Roma un concorso nelle scuole: ragazzi delle elementari e delle medie ci hanno mandato tantissimi libri-gioco scritti da loro sul tema del vandalismo grafico, le nocivissime scritte verniciate su muri e monumenti. Devo dire che c'erano racconti-gioco davvero di qualità: un autentico successo. In alcuni casi si capiva che i ragazzini, lettori di libri-gioco commerciali, ne sapevano forse anche più degli insegnanti.

Questa e altre esperienze sono raccontate nel mio manuale "Costruire i libri-gioco" (ed. Sonda 2004), dedicato a chiunque voglia provare a fare questo genere di cose. Dopo una rassegna di tutti i libri-gioco apparsi in Italia e un po' di considerazioni sulla scrittura e la realizzazione di libri-gioco, seguono appunto i dettagli sul loro uso didattico e su alcune curiose applicazioni, come il teatro-gioco che ho proposto qualche anno fa a Ostuni durante la Settimana dei bambini del Mediterraneo. Ogni tanto mi scrive qualche insegnante che ha preso il libro e ne ha tratto ispirazione, arrivando a realizzare dei libri-gioco con i propri alunni: e in effetti questa è per me una soddisfazione enorme. Di quando in quando, inoltre, enti e istituti mi invitano a spiegare a maestri e professori come mettere in pratica questo genere di attività, cosa che faccio sempre molto volentieri. Il prossimo appuntamento è il 24 e 25 febbraio a Omegna, per un seminario al Parco della Fantasia Gianni Rodari. Ma ne ricordo con piacere diversi altri, come una volta che la Biblioteca Comunale di Enna ha invitato oltre ottanta insegnanti di tutta la provincia perché venissero ad ascoltare il resoconto delle mie esperienze in questo campo. Ricordo ancora il viaggio in aereo: non senza perplessità di passeggeri ed equipaggio, il mio bagaglio a mano era costituito da un grosso dadone che mi ero costruito con polistirolo e plastica adesiva, per farlo rotolare durante la lettura collettiva del racconto-gioco d'esempio.

Per chi è interessato a questo tipo di attività ludico-didattiche, con Luca Giuliano e Beniamino Sidoti ho anche scritto un analogo volume sull'uso del gioco di ruolo in scuole e biblioteche: si intitola "Inventare destini" (La Meridiana 2004). Anche in quel settore c'è una lunga esperienza, non solo nostra.

Il manuale Costruire i Libri-Gioco

Mi hai confessato nei nostri scambi epistolari di non essere particolarmente in sintonia con il computer. Non pensi che l'ambiente Web sia invece quello più adatto allo sviluppo e alla diffusione futura dei libri-gioco?

Al computer passo aimé la maggior parte delle mie giornate, per lavoro e talvolta anche per svago: volendo o no da più di vent'anni sono assolutamente informatizzato, da quando ho sostituito la mia macchina da scrivere Olivetti Lettera 22 con un computer, per cui più che altro c'è la stanchezza di viverci a fianco per così tante ore... In verità ironizzavo soprattutto sul fatto che sono un po' in retroguardia. Non mi sono mai abituato del tutto alla tastiera del computer e continuo a picchiarci sopra come ai tempi della macchinetta portatile, per cui sono noto per il chiasso che produco sui tasti. E poi il mio editor HTML preferito è il blocco note, mentre il mio programma grafico è il Paint che funziona esattamente come il MacPaint che usavo 22 anni fa, a parte poter usare i colori anziché i retini...

Ma in un certo senso anche il libro-gioco è una forma di retroguardia: non necessita di filmati o effetti speciali, si può realizzare con l'HTML più puro e all'antica che c'è. Poi certo, volendo lo si può arricchire con tutto quello che viene in mente: animazioni, suoni, musiche. Ma il bello è che non ha grandi necessità tecnologiche. E quindi sì, per il Web è perfetto: per ogni forma di Web, senza necessità di installare plug-in o di star dietro ad altre novità...

Sapevi che esistono alcuni progetti come ProjectAON, che hanno come scopo quello di riconvertire in formato elettronico i vecchi libri-gioco per renderli fruibili al grande pubblico? Che ne pensi?

Mi sembra un'ottima idea, utilissima a dare nuova vita a quei titoli. Quando nel 1987 ho pubblicato "In cerca di fortuna", con Enrico Colombini abbiamo deciso di farne una trascrizione per computer: l'anno dopo, mentre usciva la versione italiana del sistema Hypercard per MacIntosh, la Applesoft metteva così contemporaneamente in commercio la versione elettronica del mio libro-gioco. Non c'era ancora il Web, a quei tempi: però la logica di Hypercard era identica, con finestre di testo e immagini e suoni collegate da link.

Ora sulla rete si trovano diverse trascrizioni interattive dei miei racconti-gioco brevi, e anzi questo ha stimolato Colombini a creare il sistema Idra che è un software realizzato appositamente per questo: gestisce non solo i rimandi ma variabili, conteggi di soldi, liste di equipaggiamenti, variabili nascoste, dadi e quant'altro occorre. Lo trovate sul suo sito www.erixit.com con un paio di racconti-gioco d'esempio, miei e di Domenico Di Giorgio.

Insomma, è una strada in cui credo da tempo e mi fa piacere che altri siano a loro volta convinti che possa portare a risultati interessanti, con testi più ampi e ricchi dei raccontini messi in linea da noi.

Di che altro ti occupi oltre a ideare e scrivere libri-gioco e role game?

Mi occupo di giochi in generale: giochi da tavolo e di carte, giochi promozionali e formativi, enigmistica e concorsi, libri e articoli sul gioco... Ultimamente anche di gioco pubblico, per una concessionaria dello Stato: è il mio lavoro a tempo pieno. E secondo me aiuta molto, non fossilizzarsi su un solo filone di giochi ma spaziare dall'uno all'altro. Sono convinto che le mie varie attività ludiche si integrino e si arricchiscano a vicenda.

L'intervista è finita: tornerai a visitare la nostra community di tanto in tanto?

Certamente. E in bocca al lupo per tutte le vostre iniziative!

 

(5 ottobre 2006)

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